L’imbarazzo del premier per l’impegno col Senatur

23 Mag 2011

Bossi non conta frottole. Sui ministeri al Nord, Berlusconi gli ha dato via libera. Nel salotto di Palazzo Chigi, giovedì scorso, erano chiusi in quattro: Silvio, Umberto, più Giulio (Tremonti) e Roberto (Calderoli). Il senso del colloquio fu quello. Poi, siccome «verba volant», sulle parole esatte le versioni divergono.

Bossi non conta frottole. Sui ministeri al Nord, Berlusconi gli ha dato via libera. Nel salotto di Palazzo Chigi, giovedì scorso, erano chiusi in quattro: Silvio, Umberto, più Giulio (Tremonti) e Roberto (Calderoli). Il senso del colloquio fu quello. Poi, siccome «verba volant», sulle parole esatte le versioni divergono.

Dalle parti del Cavaliere sostengono che lui condivide «in linea generale» il decentramento da Roma «di alcune funzioni» che fanno capo alla presidenza del Consiglio, vale a dire «due-tre ministeri senza portafoglio». Più o meno i concetti (invero un po’ confusi) che Berlusconi ha bofonchiato anche ieri, dopo la visita in ospedale alla mamma dell’assessore aggredita giorni fa. Però, a questo punto, conta abbastanza poco quello che il premier ha detto testualmente nel colloquio di giovedì: la cosa importante è quanto ha capito Bossi. Il quale Bossi crede di avere realizzato un colpo gobbo: il trasloco a Milano dei dicasteri, il suo e quello di Calderoli, più magari in prospettiva un carrozzone di quelli importanti. Per lui la questione è semplice: c’è o no la parola del premier? C’è. E Berlusconi è uomo d’onore? Fino a prova contraria, lo è. Dunque, basta così.

Silvio, inutile dire, non è persuaso per niente. Si rende conto che spostare qualche ministero senza portafoglio a Milano o a Napoli sarebbe una finzione, quasi una presa in giro. Dubita seriamente che la mossa possa tornare utile per la campagna elettorale. Gli hanno spiegato che la Moratti deve recuperare a Pisapia tra i 50 e i 70 mila voti (a seconda di come andrà il candidato di centrosinistra). Dai calcoli in suo possesso però risulta pure che il suo Pdl non può recuperare granché, nel primo turno in fondo non era andato così male. Semmai chi fece flop fu la Lega, con 20 mila voti in meno. Ma perfino nel caso in cui la sparata sui ministeri permettesse a Bossi di riportare all’ovile tutti i suoi vecchi elettori, comunque questi non basterebbero a vincere la disfida. Insomma, quella sui ministeri sembra al Cavaliere un’uscita inutile al pari delle promesse che la Moratti dispensa a piene mani poiché «è finita l’epoca», ammettono dalle parti di Arcore, «in cui si vincevano le elezioni asfaltando le strade nell’ultima settimana».

Nello stesso tempo, Berlusconi non può, non è in grado di contrariare Bossi. E’ obbligato a dargli ragione. Per cui nel famoso faccia a faccia, dicono i suoi, ha ragionato così: passati i ballottaggi, magari la Lega dimenticherà le promesse, da lunedì prossimo avrà ben altro di cui occuparsi, meglio guadagnare tempo, dare ragione a Umberto e poi si vedrà… Sennonché stavolta il premier non ha saputo prevedere le conseguenze. Perché mezzo Pdl gli si sta rivoltando contro. Due governatori potenti come Formigoni e la Polverini, più il sindaco di Roma Alemanno, avvertono che di spostare ministeri (con o senza portafoglio) non se ne parla. Bossi è imbufalito, sospetta che Silvio stia scherzando col fuoco. O, peggio ancora, che non controlli il suo stesso partito. In parte è proprio così.

Il Pdl è una polveriera sul punto di esplodere. Non c’è solo Scajola all’assalto dei coordinatori nazionali, e nemmeno la fronda di Miccichè al Sud che fa proseliti pure tra i Responsabili. La Biancofiore, fedelissima del Cavaliere, minaccia di andarsene in un gruppo autonomo. A Milano il capogruppo Podestà attacca frontalmente il fiduciario del premier, Mantovani. Ferrara critica con ferocia Berlusconi sulle colonne del «Giornale» di famiglia… L’impressione, ai piani alti del partito, è di una nave senza timoniere. I due capigruppo, Cicchitto e Gasparri, hanno tentato ieri di loro iniziativa una mediazione con la Lega senza neppure informare preventivamente il Boss, che peraltro si è legato le mani da solo. Grande è la confusione sotto il cielo del Pdl. Ma non è nulla a confronto di quanto potrebbe accadere se, oltre a Milano, Berlusconi per caso domenica dovesse perdere anche a Napoli. Due sberle atroci. E allora sì che, come ammette uno dei suoi generali più fedeli, «salterebbe il tappo». In pubblico lui sostiene che non ci sarebbero contraccolpi sul governo, ma a crederlo sembra rimasto da solo.

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