La morte del processo penale

11 Ott 2011

Forse ormai manca davvero una manciata di settimane, se non di giorni, per rendere concreto e reale lo scopo tenacemente voluto da Silvio Berlusconi fin dal momento in cui è “sceso in politica”: fuggire alla giustizia, evitare di essere condannato, non rispondere ai giudici dei numerosi reati dei quali è accusato da anni.

Forse ormai manca davvero una manciata di settimane, se non di giorni, per rendere concreto e reale lo scopo tenacemente voluto da Silvio Berlusconi fin dal momento in cui è “sceso in politica”: fuggire alla giustizia, evitare di essere condannato, non rispondere ai giudici dei numerosi reati dei quali è accusato da anni. Il tema in discussione nell’aula della Camera è, infatti, in queste ore, il ddl sulle intercettazioni (anche contro il ‘bavaglio’ alla stampa e gli ostacoli alle indagini della magistratura, hanno manifestato in migliaia a Milano per “Ricucire l’Italia“), che forse sarà approvato a Montecitorio alla metà di ottobre. A meno che non diventi reale l’ipotesi di un ‘incidente parlamentare’ che convinca Berlusconi a compiere il famoso passo indietro (potrebbero essere determinanti anche le decisioni del gruppo di frondisti Pdl, Scajola, Pisanu e altri, che vogliono dare una “scossa”).

A palazzo Madama poi, tornano di urgente attualità, per le esigenze processuali del premier, le norme sulla prescrizione breve da applicare agli incensurati. Il risultato di una rapida approvazione sarebbe la immediata decadenza del processo per corruzione a carico di Berlusconi nel caso Mills. Il premier si salverebbe così da una probabile condanna, prevista entro novembre-dicembre. Resta in calendario (in commissione giustizia alla Camera) anche il cosiddetto processo lungo (obbligo di ascoltare tutti i testimoni chiesti dalla difesa, senza vaglio dei giudici). Un groviglio di disegni di legge, norme, progetti, articoli ed emendamenti  ad personam, inventati solo per salvare il premier: non c’è nessun interesse nazionale in queste disposizioni, né il sistema giustizia sarà più efficiente e funzionale per il cittadino comune.

Per portare a compimento il suo progetto, il premier non esita a calpestare le regole istituzionali basilari, come gli hanno più volte  rimproverato i più alti responsabili della magistratura, a cominciare proprio dal rispetto per la separazione dei poteri, concetto indispensabile in ogni democrazia. Ma B. è al di sopra di ogni regola, com’è noto. Anzi, pretende di interpretare e applicare ad personam perfino le principali regole della Costituzione. Per esempio, neppure un mese fa, al raduno dei giovani di destra al Colosseo, il cavaliere ha ripetuto forse per la centesima volta uno sproloquio istituzionale, lamentando “lo strapotere della magistratura che da ordine dello Stato si trasforma sempre più in un potere indipendente da qualunque controllo, ed è intollerabile”. In realtà è sufficiente leggere l’articolo 104 della Costituzione per comprendere la corbelleria dichiarata dal capo del governo (inaccettabile proprio perché ricopre questa carica e non è un popolano qualsiasi): “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. È un ordine, e anche un potere. Per essere certi e consapevoli, comunque, bisogna lavorare in quello che per alcuni è un polveroso archivio della memoria parlamentare del paese. Negli Atti della Costituente, il presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini nella relazione scriveva: “Per adempiere il mandato che esercita in nome del popolo…..la magistratura è autonoma ed indipendente. Non è soltanto un ‘ordine’; è sostanzialmente un ‘potere’ dello Stato””.  Durante il dibattito:  Leone “…rileva che lo scopo da raggiungere è quello di sganciare il potere giudiziario dagli altri poteri dello Stato, per evitare qualsiasi ingerenza” ; e Conti dichiara di essere “…convinto che il potere giudiziario debba veramente autogovernarsi senza intromissioni del potere esecutivo e legislativo”. La Commissione accettò alla fine dei lavori la formulazione (quella già citata del 104) proposta  dagli on. Conti, Perassi, Paolo Rossi, Giovanni Leone e altri, “nella quale implicitamente si riconosce all’ordine giudiziario la qualifica di potere”. Infine: Ruini rispose fin dal 1946-47 a Berlusconi, affermando che “la magistratura sia sottratta alla dipendenza e all’influenza del governo è un’esigenza e una conquista della democrazia”. Ma questa, per i moderni costituzionalisti di Lorenzago e di Arcore, è ovviamente una mania di vecchi parrucconi. Eppure  proprio Berlusconi e la sua maggioranza hanno sollevato ad aprile scorso, di fronte alla Consulta, conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato (per il caso Ruby) contro la magistratura, appunto potere giudiziario. Il guaio è che le scelleratezze del premier sulla Carta non sono solamente inno- cui errori di grammatica istituzionale, bensì si traducono in progetti di legge e in decisioni politiche della maggioranza. Berlusconi insiste da tempo e martella  gli elettori con messaggi tipo: “Sono un perseguitato… Ci vuole una commissione d’inchiesta sul comportamento dei magistrati….” (alla Camera, dopo il voto che ha respinto l’arresto per il ministro Saverio Romano). Sono farneticazioni di impossibile (speriamo!) applicazione, ma che in bocca al presidente del consiglio costituiscono una manifestazione di vera irresponsabilità istituzionale. Ma torniamo alle questioni di attualità, al dibattito di queste ore sulla prescrizione breve e sul processo lungo. L’ultimo a bocciare irrimediabilmente le iniziative del governo sulla giustizia è stato il presidente della Camera, Fini, il quale ha osservato che “qui un giorno serve il processo breve e un giorno quello lungo… E la durata dipende dal processo in cui si è coinvolti”. Ed era già arrivata la bocciatura formale del vicepresidente del Csm, Michele Vietti, con le modalità più adeguate, durante una seduta del Consiglio alla presenza del ministro della Giustizia. Il grande e continuo affannarsi del premier e della maggioranza attorno ad “iniziative legislative di corto respiro” non è riconducibile, secondo Vietti, “agli interessi generali e alla coerenza del sistema”. Anzi, sono interventi addirittura con “le gambe corte, che vediamo ancora con preoccupazione all’ordine del giorno del Parlamento, come il cosiddetto processo lungo o quello breve”. Altre proposte poi, sono più mirate  “a complicare piuttosto che a semplificare il processo penale”. Il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha avuto parole segnate da grave preoccupazione ed inquietudine: il ddl sul processo lungo, se approvato, “porterà alla morte del processo penale”, perché con questa legge verrà riconosciuto “il diritto alla prescrizione dei reati per ogni imputato che sia difeso adeguatamente” dato che si potrà allargare “all’infinito l’elenco dei testimoni”. Il primo magistrato Lupo ha anche richiamato un tremendo momento storico: quando furono emanate le leggi razziali in Italia, “non ci fu una reazione adeguata. Domani, chi esaminerà l’attuale periodo si scandalizzerà di come non si reagisca di fronte alla morte del processo penale”. C’è da essere turbati. Così va la giustizia al tempo di Berlusconi premier.

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