Effetto rompete le righe

31 Mag 2011

Lo schiaffo è diventato disfatta; e tentazione serpeggiante di un «rompete le righe» che il vertice del centrodestra si prepara a contrastare. A Silvio Berlusconi non basta dire che si tratta di una sconfitta attesa. Sia lui che Umberto Bossi escono umiliati dal responso di Milano; e la Lega non può nemmeno consolarsi con alcune vittorie minori. Sedici giorni fa era andata al voto amministrativo convinta di avere «quasi in mano l’Italia».

Lo schiaffo è diventato disfatta; e tentazione serpeggiante di un «rompete le righe» che il vertice del centrodestra si prepara a contrastare. A Silvio Berlusconi non basta dire che si tratta di una sconfitta attesa. Sia lui che Umberto Bossi escono umiliati dal responso di Milano; e la Lega non può nemmeno consolarsi con alcune vittorie minori. Sedici giorni fa era andata al voto amministrativo convinta di avere «quasi in mano l’Italia».

Dopo i ballottaggi, invece, si ritrova con un Nord quasi in mano alla sinistra. Quanto a Napoli, le dimensioni dell’affermazione di Luigi de Magistris sono ancora più brucianti per un centrodestra che aveva tutto da guadagnare dal malgoverno degli avversari. L’asse Pdl-Carroccio cerca di circoscrivere il disastro scaricandone le responsabilità sui rispettivi partiti; ma blindando il governo per il resto della legislatura, magari annacquando il rigore economico del ministro Giulio Tremonti. Si tratta di una mossa obbligata.
D’altronde, solo come frutto di chi ha accusato il colpo si spiegano le affermazioni del premier contro l’elettorato di Milano, che sarebbe condannato a «pregare Dio» per l’errore commesso; e contro quello partenopeo, destinato a pentirsi per come ha votato. In realtà, nelle pieghe di una delusione cocente si fa strada l’idea di un nuovo candidato a Palazzo Chigi: al governo, il dopo-Berlusconi è cominciato. Può darsi che non sarà formalizzato a breve termine e che il tentativo di galleggiamento prosegua. Ma il febbrile movimentismo della maggioranza e le tensioni nella Lega anticipano una difficoltà parallela e destinata a crescere, per le due leadership: quella del Cavaliere e quella di Bossi. Le doti di combattente di Berlusconi sono fuori discussione. E ieri lui stesso le ha rilanciate, per eliminare la polvere della sconfitta che questo voto deposita sul suo carisma prima smagliante.

Ma l’effetto indesiderato dei risultati di ieri è di avere posto naturalmente il tema della successione: una prospettiva che ormai riguarda non soltanto il futuro del presidente del Consiglio ma della coalizione. Da come sarà affrontato dipenderanno la vittoria o la sconfitta alle prossime elezioni politiche. Avere di fronte avversari con scarsa esperienza di governo e identikit estremisti non basta più, in sé, a scongiurare sorprese: l’elettorato non regala rendite di posizione a nessuno. Certo, l’idea che la «valanga rossa» di ieri diventi un modello nazionale lascia assai perplessi. La riapparizione di leader e comparse dell’Unione litigiosa e sconfitta nel 2008, pronti a celebrare la vittoria amministrativa e a considerarla in incubazione anche a Roma, probabilmente era inevitabile. Ma è sembrato un film con attori vecchi, nel quale peraltro la sinistra radicale ha i numeri per contare di più. Le parole in libertà con le quali esponenti dell’Idv e lo stesso Nichi Vendola hanno analizzato l’esito elettorale rischiano di sminuire la credibilità moderata che ad esempio il nuovo sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, si è sforzato di accreditare anche ieri. E dicono che il massimalismo, in politica interna ed estera, è un’ipoteca sui progetti di governo del Pd. Il partito di Pier Luigi Bersani ha vinto al Nord, e ha tenuto altrove: ma più come portatore di voti, che per avere espresso leadership. Il disastro del centrodestra sembra avere pochi padri; il successo della sinistra ne ha troppi. Ma l’elettorato ha dimostrato di essere esigente. E aspetta di essere governato, senza fare sconti a nessuno.

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