Mettere il Paese davanti a tutto

26 Ott 2011

Prima il Paese. L’Italia non è la Grecia. È la settima economia al mondo, la seconda industria manifatturiera d’Europa. Ha più patrimonio che debiti. È ricca il doppio della Spagna. È perfettamente solvibile. Fine. Non merita ironie e sarcasmi. Ma il rispetto deve conquistarselo. E poi pretenderlo.

Prima il Paese. L’Italia non è la Grecia. È la settima economia al mondo, la seconda industria manifatturiera d’Europa. Ha più patrimonio che debiti. È ricca il doppio della Spagna. È perfettamente solvibile. Fine. Non merita ironie e sarcasmi. Ma il rispetto deve conquistarselo. E poi pretenderlo. Le misure che l’Europa ci chiede sono sempre state necessarie. Ora lo sono anche per gli altri, per la salvezza dell’euro. Le avessimo adottate per tempo, non correremmo il rischio di confezionarle in fretta e male. Da commissariati. Qualcuno dice: no al diktat di Bruxelles. Bene, ma non scordiamoci che: siamo un Paese fondatore dell’Unione europea; che chiediamo ogni anno 200 miliardi in prestito; che viviamo di export e moriremmo di autarchia (è già accaduto). Il resto sono chiacchiere in libertà e perniciose illusioni.

Sarà anche ingiusto, ma oggi siamo percepiti come il lato debole dell’Europa. Perché non siamo più credibili. Abbiamo annunciato per mesi provvedimenti poi smentiti o non attuati. Varato sì una manovra da 59,8 miliardi, di cui 20 però incerti, ma per la crescita, che rende sostenibile il debito, non è stato fatto finora nulla. Alesina e Giavazzi, sul Corriere , hanno proposto misure concrete. Discutiamone. Non basta una lettera d’intenti (Tremonti l’ha firmata?) per dimostrare agli altri, dopo mesi di ondeggiamenti, che facciamo finalmente sul serio. Berlusconi sembra voler sopravvivere a se stesso. Ma se non è in grado di adottare, per l’opposizione della Lega, provvedimenti seri ed equi, non solo sulle pensioni, ne tragga le conseguenze. E in fretta. Vada da Napolitano e rimetta il mandato. Esiste in Europa, piaccia o no (a noi non piace perché vi vediamo anche un pregiudizio anti-italiano) un problema legato alla persona del premier, più che al governo. E la colpa è solo sua. Il Cavaliere, con il quale la storia sarà meno ingenerosa della cronaca, è anche uomo d’azienda. Sa valutare il momento in cui è necessario mettersi da parte per salvare la sua creatura, il partito e le future sorti del centrodestra italiano. Ma prima ancora viene il Paese. Una volta tanto.

E la soluzione quale potrebbe essere? Non è semplice. Più volte, su queste colonne, si è invitato il premier a fare come Zapatero: chiedere le elezioni anticipate e dire che non si ricandiderà. L’avesse fatto, saremmo fuori dal mirino della speculazione. Come la Spagna. Oggi, davanti alla palese dissoluzione di una maggioranza, che vota la fiducia ma non governa, l’esito non potrebbe essere che quello di elezioni ravvicinate, imposte dagli eventi. Un eventuale governo Letta o Schifani, o tecnico (improbabile) di cui si parla in queste ore, si troverebbe comunque nella scomoda necessità di dare una risposta economica credibile ai mercati. E di fare scelte impopolari e costose in termini di consensi. Una proposta utile potrebbe essere quella di considerare il «pacchetto Europa» di un eventuale nuovo esecutivo come un programma bipartisan, aperto al contributo e al voto di tutti. Un’opposizione responsabile, se si trovasse al governo, non potrebbe fare diversamente su molti temi oggi in discussione. E non avrebbe più l’alibi della presenza ingombrante di Berlusconi. Ma a giudicare dalle dichiarazioni di queste ore, sembrano prevalere populismo e opportunismo. Le malattie italiane sono tante, purtroppo.

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