Rivoluzione mite: l’impegno della società civile

30 Giu 2011

Una maggioranza tenuta insieme solo dalle proprie convenienze, un’opposizione sotto la lente dell’elettorato che ha dimostrato la propria forza e la propria maturità nelle amministrative e nei referendum. Associazioni, movimenti, studenti, cittadini, in una parola la società civile, guardata adesso con interesse dai partiti

Un Paese stanco e logorato, rassegnato a un destino di decadenza culturale e materiale. Un Paese senza futuro, troppo vecchio per partorire qualcosa di nuovo e troppo infantile per capire che deve finalmente voltar pagina.
All’indomani delle elezioni amministrative e dei referendum la classe dirigente è arenata, e il governo ha una vera maggioranza soltanto nelle dichiarazioni dei suoi sostenitori. Forse l’Italia è destinata al collasso o forse no. Nessuno lo sa veramente, tutti lo temono, nessuno corre ai ripari.
Il cittadino comune si sente sospeso sull’orlo di un fallimento inevitabile come i rifiuti di Napoli.
Nessuno sa da dove si debba e si possa ripartire. Nella maggioranza l’occupazione principale è quella di misurare le proprie personali convenienze: quanto resistere a fianco del Cavaliere, quanto cominciare a separarsene e per andare dove.
Berlusconi e Tremonti si alleano nella scelta di allontanare  il calice amaro a un tempo abbastanza lontano e imprevedibile, comunque il tempo degli altri.
L’opposizione vive un momento cruciale: protesta per la manovra sbagliata nei contenuti e nei tempi, dannosa. Gli italiani capiranno di chi sono le responsabilità? Bersani, Vendola, Di Pietro, e Casini sanno molto bene di essere tenuti sotto osservazione dai cittadini elettori in vista di scelte future. E sanno anche che i voti referendari non sono affatto trasferibili su elezioni politiche: che, comunque, non si sa quando saranno e con quale legge elettorale andremo a votare. La sensazione è che nessuna forza politica voglia veramente affossare il Porcellum che dà ai dirigenti la possibilità di continuare a distribuire il potere secondo il proprio interesse.
Adesso l’opposizione guarda con curiosità alla società civile, a quell’insieme di movimenti, comitati, associazioni, cittadini attivi che sono stati il motore del vento di cambiamento che ha caratterizzato la primavera appena passata. Sembra convinta che qualcosa di utile potrebbe arrivare da quella parte: dalla parte cioè che in questi anni ha silenziosamente lavorato sul territorio che era stato abbandonato proprio dalla politica e che ha cercato di fare da ponte tra la società e quei partiti ritenuti essenziali al funzionamento delle istituzioni ma anche giudicati al di sotto di ogni aspettativa quanto a proposte utili a sconfiggere il berlusconismo e quanto a strategia di opposizione in Parlamento.
E’ interessante che il discorso di Bersani alla direzione abbia affrontato questo tema, è interessante che si discuta oggi apertamente su come recuperare l’impegno referendario, il vento di cambiamento che è cominciato a soffiare all’inizio di febbraio col Palasharp di Eco, Saviano e Zagrebelsky e con le manifestazioni delle donne per culminare con il successo alle amministrative e ai referendum.
Un patrimonio da non disperdere: ma da dove cominciare e chi deve fare il primo gesto e come?
Cerchiamo di riassumere alcune  (poche) delle questioni che certamente stanno a cuore al complesso arcipelago della società civile.
C’è prima di tutto una questione di priorità: la costruzione di una cultura politica che sia diametralmente opposta a quella di Berlusconi. Trasparenza e legalità innanzitutto, ma anche autorevolezza e non populismo, Costituzione e diritti, autonomia della magistratura, uguaglianza, bene pubblico e libera e completa informazione.
Con la parola “diritti” intendiamo la cura di tutto ciò che oggi è vilipeso e deriso: dei più deboli perché migranti in cerca di una patria o perché disoccupati o precari senza speranza. Intendiamo gli studenti senza istruzione e  le donne e una visione laica della vita. Su tutte queste cose il popolo dei movimenti chiede impegni chiari e non sotterfugi, severità e rigore. Qui siamo davvero alla premessa. Senza la condivisione ferma e rigorosa di questi principi non c’è nemmeno inizio di discussione. Tutto questo non basta però a formare il cuore di un progetto di governo, ne forma l’ispirazione concreta. Ne è un riferimento preciso e riguarda il voltar pagina da ciò che abbiamo vissuto in questi anni.
C’è poi il problema di un generale e profondo cambiamento: esso riguarda sia la dirigenza delle forze politiche, e dunque dei partiti in quanto tali, sia la composizione delle liste elettorali e dunque dei nostri rappresentanti alla Camera e al Senato. E’ un discorso delicato ma anche non rinviabile e la società civile ne sta già discutendo in cerca di proposte e soluzioni. Riguarda infatti l’essenza stessa della forma dei partiti, non solo se debbano essere “pesanti” o “leggeri”, ma il loro ruolo, gli obiettivi a cui devono rispondere. I tempi sono cambiati, probabilmente oggi nessuno più penserebbe di rifare la vecchia Dc o il vecchio Pci, anche se ad essi si guarda spesso con nostalgia che forse non meritano.
E’ una domanda che ci coinvolge tutti: quali partiti vogliamo, quali dirigenti, quali istituzioni? Quale legge elettorale?
Credo che questa volta la società civile dovrà valutare bene il grado di coinvolgimento in una sfida dalla quale dipenderà la sorte di questo Paese. Ma qualunque impegno diverso dal passato dovrà sempre rispondere, a mio avviso, a due principi: di salvaguardare la propria autonomia e non chiedere nulla per sé (ma tutto per tutti, secondo la lezione di Zagrebelsky). Si entra in una terra abbastanza inesplorata, che va oltre la composizione delle liste e dei programmi.
Intanto, la prima scelta da fare potrebbe essere la seguente: la società civile dovrebbe lavorare da sola, aprendo propri tavoli di ricerca e di proposte di personalità (da candidare poi in liste proprie o da “offrire” ai partiti affinché le inseriscano nelle loro)?
Oppure: dovrebbe chiedere da subito ai partiti a cui è interessata di non decidere in solitudine ma di aprire il loro tavolo decisionale anche alla società civile? Marciamo insieme o marciamo separati?
Ricordo una importante esperienza di “democrazia partecipata” che ebbe luogo a Firenze nei primi anni novanta quando si trattava di scegliere un candidato sindaco e i partiti erano messi male anzi malissimo: un certo numero di garanti (cittadini al di sopra di ogni sospetto e che non correvano in proprio) “ascoltarono” tutta la città: i partiti, i sindacati, le organizzazioni di volontariato, le associazioni. La scelta di Mario Primicerio fu dunque frutto di una consultazione ampia, disinteressata e vincente.
E’ una via: la società civile non ha candidati “suoi” ma diventa lo strumento per individuare i candidati della comunità.
Un’altra sarebbe se improvvisamente ci trovassimo a disposizione personalità straordinarie per competenza e moralità (e consenzienti) da “offrire” o cercare di imporre ai partiti (sia come candidati in Parlamento che come candidati premier) oppure da sostenere autonomamente o con liste civiche.
Potremo discutere le forme migliori per questa nuova sfida: come partecipare alla ricostruzione del paese in maniera vincente, generosa, lungimirante. Come prendere in mano il destino del nostro paese senza chiedere nulla per noi. Come poter contare e pesare senza pretendere il potere.
Come fare la nostra rivoluzione mite, trovando la forza di cambiare tutto, a cominciare da noi stessi.

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