La legislatura resisterà fino al 2013?

19 Apr 2011

Per il momento in cui si colloca, la lettera di Giorgio Napolitano al vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti, ha quasi il sapore di un messaggio alle Camere.

Per il momento in cui si colloca, la lettera di Giorgio Napolitano al vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti, ha quasi il sapore di un messaggio alle Camere.

Quantomeno ne ha la sostanza, soprattutto dove si manifesta il timore che «nelle polemiche sull’amministrazione della giustizia si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni». Il richiamo, s’intende, è rivolto a tutti. E lo spunto l’ha offerto il manifesto sulle Brigate Rosse in procura fatto incollare sui muri di Milano da un candidato del Pdl.

L’iniziativa di questo signore – a suo tempo vittima di un errore giudiziario – rischia di danneggiare la coalizione che sostiene il sindaco Moratti più di una guerra perduta. Ma è ovvio, tuttavia, che non è solo il turbamento per la vicenda milanese a muovere Napolitano. Le «esasperazioni» sulla giustizia conducono in via diretta alle polemiche innestate in un crescendo senza precedenti dallo stesso presidente del Consiglio. È a lui che, senza nominarlo, si rivolge il capo dello Stato, consapevole di dover coniugare in questo caso il massimo di cautela formale e di chiarezza sostanziale. Ma sarebbe difficile non vedere il vero significato delle sue parole.

Il bersaglio immediato resta dunque lo sciocco manifesto e il suo autore, quello politico è assai più ingombrante e conduce dalle parti di Palazzo Chigi. È evidente che il Quirinale ritiene indispensabile una messa in guardia prima che sia troppo tardi, visto che la campagna per il voto amministrativo sta entrando adesso nel vivo e non sappiamo cosa può capitarci nelle prossime due o tre settimane.

D’altra parte, l’idea di Berlusconi è palese. Radicalizzare al massimo lo scontro; trasformare il normale conflitto maggioranza-opposizione in una contesa all’ultimo respiro tra maggioranza e magistratura, attribuendo a quest’ultima (o a una parte di essa) un rilievo politico di fatto. È un gioco spregiudicato che devasta le istituzioni, ma che forse in termini elettorali può dare qualche frutto perché serve a mobilitare i «fan», i sostenitori, eccitati dall’odore della polvere da sparo.

Ma a questo punto torna la domanda cruciale che già si era posta nelle scorse settimane: è pensabile andare avanti in queste condizioni fino al 2013? La risposta ufficiale degli ambienti governativi è sempre la stessa: sì, perché c’è una riforma della giustizia in gestazione, accompagnata da un ambizioso piano per lo sviluppo economico. Eppure tutti sanno che i passaggi decisivi sono altri. A Milano e a Napoli Berlusconi ha bisogno di un risultato squillante. Soprattutto a Milano. Se le cose dovessero andar male, la collana governativa rischia di sgranarsi in modo irreparabile. Ecco perché il premier ha scelto di partire alla carica, non contro Bersani o Di Pietro, ma direttamente contro le procure. A costo di sovrapporsi a iniziative improvvide di candidati minori (del resto, non era Berlusconi ad aver parlato giorni fa di «brigatismo giudiziario»? Frase che gli è stata attribuita senza smentite).

È logico che di questo passo si può arrivare al punto di rottura. La legislatura non è d’acciaio. Le incognite sono tante, a cominciare dalla legge sul «processo breve». Per quanto se ne sa, Berlusconi non vuole le elezioni anticipate. Tuttavia intende farsi trovare pronto, qualsiasi cosa accada dopo le amministrative.

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