Giustizia, le domande dei magistrati

Egregio Direttore,
insulti, denigrazioni e attacchi delegittimanti ai magistrati -nonostante i ripetuti inviti del Presidente della Repubblica alla moderazione ed al rispetto delle istituzioni- sono, da tempo, abituali modalità espressive del Presidente del Consiglio e di altri esponenti politici, allorché si occupano di giustizia. Gli ultimi episodi, tuttavia, devono suscitare un vero e proprio allarme. Dimostrano, infatti, che si è creato un clima favorevole al diffondersi di certe prassi. Le timide reazioni che esse hanno trovato, quando non sono cadute nel silenzio, stanno –probabilmente- convincendo molti che è ben possibile continuare su questa strada, che assicurerà un risultato: il discredito generalizzato dei magistrati e della loro funzione, benché essenziale per la sopravvivenza dello Stato democratico di diritto. Mi domando a chi giovi il fatto che chi è chiamato giornalmente a dare a ciascuno il suo, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, sia guardato pregiudizialmente con sospetto dalle parti in causa.
Ma non è questa la ragione che mi induce ad intervenire. Ciò che mi allarma e mi indigna – e so di interpretare opinioni e sentimenti di tutti i magistrati del Piemonte e della Valle d’Aosta – è che si sia superata la soglia della tollerabilità. E mi inquieta il fatto che ciò sia ancora una volta avvenuto nel silenzio assordante dei più.
Mi riferisco ai manifesti apparsi nei giorni scorsi nelle vicinanze del Palazzo di Giustizia di Milano, che segnalavano l’asserito “brigatismo” dei pubblici ministeri di quella città. Una infamia. È difficile non pensare ad Emilio Alessandrini ed a Guido Galli, pubblico ministero e giudice istruttore a Milano, due tra i migliori magistrati di questa Repubblica, assassinati (lo spiegarono i terroristi) perché con il loro lavoro riuscivano a dare credibilità allo Stato. E se, come è inevitabile, il pensiero torna a loro, è difficile non indignarsi e fronteggiare l’inquietudine.
Siamo indignati per il contenuto del volantino. Come definirlo? Rozzo? Squallido? O semplicemente irresponsabile? Davvero non ci sono parole. Ma siamo ancor più indignati per il fatto che il pensiero di alcuni uomini delle istituzioni lo abbiamo letto solo sui quotidiani di domenica, mentre ci attendevamo ben altra reattività alla notizia uscita già venerdì.
Ci inquieta il silenzio dei più anche in questa occasione. Non ho letto reazioni dell’avvocatura. Non so di attestazioni di solidarietà ai magistrati di questa città: non sono venute né dagli avvocati, né da altri. Eppure in questa città, all’esito di un giusto processo –giusto anche allora- fu accertata la colpevolezza degli assassini di Emilio Alessandrini e di Guido Galli. Prima, sempre a Torino, le Brigate Rosse avevano colpito l’avvocato Fulvio Croce e dopo la ‘ndrangheta uccise il Procuratore Bruno Caccia.
Ecco perché noi magistrati ci domandiamo: è così difficile schierarsi in questo momento? È così difficile capire che la credibilità delle istituzioni è patrimonio dell’intera comunità? È velleitario augurarsi che non si smarrisca il senso della storia e delle sue tragedie, peraltro neppure tanto remote? E chi ha il compito di tenere viva la memoria di una comunità, se non chi ha maggiori responsabilità: nelle istituzioni, nelle professioni, nelle diverse articolazioni di una società che vuole essere ancora libera?
Per questo i magistrati del Piemonte e della Valle d’Aosta avvertono come loro dovere il far sentire la propria voce. Lo stiamo facendo in questi giorni e continueremo a farlo, per spiegare che la difesa della legalità, in questo paese, è a rischio, e che è triste il futuro di un paese che non si indigna mentre vede screditati coloro che sono chiamati a difenderla: guai se subentra l’assuefazione alla deriva di questi giorni!
Cordialmente

* Presidente della Giunta del Piemonte e Valle d’Aosta dell’Associazione Nazionale Magistrati

Questa lettera è stata inviata al direttore de La Stampa e pubblicata sul quotidiano di Torino il 20 aprile.

