Lo strappo della Lega nel paese “strappato”

27 Lug 2011

La farsa dei ministeri al nord, giustamente stigmatizzata dal presidente Napolitano, e il diniego a farsi carico del problema rifiuti a Napoli, sono solo l’ultimo segnale che proviene da un paese che non ha bisogno degli strappi dei compagni di Bossi per esibire le proprie profonde lacerazioni

La farsa dei ministeri spostati al Nord (preceduta dalla indisponibilità a farsi in parte carico della soluzione dei problemi dei rifiuto di Napoli) è solo l’ultimo segnale che proviene da un paese che non ha bisogno degli strappi dei compagni di Bossi per esibire le proprie profonde lacerazioni. L’intervento di Napolitano – preoccupato e giustamente indignato di questa ulteriore dimostrazione di assenza di senso unitario da parte di chi, partecipando al governo nazionale, governa anche a nome di coloro dai quali vorrebbe prendere le distanze – contribuisce a mettere in luce un dato di fondo la cui comprensione è indispensabile per intendere le dinamiche di fondo che motivano i comportamenti della Lega.

In fondo i leghisti sono l’avanguardia più rumorosa e civilmente meno educata di chi ritiene di aver già mangiato la foglia circa la tenuta economica e sociale dell’Italia. È per costoro indubbio, infatti, che l’Italia – come sistema-paese, dalle Alpi alla Sicilia – non possa più salvarsi. In effetti, vanno sempre più infittendosi le analisi e le notizie che mettono in evidenza come il Nord abbia una società e un’economia florida e in sviluppo – con livelli di Pil pari a quelli dei migliori paesi europei – mentre manca all’appello il solito Sud (e i rapporti pubblicati recentemente dalla Banca d’Italia sulle economie regionali ne sono una asettica ma cruda testimonianza). Così nella retorica nazionale il Meridione è ormai ritenuto – insieme alla concorrenza cinese e alle eccessive regolamentazioni dell’Ue – il colpevole dell’arretramento italiano, dimenticando gli altri più sostanziali fattori di crisi che affondano nelle caratteristiche del sistema produttivo (evasione fiscale, proprietà familiare e piccole dimensioni d’impresa, limitato mercato dei capitali, scarsa competitività, corruzione generalizzata e così via). E cresce sempre più la consapevolezza, tra le popolazioni padane e nordiste, che è meglio fare da sé, abbandonare al suo destino la parte del paese più arretrata e piagata da mafia, corruzione e inefficienza per puntare alla connessione con le zone più forti e civili della comunità europea.

Al di sotto del federalismo e dell’apparente becero localismo (se non strisciante razzismo) della Lega v’è una lucida disamina di quello che è l’Italia e di quello che non può più essere. Trascurare questo punto significherebbe non capire come la Lega possa ottenere consenso, al di là e nonostante le pagliacciate di un Borghezio, anche nei settori produttivi più avanzati e tra segmenti della borghesia e delle intellettualità del Nord. In effetti, se disaggreghiamo i parametri negativi concernenti l’intero paese e li riferiamo alle sue zone macroeco­no­miche, vediamo che la “Padania” presenta standard di efficienza, condizioni economiche e civili che la mettono alla pari con l’Europa più avanzata, innanzi tutto nel livello e nella qualità dei servizi pubblici offerti sia centralmente (istruzione), come anche sul piano regionale (sanità) e locale (trasporti, rifiuti, acqua, distribuzione del gas, asili nido). Nel Nord è anche più sviluppata l’economia della conoscenza: la “innovation performance” delle regioni del nord Italia, secondo l’European Innovation Scoreboard, è in sostanza allo stesso livello delle regioni più sviluppate d’Europa e un altro importante indicatore – gli investimenti in ricerca e sviluppo – rivela come questi siano nel 2007 marcatamente concentrati nelle regioni del Centro-nord, e in particolare in Lombardia e in Piemonte, per cui Nord-ovest e Nord-est assommano – secondo l’Istat – al 58,9% del totale degli investimenti. Infine, se si escludono le regioni meridionali, l’Italia si colloca nella capacità di brevettazione nettamente al di sopra della media europea (in base ad un rapporto della Commissione Europea del 2009). Anche in termini di addetti nei settori high-tech e nei servizi ad alta intensità di conoscenza il Nord-Ovest dell’Italia è terza in Europa dopo l’Île de France e la Baviera. Infine, la qualità del capitale umano è decisamente più scadente al Sud di quanto non sia al Nord, così come dimostrano le indagini europee (PISA, PIRLS, TIMSS) e nazionali (INValSI). E si sono fatti solo degli esempi.

