Solo in dodici nel nuovo governo, il Cavaliere s’impunta: “Voglio Letta”

11 Nov 2011

Liana Milella

SOLO DODICI ministri. Quelli col portafoglio. Più tecnici che politici. E forse, alla fine, solo tecnici. Con nomi di prestigio, quello di Bini Smaghi, nella poltrona che è di Tremonti, e di Umberto Veronesi, destinatario di una telefonata del Colle, alla Salute. Per dare subito una doppia immagine, di autorevolezza, di austerità, di massimo contenimento dei costi, e di un governo che ha un mandato preciso, salvare l’economia e quindi il Paese.

SOLO DODICI ministri. Quelli col portafoglio. Più tecnici che politici. E forse, alla fine, solo tecnici. Con nomi di prestigio, quello di Bini Smaghi, nella poltrona che è di Tremonti, e di Umberto Veronesi, destinatario di una telefonata del Colle, alla Salute. Per dare subito una doppia immagine, di autorevolezza, di austerità, di massimo contenimento dei costi, e di un governo che ha un mandato preciso, salvare l’economia e quindi il Paese. Questo si propone Monti, e questo piace al Quirinale. Ma questo scatena anche, soprattutto nel Pdl (ma non solo), una lotta aspra e a tratti disperata, tra chi sopravviverà del vecchio esecutivo Berlusconi, e chi guadagnerà una poltrona nel governo del secolo Pdl-Pd-Terzo polo.

Una condizione, su tutte, ha posto il Cavaliere. Che alla presidenza resti, come vice, l’attuale sottosegretario Gianni Letta. Al momento la sua istanza godrebbe del consenso del futuro premier e di quello di Napolitano. Il possibile ostacolo potrebbe essere di carattere “familiare”, se a occupare l’altra poltrona di numero due a palazzo Chigi il Pd dovesse candidare un altro Letta, Enrico, che di Gianni è il nipote. Realistico invece che nel team dei sottosegretari alla presidenza ci sia l’attuale vice capogruppo democratico al Senato Luigi Zanda. Accanto a Enzo Moavero, ex capo di gabinetto di Monti.

Sistemato Letta, per Berlusconi si apre il caos sui ministri da riconfermare, con gli ex An in piena rivolta, visto che non solo rischiano di essere esclusi, ma si ritrovano in un governo
in cui comanda l’odiato Fini. L’ulteriore incarico per Franco Frattini agli Esteri, Nitto Palma alla Giustizia e Raffaele Fitto agli Affari regionali già ieri cominciava ad apparire improbabile. Potrebbe salvarsi, in quanto di fresca nomina, Annamaria Bernini (Politiche europee). Su Frattini incombe lo “sgradimento” del presidente della Camera, che non si è scordato le dichiarazioni in Parlamento del titolare della Farnesina per la casa di Montecarlo, in cui si prendevano per buone le carte del ministro di Santa Lucia ispirate da Lavitola. Non solo, per la Farnesina è insistente il tam tam sul nome di Giuliano Amato, che però potrebbe tornare al Viminale, da lui retto con Prodi.

Dato per certo 24 ore fa, sfuma il possibile reincarico per Palma in via Arenula. Troppo sponsorizzato da Berlusconi, troppo uomo di Previti, nessuna presa di distanza dalle leggi ad personam, grave la decisione di inviare gli ispettori a Napoli e Bari dove sono in corso indagini sul Cavaliere. Nel segno della “discontinuità”, su cui insiste il Pd, alla Giustizia gareggia la presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro, ma c’è chi avanza il nome di Livia Pomodoro, attuale presidente del tribunale di Milano e capo di gabinetto con Claudio Martelli quando Giovanni Falcone era direttore degli Affari penali.
Certa è la new entry di Maurizio Lupi, oggi numero due alla Camera, incerto tra Pubblica istruzione e Infrastrutture. Al lumicino le chance per gli ex An, “indigeribile” per Fini il nome di Ignazio La Russa, scarse possibilità pure per Altero Matteoli. Berlusconi ha spiegato loro che non può garantire un posto per ogni corrente del pdl. Quindi niente per nessuno.

In casa Pd, ufficialmente e dallo stesso Bersani, viene smentito qualsiasi toto-ministri. Negata, dall’interessato, anche la voce che Massimo D’Alema avrebbe sollecitato un posto per sé, negatogli perché la sua presenza politica “pesante” potrebbe comportare quella di un Alfano per bilanciarla. Buone chance per l’ex ministro Paolo Baratta, attuale presidente della Biennale, che andrebbe ai Beni culturali. Certo l’incarico per Veronesi che torna alla Salute.
Anche Casini rinuncerebbe per questo motivo al suo amico Lorenzo Cesa. Che, se dovesse spuntarla, andrebbe diritto all’Agricoltura, per disfare rapidamente il lavoro fatto dal traditore centrista Saverio Romano. Come tecnico, Casini punta per il Welfare sull’ex leader della Cisl Raffaele Bonanni. La partita è tuttora apertissima. In pista ci sono nomi importanti. Fabrizio Saccomanni, Domenico Siniscalco, ma anche Luca Cordero di Montezemolo e Pietro Ichino. La partita si chiude lunedì.

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