Berlusconi sconfitto sulle dieci domande

13 Set 2011

Ezio Mauro

Silvio Berlusconi ha perso. Per togliere di mezzo le dieci domande che Repubblica con Giuseppe D’Avanzo gli ha rivolto ogni giorno per sei mesi (chiedendogli conto di bugie e falsità sullo scandalo del “ciarpame politico” sollevato dalla first lady per lo scambio tra candidature e favori sessuali) il Presidente del Consiglio aveva denunciato il nostro giornale per diffamazione, chiedendo una condanna a un milione di euro per danni al suo onore e alla sua reputazione.

Silvio Berlusconi ha perso. Per togliere di mezzo le dieci domande che Repubblica con Giuseppe D’Avanzo gli ha rivolto ogni giorno per sei mesi (chiedendogli conto di bugie e falsità sullo scandalo del “ciarpame politico” sollevato dalla first lady per lo scambio tra candidature e favori sessuali) il Presidente del Consiglio aveva denunciato il nostro giornale per diffamazione, chiedendo una condanna a un milione di euro per danni al suo onore e alla sua reputazione. La sentenza del Tribunale di Roma respinge la richiesta di risarcimento del Capo del governo (e anzi lo condanna a rifondere le spese processuali) con questa motivazione: le dieci domande “costituiscono legittimo esercizio del diritto di critica e lecita manifestazione della libertà di pensiero e di opinione garantita dall’articolo 21 della Costituzione”.

Il caso senza precedenti di un leader politico che denuncia delle domande, perché non può rispondere, ha fatto il giro del mondo, così come gli insulti del Premier ai nostri giornalisti e il suo invito agli industriali a boicottare la pubblicità su Repubblica. Tutto inutile. Perché il tribunale ha stabilito che è legittimo anche in Italia  –  per un giornale che intenda farlo  –  svelare le menzogne del potere e chiederne conto, è legittimo incalzare un Premier su vicende poco chiare finché non si assuma la responsabilità di spiegarle davanti alla pubblica opinione. La pretesa di Berlusconi di soffocare un’inchiesta scomoda e di zittire

un giornale è stata sconfitta.

Ma è stato respinto anche il tentativo di delegittimare il ruolo della stampa, con il timbro della magistratura. Il Presidente del Consiglio aveva infatti definito le dieci domande “retoriche, diffamatorie e discreditanti”. La sentenza le considera invece espressione del diritto di cronaca e del diritto di critica, le giudica “fondate su un solido nucleo di veridicità”, le ritiene “civili” e “corrette”. Soprattutto, la sentenza sancisce che “in un Paese democratico è diritto-dovere della stampa chiedere conto e ragione dei propri comportamenti a chi ricopre cariche politiche e di governo” in modo che i cittadini possano giudicare l’uomo pubblico “non solo sull’attività svolta, ma anche con riferimento al suo patrimonio etico e alla coerenza dei comportamenti”.

È quello che Repubblica e D’Avanzo hanno sostenuto in questa battaglia giornalistica. Che oggi continua, perché nel mezzo della crisi ci sono molti altri punti oscuri che attendono dal Premier qualche risposta. A risentirci.

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