Le ragioni della scelta

18 Mag 2011

Riparte oggi alla Camera l’esame del testo. Ma perché ai cattolici e credenti italiani non dovrebbero essere consentite quelle scelte che, invece, possono fare i fedeli di altri paesi europei?

Avremo una legislazione davvero “speciale” sul fine vita, se la Camera fra pochi giorni (oggi, mercoledì 18, riprende in aula la discussione) e poi il Senato, approveranno le disposizioni sul testamento biologico, o Dat, dichiarazioni anticipate di trattamento. Ci chiediamo qui perché ai cattolici e credenti italiani non saranno consentite quelle scelte che, invece, possono fare i fedeli di altri paesi europei, ugualmente cristiani, osservanti, disciplinati e rispettosi delle indicazioni emanate dalle conferenze episcopali locali. Siamo forse cittadini di un paese che il Vaticano e la Cei vogliono a sovranità limitata?

Per capire, partiamo dalla fonte ecclesiastica forse più autorevole in questa materia: la Pontificia Academia pro vita, che ha il dovere di informare e formare circa i principali problemi di “bioetica e di diritto relativi alla promozione e alla difesa della vita”. Il presidente della Pav, monsignor Ignazio Carrasco de Paula dice che ” la Chiesa non ha una posizione ufficiale” sulle Dat. “Non c’è un documento del magistero. Ci sono invece indicazioni di singole conferenze episcopali”.
Che quindi, pare di comprendere, possono esprimersi in maniera diversa e difforme l’una dall’altra, senza incorrere in violazioni dei precetti.

In realtà non è esattamente così. Infatti la Santa Sede si è, ovviamente e sempre, pronunciata senza esitazioni contro l’eutanasia (in particolare, Dichiarazione “Iura et bona” della Congregazione per la dottrina della fede, 1980). Quindi, nel caso di Eluana Englaro, per esempio, dice mons.Carrasco, “si è tolta l’alimentazione e l’idratazione per porre fine prematuramente ad una vita. Si è trattato di eutanasia”. Ecco, è la Nutrizione artificiale (Na) il centro e il cuore del provvedimento sul testamento biologico in discussione alla Camera. Mons.Carrasco ricorda il pronun- ciamento che la Congregazione per la dottrina della fede (responsabile dell’orto- dossia cattolica) emanò nel 2007 e che dispone un “criterio etico generale”, secon-do il quale “la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenta sempre un mezzo naturale di conservazione della vita e non un trattamento terapeutico. Il suo uso sarà quindi da considerarsi ordinario e pro-porzionato anche quando lo stato vegetativo si prolunghi”.
Se queste sono le regole generali che ispirano i cattolici, non c’è spazio, in Italia, per un provvedimento legislativo sul testamento biologico rispettoso della volontà del malato: così saremo condannati, se in stato vegetativo,al “sondino obbligatorio” anche per decenni (il caso di Eluana), perchè la Na è “sostegno vitale” e mezzo “naturale” per alleviare le sofferenze e non terapia medica (che potrebbe, invece, essere rifiutata, articolo 32 Costituzione).

A questo punto è necessario sapere “che cosa è “secondo i medici specialisti, la Na. Nel documento ufficiale elaborato dal consiglio direttivo e dalla commissione di bioetica della Società italiana di nutrizione parenterale ed enterale (Sinpe) si legge che “la Na è da considerarsi a tutti gli effetti un trattamento medico fornito a scopo terapeutico o preventivo. La Na non è una misura ordinaria di assistenza, come lavare o imboccare il malato non autosufficiente”. Esattamente il contrario di quanto sostiene l’autorità ecclesiastica italiana in veste ufficiale. Ancora la Sinpe: “Come tutti i trattamenti medici, l’attuazione della Na prevede il consenso informato del malato o del suo delegato”.
Quindi, se il malato è cosciente può rifiutare la Na e non gli può essere imposto il sondino. Ma la rinuncia alla Na, per la legge ora in itinere, non potrà essere disposta nel testamento biologico, per il momento in cui il paziente non sarà consapevo- le o sarà in stato vegetativo. Neppure il delegato potrà intervenire: deciderà il me- dico o una commissione, imponendo la Na col sondino. Nel nostro paese. Altrove, le norme sono diverse e accettate anche dai fedeli cattolici e dalle Chiese locali.
Per esempio, in Spagna il cosiddetto ‘testamento Vidal’ è legge (n.41/2002), ed il modulo della dichiarazione si può trovare addirittura sul sito web della Conferenza episcopale spagnola. E’ indirizzato “alla mia famiglia, al mio medico, al mio notaio” e anche “al mio sacerdote”. L’intento del firmatario è di “non consentire” che gli siano applicati tutti i mezzi possibili per tenerlo in vita, se non c’è alcuna speranza di miglioramento. Il modulo si chiude con questa commovente meditazione: “So che la morte è inevitabile, e pone fine alla mia esistenza terrena, ma, nella fede, credo che apra la strada alla vita che non finisce. Unito a Dio”.

