Il corpo e la coda del PD

11 Lug 2011

L’astensione del Pd sulla proposta di legge riguardo all’abolizione delle Province? Un voto sbagliato secondo un giovane rappresentante dello stesso partito. Dal gruppo dirigente ci si aspettava qualcosa in più: “Non che brandissero manifesti contro le Province (che in molti casi esprimono anzi amministrazioni e amministratori ottimi), ma che conducessero la partita dal terreno del populismo a quello della proposta popolare”

Non ci sono scuse, è stato commesso un errore dai nostri timonieri. Un errore politico grave, che si trascina dietro molteplici responsabilità. E che nelle basi che frequento non vedo alcuna disponibilità a difendere o tanto meno “tollerare”.
Il punto è questo: chi e che cosa rappresenta davvero quel voto di astensione sulla proposta di legge riguardo all’abolizione delle Province?

C’è tutta l’impressione, dalle basi, che questo voto rappresenti davvero troppo pochi per essere politicamente valido. Sono convinto, cioè, che se si aprisse una consultazione adesso tra gli iscritti sulla posizione del PD in merito alle Province, ci sarebbe una percentuale pari all’ultimo referendum a pronunciarsi per la loro abolizione. Si passerebbe senza dubbio il 90% . Vogliamo provare? Si potrebbe inserire in quel caso anche la questione dei veri costi della politica, dai livelli regionali in sù, e si arriverebbe allora ad un totale plebiscito.

Dunque, torno a ripetere, chi o che cosa rappresenta il voto di astensione alla Camera sull’abolizione delle Province? Rappresenta una distonia e una mancanza di confronto. Rappresenta più semplicemente una distanza, una sordità. E’ un voto autoreferenziale che rappresenta poco più che la stessa classe dirigente che l’ha espresso. Questo è il punto. Una posizione che non rappresenta la stragrande maggioranza dei militanti e degli iscritti, che validità politica può mai avere? Su questo è d’obbligo interrogarci.

C’è un PD che è uscito nettamente rafforzato dai due ultimi appuntamenti cruciali delle amministrative più referendum. Che ha ricostruito la sua forza popolare attraverso l’esercizio coraggioso di autentici percorsi di democrazia partecipativa: primarie e consultazione referendaria in primis. C’è un PD che è riuscito a rompere gli argini dell’antipolitica e dei liberi fermenti della società civile (comitati e movimenti), ricevendo una grande fiducia per trasformare questa urgenza di partecipazione in proposte serie.
C’è un PD che è tornato ad essere popolare in un frangente in cui in troppi si accontentano di essere populisti. Questo è il PD che conosco io, a cui vanno con orgoglio le nostre energie migliori e la nostra solida passione. E a cui non siamo disposti per nessun motivo a rinunciare.
C’è poi un sbatter di coda in superficie, che PD non è più ma che si arrovella nel tentativo di spostare la direzione dell’intero corpo cui fa riferimento. Succede però che il corpo è diventato grande, si è irrobustito e adesso è pesante da trascinare con un semplice battito di coda. Troppo, per chiunque. Succede allora che il corpo se n’è accorto e da qui in avanti avanza la pretesa di decidere la direzione da prendere prima di muoversi. Altrimenti, come ha già dato dimostrazione in recenti occasioni, è disposto anche ad affondarla. La coda che sbatte in superficie.

Il voto di astensione alla Camera è stato esattamente un improvviso battito di coda per cercare di frenare la corsa di un corpo che con amministrative e referendum ha già deciso la rotta da prendere. L’ha gridato dall’interno delle stanze di partito fino alle piazze più insospettabili e periferiche, impossibile non aver sentito. Per tutto questo il voto di astensione alla Camera è stato un errore goffo ed ingenuo. Che, inevitabilmente (anche solo per un fatto di orgoglio), avrà l’effetto direzionale opposto.

Una nota sul merito della questione, tanto per chiarire per l’ennesima volta che quel PD che stiamo costruendo è semplicemente un PD popolare e non populista, come in tanti amano confondere.
La proposta di legge dell’Idv sulla soppressione delle province, che mirava a respingere il mantenimento del primo articolo del testo, quello che cancellava le parole «le province» dal Titolo V della Costituzione, era davvero una proposta di legge limitativa e inefficace? Secondo me sì. Perché, come tutti si sono giustificati, non può bastare togliere la parola “province” dalla Costituzione per risolvere il problema. E’ vero. E’ lo stesso discorso che si è fatto riguardo al Referendum sull’acqua. Una volta abolita l’attuale forma di gestione, ci vogliono già pronte sul tavolo le proposte alternative altrimenti siamo ancora entro i confini del populismo, ci mancherebbe. Ma siccome il nostro è davvero un partito serio, guarda caso le proposte per l’appunto ci sono (sia in merito alla gestione dell’acqua che riguardo al superamento dell’attuale forma delle Province, tanto per chiarire). Allora perché non tirarle fuori in occasione del voto, per esempio in forma di emendamenti?

Ci aspettavamo semplicemente questo dal nostro gruppo dirigente. Non che brandissero manifesti contro le Province (che in molti casi esprimono anzi amministrazioni e amministratori ottimi), ma che conducessero la partita dal terreno del populismo a quello della proposta popolare. I tempi sono ormai più che maturi per parlare di accorpamenti di Province, aree vaste, aree metropolitane, Circondari, gestioni associate, politiche di area. Volevamo sentire le nostre proposte trasformate in segnale politico forte e tangibile. Ciò che invece davvero non vogliamo sono dei dirigenti astensionisti. Non si può balbettare quando la lezione la si è studiata bene e si conoscono perfettamente le risposte da dare. Non ci si può permettere, perché c’è un corpo vasto a cui fare riferimento e che chiede di essere rappresentato con l’orgoglio e la determinazione che merita. Altrimenti il timone che i nostri dirigenti hanno l’onore di manovrare, non sarà più un timone. Ma una coda che sbatte.

* L’autore è segretario cittadino del PD di Certaldo e socio LeG

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