Zagrebelsky: politica sotto tutela tecnocratica

28 Nov 2011

Gustavo Zagrebelsky al seminario annuale della Consulta dedicato al tema «Dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana», pronuncia un discorso che rompe gli schemi, paragonando la società attuale all’isola di Pasqua, in cui l’uomo ha agito libero da ogni debito nei confronti della generazione successiva. E alla fine ha autodistrutto la sua stessa società

«Gustavo, non essere così pessimista. Non perdiamoci d’animo…». Con queste
parole di caldo incoraggiamento, Giuliano Amato conclude il suo intervento dopo aver ascoltato il presidente emerito della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, che ha parlato di società votate all’autodistruzione, di politica egoista con le prossime generazioni, di miopia davanti alle catastrofi tecnologiche, ambientali e finanziarie. Dunque, argomenta il professore Zagrebelsky, quasi per dare una base giuridica a ciò che sta accadendo in Italia e in Europa, «la prospettiva che si apre è quella di una tutela tecnocratica del potere e della politica». Un passo necessario, questo, anche se la svolta tecnocratica dovrà per forza essere una parentesi: altrimenti, avverte l’ex presidente della Consulta, c’è il rischio che la sospensione della democrazia costituzionalmente intesa «possa alimentare ideologie illiberali».
Davanti al capo dello Stato — che ha partecipato, assieme al presidente del Senato Renato Schifani e alla vicepresidente della Camera Rosy Bindi, al seminario annuale della Consulta dedicato al tema «Dallo Statuto Albertino alla Costituzione repubblicana» — Zagrebelsky rompe gli schemi. E con una relazione che scava nel profondo dell’anima del pensiero occidentale gela l’uditorio: «Pensate alla storia dell’isola di Pasqua, situata a 3.700 chilometri dalle coste del Cile che nei secoli fu sempre rigogliosa, con ananas che pendevano a volontà
dagli alberi e animali in grande quantità. Insomma, un posto magnifico dove bastava alzare la mano per cogliere un frutto. Un luogo ricco. Che però, agli inizi del ‘700, quando fu scoperta dagli europei, si rivelò desertificato perché ogni generazione lì si comportò come fosse l’ultima. Nell’isola di Pasqua l’uomo ha agito libero da ogni debito nei confronti della generazione successiva. E alla fine ha autodistrutto la sua stessa società».
Ecco qual è il punto di questo mondo globalizzato, insiste Zagrebelsky, pensando forse a uno Stato che si dovrebbe comportare come il buon padre di famiglia che riceve in eredità beni per custodirli temporaneamente e mantenerli in buone condizioni per trasmetterli ai suoi figli: «La vita dei viventi oggi non può essere onesta se non guarda alle generazioni future, se non si comporta come la madre fa con il figlio… E ora il costituzionalismo, che forse è impreparato a questa prova, deve riscoprire i doveri oltre i diritti che possono essere pure ridotti nel tempo presente per poi poterli estendere nei tempi futuri». Questa, conclude il professore, «è l’ultima sfida cui è chiamato il costituzionalismo» che deve affrontare il tema «anche se tecnocrazia e doveri fanno paura».
Concorda il presidente della Corte, Alfonso Quaranta: «Forse dovremmo iniziare a pensare a una carta dei doveri». E in qualche modo Giuliano Amato — che prima dell’inizio dei lavori ha avuto un fitto colloquio con Gianni Letta — prova a risollevare l’umore nei presenti citando Sabino Cassese che lo ascolta in terza fila: «Lo Stato è particolarmente debole perché troppi si sentono forti. Bisogna ridare forza allo Stato debole… Ma oltre alla tecnocrazia ci vuole una dimensione etica: ci vuole il rispetto degli altri, presenti e futuri». Che poi si traduce, per chiunque governi, nell’applicare il principio di precauzione quando si assumono le decisioni.

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