La crisi e l’afasia del Pd

03 Ott 2011

Il governo è morto, e su questo non ci sono dubbi: la valanga di firme sui quesiti referendari ha inferto il colpo di grazia. Ma non si riesce a dargli degna sepoltura. Perché? Chiariamo subito che le opposizioni non possono fare molto dato che sono, appunto, opposizioni e perciò minoritarie in Parlamento. Bisogna che la maggioranza si spezzi, che sfiduci il Cavaliere.

Il governo è morto, e su questo non ci sono dubbi: la valanga di firme sui quesiti referendari ha inferto il colpo di grazia. Ma non si riesce a dargli degna sepoltura. Perché? Chiariamo subito che le opposizioni non possono fare molto dato che sono, appunto, opposizioni e perciò minoritarie in Parlamento. Bisogna che la maggioranza si spezzi, che sfiduci il Cavaliere. Altrimenti non se ne andrà, se non altro per non rinunciare al potere che gli consente di resistere all’incombente ondata di processi. Le opposizioni, perciò, hanno solo un modo per incidere: lavorare per offrire a pezzi della maggioranza un futuro politico anche senza Berlusconi. E questo le sinistre non riescono a farlo. È un problema antico, che tormentava anche il Pci, ma che nell’emergenza odierna diventa una tragedia.
Prendiamo Bersani e la sua battuta “non ci metto il cappello ma ci metto i banchetti”: così il segretario del Pd intendeva spiegare la distanza che ha mantenuto verso il referendum elettorale pur offrendo il contributo del partito alla raccolta delle firme. I partiti, dice Bersani, devono seguire con attenzione la società civile, ma devono lasciarla libera di esprimersi senza imporre il loro punto di vista. Ragionamento ineccepibile, in tempi normali. Ma questi non sono tempi normali. E proprio lo straordinario numero di firme lo dimostra: gli elettori, da troppo tempo privi di parola, colgono con entusiasmo ogni occasione per farsi sentire. Non si sono curati dei dubbi sull’ammissibilità dei quesiti, e sicuramente avrebbero apprezzato il sostegno esplicito del Pd. Ma Bersani non poteva darlo perché all’interno del partito le opinioni sulla legge elettorale, e sulle sue conseguenze politiche, sono divergenti e qualsiasi scelta netta avrebbe provocato sconquassi.
Un altro elemento è l’afasia dei Democratici sulle proposte per affrontare la crisi. Non è possibile che Bersani, dopo aver dimostrato da ministro di avere capacità e competenza, si ritrovi adesso privo di idee. E’ probabile, invece, che quelle idee trovino nel Pd oppositori feroci. E così il segretario media e prende tempo, esponendosi all’accusa di essere incapace di proporre.
Come nota il professor Sartori, i sondaggi che danno perdente il Pdl non offrono al Pd motivi di allegria. Nonostante la frana della maggioranza, i Democratici restano ben al di sotto del traguardo raggiunto nelle ultime elezioni politiche. Questo significa che dell’elettorato in fuga dal berlusconismo poco o nulla arriva al Pd. Sono quelli i voti da conquistare se si vuole vincere davvero, ma certo non accadrà se si continua su questa strada. E cioè con un partito dove c’è chi dice che ci vuole più sinistra ignorando che così si perde al centro, e chi replica che ci vuole più centro infischiandosene se si perde a sinistra.
Non va meglio se si guarda a Di Pietro e Vendola, impegnati a drenare consensi al Pd e a farsi concorrenza tra loro. Ci vorrebbe uno slancio programmatico, che abbandoni parole d’ordine ormai fuori dalla realtà e disegni un futuro concretamente realizzabile per il paese. Ma non se ne vedono i presupposti, a partire dalla sincerità e generosità dei protagonisti.
Il quadro generale vede però un altro protagonista in campo: Pier Ferdinando Casini. E Casini è piazzato indubbiamente meglio. Il suo partito è più piccolo ma certo più coeso, e lui è il capo indiscusso del terzo polo, visto che né Fini né Rutelli sono in grado di insidiarne la posizione. Inoltre, esercita una vera capacità di attrazione nei confronti sia degli elettori che degli eletti del Pdl. Alfano e Berlusconi lo corteggiano, ma è improbabile che ceda: ha di fronte una concreta possibilità di leadership e non si capisce perché dovrebbe rassegnarsi a una vita da gregario. Potrebbero offrirgli il Quirinale, ma lui ha già intuito la mossa e ha risposto che ha visto troppi papi uscire cardinali dal conclave per far conto su una simile prospettiva.
E’ Casini, perciò, che può incidere sulla tenuta della maggioranza rappresentando l’ancora di salvezza per i parlamentari che volessero uscire dalla maggioranza senza rinunciare a un futuro politico. Quindi è lui il grimaldello che può abbattere il portone di Palazzo Chigi. Poi, dopo Berlusconi, si apriranno molte strade diverse. Per Casini, ma anche per la sinistra, se riuscirà a decidere che cos’è e che cosa vuole.

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