Basta che di questo si convincano anche alcune altre regioni (come la Toscana e l’Emilia-Romagna) e il gioco è fatto. Al meridione d’Italia si concede volentieri la sua “vocazione mediterranea”, dando a Roma il compito di rappresentare la punta avanzata di un “mare nostrum” sul quale si affacciano le economie e i paesi più arretrati: rispetto a questi, la “città eterna” può ben avere un ruolo di guida, esercitare anche il suo “magistero morale”, nel contempo venendo lentamente e gradualmente risucchiata sempre più indietro. In fondo, la decadenza di un paese non si misura in anni, ma in decenni, a volte in secoli. Abbiamo dunque ancora tempo per ballare sulla tolda del Titanic, in attesa che questo sprofondi, cercando intanto disperatamente di arraffare le scialuppe che permettano quelle “piccole salvezze” che sono in grado di assicurare l’interesse immediato, biologico, di corto respiro di ceti ormai incapaci di essere classe dirigente generale. Non è vero che anche i passeggeri di prima classe affonderanno insieme agli altri: riusciranno con i propri soldi e col proprio potere ad assicurarsi le poche scialuppe disponibili.

Stiamo assistendo, da una parte, a un fenomeno centrifugo di disunione finalizzato alla ricerca di una salvezza regionale e di gruppo, che con la Lega e il federalismo si è concretato in un piano politico lucido e cinico; dall’altra, alla tentazione di gran parte delle classi dirigenti italiane – specie nel Meridione – a perseguire una strategia di assicurazione corporativa e di salvaguardia dei propri benefici economici e sociali, nell’indifferenza per il resto del paese e per le classi sociali che si troveranno a soccombere, incapaci di difendere i propri livelli di vita. Analogamente alla realtà sociale dei paesi sudamericani – con una classe dominante borghese, volta a garantire ai propri consumi un livello analogo a quello dei paesi più progrediti, e una enorme massa di diseredati tenuta a freno con telenovelas e repressione – così in Italia si sta venendo a creare una sempre crescente frattura tra i garantiti e le masse popolari. Tra i primi vi sono coloro che, grazie al proprio ruolo sociale e ai meccanismi di interconnessione col potere, sono in grado di massimizzare i propri micro- e macroprivilegi, ritagliandosi quanto più possono della ricchezza sociale in termini di sinecure e di posti di potere: il notaio che perpetua il proprio lavoro nei figli, il docente universitario che esercita il nepotismo, il burocrate che capitalizza la propria facoltà discrezionale, e così via per giungere alla sommità, al politico che ormai intende la propria funzione come una professione geneticamente trasmissibile e quale imperdibile occasione per acquisire ulteriore potere e denaro in modo da consolidare per sé e la propria famiglia una situazione di privilegio sociale duratura nel tempo, che lo metta al riparo da ogni bufera o recessione economica (e la recente vicenda dei “tagli ai costi della politica” ne è la lampante dimostrazione). Ai non garantiti, alle masse popolari, alle classi medie che via via si impoveriscono sempre più, all’enorme quantità di persone senza potere e spesso in condizioni di lavoro precario, non resta che abbrutirsi con la televisione commerciale, sognare destini da tronista e da velina, trasformarsi in clientes e massa di manovra di chi detiene denaro e influenza, sperando di arrivare alla fine del mese e di avere quanto basta per assicurare ai propri figli un minimo di educazione e di possibilità di sopravvivenza futura.

È in questo quadro complessivo che si intende la strategia della Lega e il consenso che essa riceve anche in settori lontani dai trucidi e plebei slogan di alcuni dei suoi esponenti, nonostante le pernacchie e i rutti di un Bossi: è l’idea di poter trovare una propria via alla salvezza, gettando al mare la zavorra inutile, i pesi morti, prima che la nave affondi trascinando con sé anche i virtuosi e operosi cittadini padani. A questa “salvezza separata” si può rispondere o con rassegnazione – accettando come irreversibile la disunione e lo strappo dell’Italia, con la conseguente deriva “mediterranea” di gran parte di essa, in attesa della rinascita dei paesi della sua sponda Sud – oppure reagire con forza. Ma per fare ciò è innanzi tutto necessaria una nuova classe politica meridionale che dismetta la sua subordinazione e il proprio ascarismo e cominci a rifiutare politiche eccessivamente sbilanciate in favore degli appetiti leghisti, fondate su di un inaccettabile scambio impunità/fe­deralismo. Ma è anche indispensabile che la classe politica nazionale sia nuovamente in grado di pensare come soggetto universale, avendo di mira gli interessi generali del paese e non più quelli di singoli, gruppi e parti, abbiano essi natura personale e/o aziendale o carattere regionale. È appunto in tale delicato frangente, per la sua capacità di pensare “in generale” secondo la migliore tradizione illuminista e liberale, che LeG può esprimere tutte le proprie potenzialità. V’è ancora molto lavoro da fare.

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