3 commenti

  • I magistrati si domandiamo: è così difficile schierarsi in questo momento? È così difficile capire che la credibilità delle istituzioni è patrimonio dell’intera comunità? È velleitario augurarsi che non si smarrisca il senso della storia e delle sue tragedie, peraltro neppure tanto remote? E chi ha il compito di tenere viva la memoria di una comunità, se non chi ha maggiori responsabilità: nelle istituzioni, nelle professioni, nelle diverse articolazioni di una società che vuole essere ancora libera?

    http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200912articoli/50830girata.asp

  • E’ bene poggiare i piedi per terra e tenere presente che diciott’anni di diuturna campagna elettorale con le molteplici gran grancasse di cui dispone il “crocodillus”, trangugiata ob torto collo a colazione,pranzo e cena anche da sordomuti e non vedenti con residenza e cittadinanza stabile, hanno fiaccato la capacità di indignazione di un’intero popolo,il quale a distanza di un secolo e mezzo dall’apparente sua unità politica,non smentisce la discendenza dagli abitatori della terra di Ausonia un tempo florida, posta in gran parte in mezzo al mare soggetta a secolari scorrerie e spartizioni tra vandali,emiri,monarchi,principi,duchi e baroni famelici per grazia più o meno divina concessa contrattualmente dal vescovo re di Roma e terre circostanti,

  • Conflitto di poteri ed equilibrio istituzionale nel quadro riformatore
    20 aprile 2011

    In un paese che si vanta di essere democratico come il nostro, l’equilibrio dei poteri risulta essere un valore di riferimento nell’ambito del primato della politica.

    Assicurare una giustizia tempestiva e certa al popolo sovrano è un dovere imprescindibile, cui nessuno può sottrarsi.

    L’entità statuale democratica non ha altro valore e funzione che quella di assicurare servizi ai cittadini.

    E questi servizi devono essere alla altezza di un paese avanzato come il nostro.

    Mentre sappiamo con certezza che la lentezza della macchina della giustizia respinge l’ingresso di intraprese economiche e finanziarie dall’estero, e costringe, in concorrenza con altri fattori quali l’elevata imposizione fiscale e l’perburoratizzazione delle procedure, alla delocalizzazione di quelle esistenti.

    Il quadro che ne viene fuori è deludente e mortificante per il mondo del lavoro italiano, quel mondo che paga lo stipendio a tutti gli attori di questo “conflitto di poteri”.

    Si comprende meglio come una certa quantità della enorme evasione fiscale trovi fondamento (e non giustificazione) proprio nella inefficace risposta della pubblica amministrazione al mondo della tutela e della sicurezza delle famiglie e delle aziende, nel corrispettivo di servizi fondamentali quali la cura della salute pubblica ovvero nella garanzia di una giustizia certa nei tempi e nelle modalità.

    Va chiarito che, i soggetti qualificati per riformare il mondo della giustizia siano quelli che la Costituzione indica e che noi possiamo riunire nel termine di Politica.

    E la politica esiste per la Costituzione come poteri esecutivo e legislativo.

    Alla politica il popolo sovrano delega appunto la sua sovranità, al fine di legiferare in esclusiva e di governare in esclusiva.

    Nessun altro potere dello stato è qualificato, garantito e riconosciuto tale per realizzare le riforme che urgono al paese.

    Nessuno.

    E se non si vuole rispettare il popolo sovrano nelle decisioni di quei poteri dello stato preposti dalla costituzione a legiferare, governare e riformare il paese, allora il termine di stato democratico non è più consentito ne giustificato.

    Ognuno può esprimere la propria opinione, ma nessuno, ripeto, nessuno è autorizzato a dire cosa la politica deve fare o non fare, come deve riformare o non riformare.

    Nessuno tranne il popolo sovrano in una cabina elettorale.

    Ogni tentativo di impedire l’esercizio di un potere dello stato, non è riconosciuto, tutelato e garantito dalla carta costituzionale, se non è addirittura in conflitto con essa.

    Questo conflitto fra poteri dello stato deve rientrare nel suo alveo costituzionale, riportando il livello di contrasto a livelli democraticamente accettabili, all’interno dei quali, un giudice deve trovare la giusta serenità nel giudicare ed un politico deve trovare la giusta serenità nel governare il futuro ed il presente di questo paese.

    Tutto deve essere compiuto nell’esclusivo interesse del popolo sovrano e non contro di esso.

    Ogni tutela di parte, che sia di diritto istituzionale e costituzionale o di privilegio di casta, deve sottomettersi all’interesse del popolo a ricevere una giustizia certa e tempestiva.

    Si sottolinea invece come le caste, non siano previste ne come organo costituzionale, e nemmeno come organo istituzionale all’interno della nostra Costituzione.

    Coloro i quali siedono quindi nelle alte cariche istituzionali e costituzionali vanno richiamati ai loro doveri, da svolgere senza accessi abusivi ed eccessi di personalismo.

    Le regole democratiche valgono per i cittadini qualunque come per i così detti “servitori dello stato”, i quali debbono appunto servire in esclusiva gli interessi dello stato e della sua sovranità fondante:

    il Popolo.

    Gustavo Gesualdo
    alias
    Il Cittadino x

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