Non staremo a guardare

12 Ago 2011

Una cosa è certa: questa volta la società civile non starà a guardare. Quando finalmente gli italiani potranno votare per mandare a casa questa maggioranza, non varrà più per nessuno la rassicurante posizione di rendita: non c’è alternativa, o prendere o lasciare

Una cosa è certa: questa volta la società civile non starà a guardare. Quando finalmente gli italiani potranno votare per mandare a casa questa maggioranza, non varrà più per nessuno la rassicurante posizione di rendita: non c’è alternativa, o prendere o lasciare. Come, in quali forme, con quali richieste e proposte i protagonisti della primavera referendaria e amministrativa si faranno sentire è la grande discussione che sta mobilitando il web in questo agosto di “ferie non ferie”.
Lo ha detto con la precisione e la chiarezza di sempre Gustavo Zagrebelsky nel suo appello “Per cambiare davvero”: “Come cittadini elettori non siamo più disposti a sostenere il ruolo di portatori d’acqua nell’interesse di burocrazie di partiti che usano i posti di rappresentanti dei cittadini in Parlamento come loro proprietà, per distribuire favori, per ricompensare d’altri favori, per assicurarsi la fedeltà di clienti”. Da qui in avanti tutto è da scrivere, niente è deciso. Ma il passo compiuto è già molto importante e indica che il messaggio inviato attraverso le grandi manifestazioni e la mobilitazione dei mesi scorsi non si è perso nell’afa estiva, ma è ben presente e sarà ascoltato.
Da qui anche l’auspicio di Ilvo Diamanti che su “Repubblica” del 1 agosto scrive: “Che le persone di buona volontà e i mille segmenti del movimento invisibile cresciuto in questi mesi non si rassegnino”. A voler spaccare il capello in quattro, potremmo dire a Diamanti che quanto è accaduto non è solo frutto di un lavoro di mesi ma di anni, in cui associazioni, movimenti e singole personalità hanno tenuto nel silenzio e nell’indifferenza dei media il rapporto con quel territorio che i partiti stremati da guerre interne e dalla ricerca di fondi hanno abbandonato a se stesso. Quella presenza, quelle voci critiche e riflessive sono servite: il filo tra società e politica, logorato dalla mancanza di fiducia nella capacità di rappresentanza, non si è spezzato del tutto. Il populismo e la demagogia non hanno vinto: e nello spazio, fortemente critico verso chi si ostina a non vedere la fine della forma partito che abbiamo conosciuto dal dopoguerra, adesso possono entrare le proposte e l’azione dei movimenti. Non chiediamo di esser ringraziati, siamo avvezzi all’indifferenza di chi si sente messo in discussione. Però intanto ci prepariamo e organizziamo.
A che cosa? Non chiediamo nulla per noi e tutto per tutti, fu la formula del raduno di febbraio al Palasharp di Milano quando Saviano, Zagrebelsky, Eco e tanti altri chiesero per primi le dimissioni di Berlusconi in maniera pubblica, ultimativa, civile, argomentata trascinando una folla straordinaria. Dunque la premessa deve essere questa: non cerchiamo posti o privilegi o tantomeno il potere, vogliamo solo aiutare a ricostruire. Il programma? Si discute da tempo su proposte che hanno caratterizzato l’impegno della società civile. La rappresentanza? Certamente. Attraverso la pressione per cambiare la legge elettorale, prima di tutto. E poi: attraverso l’individuazione e la scelta di personalità della società civile (e anche all’interno del mondo politico) che siano competenti e meritevoli, bravi e onesti da sostenere nella campagna elettorale. Attraverso liste civiche, secondo alcuni; attraverso la pressione sulle forze politiche, secondo altri, ma nulla è deciso per ora.
Il segretario del Pd, Bersani, nella sua lettera al “Corriere della Sera” del 26 luglio sembra essersi impegnato a un “miglioramento” del suo partito. Troppo poco, anche se fosse vero. Gli anni passati ci hanno mostrato come la politica abbia preferito proseguire sulla strada imboccata: lontananza dalla voce dei cittadini, dalle loro esigenze, dalla loro richiesta di valori chiari e non negoziabili. Quel rigore sui principi che chiedeva Piero Gobetti. Quel rigore che dovrà finalmente distinguere la nuova classe politica, la forma partito e le istituzioni che vogliamo per dare un futuro al nostro Paese.

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