Nella Germania di papa Ratzinger, invece, dove non esiste una legge sulle direttive anticipate di trattamento, la Conferenza episcopale locale (presidente il cardinale K.Lehmann) e il Consiglio delle Chiese evangeliche (pastore M.Kock), hanno predisposto da molto tempo il testo comune “Disposizioni cristiane del paziente”: “Non mi si deve applicare nessun intervento che prolunghi la vita se si accerta che ogni azione per mantenere la vita è senza prospettive di miglioramento e prolun- gherebbe soltanto il mio morire”. Quindi, nelle sue disposizioni, il paziente cattolico tedesco può addirittura chiedere che non siano neppure iniziati o comunque sia- no sospesi tutti i trattamenti cosiddetti “salvavita”, non solo la nutrizione artificiale, ma “la respirazione assistita, la dialisi o l’impiego di antibiotici”. Sempre che non ci sia alcuna speranza di miglioramento, “secondo scienza e coscienza medica”. Lo scopo è di garantire un trapasso umanamente dignitoso. Ovviamente, i malati che desiderano utilizzare tutti gli strumenti “salvavita” fino all’ultimo minuto, potranno farlo. Nel Parlamento italiano la scelta del legislatore è efficacemente esposta da Paola Binetti (Udc, non in maggioranza, ma concorde con il progetto sulle Dat, di cui è relatore il Pdl Domenico Di Virgilio): ” La somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenta sempre un mezzo naturale di conservazione della vita e non un trattamento terapeutico. Il suo uso sarà quindi da considerarsi ordinario e proporzionato, anche quando lo stato vegetativo si prolunghi”, e si eviteranno così al paziente “le sofferenze e la morte dovute a inanizione e disidratazione”. Sono quasi le stesse parole di mons.Carrasco e della Cei.

Ma c’è di più: sempre l’Udc alla Camera ha recentemente presentato un emendamento al ddl sulle Dat, che “precisa” meglio l’art.32 Costituzione. Si stabilirebbe, per la prima volta per legge, che idratazione e alimentazione artificiali non sono in nessun caso un trattamento terapeutico e dunque “non sarebbero compresi nell’ambito dell’articolo 32 della Carta”. Nella vana speranza di chiudere le polemi che e addirittura di evitare una probabile pronuncia di illegittimità delle norme ora in approvazione in Parlamento, dalla Consulta (che già si è pronunciata sull’art.32 con sentenza 471 del 1990).
Eppure nelle Assemblee ci sono cattolici che, numerosi, esprimono concetti diversi. Secondo Pierluigi Castagnetti, Pd,presidente della Giunta per le autorizzazioni,”la morte non può essere normata. Credo che sarebbe saggio non legiferare”, sulle scelte ultime dell’essere umano, che appartengono “alla coscienza, alla scienza, alla intelligenza e alla fede (se c’è) delle persone coinvolte. A loro e non alla legge”. Lo stesso spirito mite e rispettoso verso le scelte dei malati, ha manifestato in più occasioni il cardinale Carlo Maria Martini, il quale inviò ai medici cattolici un messaggio per ribadire che “è molto utile considerare accanto al semplice concetto di vita fisica, anche quello della dignità della vita”. E si chiedeva quando “è dovere del medico non accanirsi e sapersi fermare, se non c’è più nulla da fare”.

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