L´ultimo duello tra Giorgio e Silvio “Non posso firmare”. “Così salta il Paese”

15 Set 2011

Il capo del governo ha introdotto il tema giustizia. Il presidente della Repubblica lo ha esortato a farsi interrogare dai magistrati

Ci riprova ancora. Ormai sarà la terza o la quarta. Vuole un decreto per stoppare le intercettazioni. Quelle di Bari, naturalmente. Che, dice un angosciato Berlusconi a Napolitano, «se escono non fanno saltare solo me e il governo, ma tutto il Paese». Sarebbero, almeno così si racconta nel Pdl, zeppe di imprudenti giudizi su capi di Stato stranieri, d´importanza strategica nell´attuale crisi economica come la Merkel. Piene delle sue scorribande sessuali. Generose di rivelazioni su una ministra. Un gelido Napolitano ferma il nervoso Cavaliere.
È l´ora di pranzo, i due restano assieme mezz´ora. In cui la cordialità non è di casa. Il capo dello Stato è lapidario. Niente decreto per bloccare l´uscita delle telefonate sui giornali. Berlusconi l´avrebbe voluto approvare già ieri sera, in un consiglio dei ministri lampo. Ma il niet del presidente è di quelli senza appello. Io non posso firmare un decreto di questo tipo. Replica secco alle sue insistenti pressioni.
Doveva essere ben diverso, per quanto ne sapevano sul Colle, l´oggetto del colloquio. Crisi economica, manovra, l´atteggiamento dell´Europa. Un resoconto del viaggio appena concluso a Bruxelles e Strasburgo. E di questo Berlusconi in effetti parla, con Gianni Letta al fianco, ma solo per pochi minuti. Poi devia immediatamente ed esplode la sua collera contro i giudici. Eccolo nel suo affondo di fronte a un Napolitano via via sempre più basito: «Presidente, quello che sta accadendo nei tribunali è davvero una barbarie, una cosa inconcepibile. Adesso vogliono pure interrogarmi come parte lesa, anche se io non mi sento affatto “leso”. Ma la questione più grave è che continuino a uscire, in modo del tutto disumano, queste intercettazioni. Anche oggi usciranno». Poi, volutamente, allude ai guai della sinistra: «Non riguardano soltanto me queste registrazioni, lo avrà visto no? Ci sono anche quelle su Penati. Quindi il problema non è solo mio».
Da Napolitano non arriva un cenno. Neppure un «e allora?». Un atteggiamento che consiglierebbe a chiunque di fermarsi. Invece il Cavaliere va avanti. Con gli argomenti che tante volte ha sciorinato pure al Quirinale. «Bisogna bloccare tutto questo fango, e bisogna farlo subito. Io terrò stasera (ieri sera, ndr.) un consiglio dei ministri. Posso fare un decreto». Aggiunge minaccioso: «Le assicuro che possono uscire delle cose in grado di compromettere anche i rapporti internazionali dell´Italia. Almeno quella parte bisogna bloccarla».
La replica di Napolitano non lascia spazi. Egli argomenta che, senza dubbio, non è corretto pubblicare stralci di intercettazioni non inerenti al processo. Ma – è il suo verdetto irremovibile – non ci sono gli estremi per un decreto. Mancano i requisiti di necessità e urgenza. La partita potrebbe chiudersi così. Invece il premier insiste: «Lei, presidente, si rende conto che se escono certe cose non salto solo io e il governo, ma salta il Paese?».
Nello studio-salotto di Napolitano, quello che gli italiani intravedono quando invia loro il rituale saluto di Capodanno, entra la paura che angoscia Berlusconi, la discovery delle sue conversazioni hard con l´imprenditore barese Gianpi Tarantini. Dettagli di cui ormai parla tutto il Parlamento. Indiscrezioni che fanno tremare il centrodestra. Della Merkel s´è detto. Della ministra pure. Ci sarebbero particolari sulla moglie di un notaio barese. Dettagliati racconti sulle notti calde del premier a palazzo Grazioli e a villa Certosa. Ma il rischio che tutto questo diventi pubblico, e non è detto che lo sia visto che non è penalmente rilevante, non basta a convincere Napolitano. Il quale, invece, consiglia al suo interlocutore, come ha fatto in altre due occasioni, di accelerare il cammino del disegno di legge sulle intercettazioni che giace da un anno alla Camera.
Un altro suggerimento, prima che se ne vada, dà Napolitano al capo del governo, di farsi interrogare dai giudici di Napoli, per evitare un nuovo conflitto, un´altra guerra. A questo sta lavorando Ghedini. Che aspetta il premier in via del Plebiscito. Il Berlusconi che ci torna è deluso. Ancora una volta il sogno del decreto sugli ascolti è evaporato. Certo, c´è il ddl, ma la strada è lunga. Per questo viene convocato il Guardasigilli Nitto Palma. E per questo, sulle intercettazioni e sulla riforma della giustizia ormai bloccata, Berlusconi minaccia: «Andrò io stesso a Montecitorio tutte le settimane per far camminare speditamente l´uno e l´altra». I suoi gli riferiscono che circola con insistenza la voce che Napolitano gli avrebbe proposto di nominarlo senatore a vita. Lui oppure Letta. E nel Pdl rispunta l´idea del salvacondotto. Ma il Cavaliere reagisce infastidito: «Io non accetto salvacondotti e non me ne vado da palazzo Chigi».

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