Il collasso della riforma Brunetta

18 Apr 2011

Storia di come si distrugge un progetto di riforma che ha come cardini trasparenza e valutazione della pubblica amministrazione. Il racconto di Pietro Ichino, primo firmatario della legge cui si è ispirata la mancata rivoluzione di Brunetta, del sindacalista Alberto Villa e di Pietro Micheli, lo studioso chiamato a far parte della commissione centrale e che poi si è dimesso. Le foto

Il collasso della riforma Brunetta, i relatori

“Dovrebbe essere l’infrastruttura fondamentale di un paese civile. E invece…”. L’esordio di Salvatore Bragantini, moderatore dell’incontro a tema Il collasso della riforma Brunetta, organizzato da LeG Milano, chiude ogni possibile fantasia sul futuro italiano. Trasparenza, misurazione dei servizi e valutazione dei meriti, per quel che ci riguarda, restano solo le buone intenzioni di un disegno di legge presentato dal Pd e trasformato in corso d’opera fino a farlo diventare la Riforma Brunetta della pubblica amministrazione.

Primo firmatario di quel progetto originario è Pietro Ichino, al tavolo dei relatori dell’incontro di LeG, con Pietro Micheli, componente dimissionario della Commissione centrale per la valutazione e la trasparenza (CiVIT), tra i cardini della riforma presto trasformata nella crociata contro i fannulloni e Alberto Villa, segretario funzione pubblica di Cgil Lombardia. Tre anni dopo il primo incontro promosso da LeG, i relatori si incontrano nella stessa sala, l’auditorium San Carlo di Milano, per fare il punto. “LeG marcia in direzione ostinata e contraria”, scherza Bragantini citando De Andrè.

La parabola discendente che trasforma il progetto iniziale nel pasticcio brunettiano la illustra il senatore Ichino. “La riforma Brunetta recepisce alcuni princìpi del nostro progetto – spiega – ma include anche cose che personalmente non condivido, come per esempio la retromarcia netta in materia di retribuzione collettiva. Poi è accaduto, ma l’abbiamo saputo molto dopo, che dal controllo di trasparenza si consideravano escluse la presidenza del Consiglio e anche il ministrero dell’Economia e, ancora, che il magistrato di cassazione scelto per presiedere la commissione aveva un figlio cui il ministro Brunetta aveva affidato una consulenza da 40 mila euro. Infine, con la manovra estiva di Tremonti, il colpo finale, perché vieta l’erogazione dei premi”. Tra le note negative, Ichino include anche l’accordo del 4 febbraio siglato dal ministero con Cisl e Uil e che affida la valutazione a una cogestione tra manager e sindacato. “La Cgil non firma, ma non motiva la sua posizione a sostegno del principio della valutazione indipendente”, accusa il senatore pd. La replica è di Alberto Villa: “Nell’introduzione al testo dell’accordo,il ministro Brunetta scrive: ‘La pubblica amministratzione è un mostro acefalo, cogestito dal sindacato e dalla cattiva politica’. Con quale pregiudizio si affrontava il confronto? Non potevamo firmare un testo che smentiva gli accordi precedenti. Ora abbiamo una riforma inapplicabile, con organismi in lotta per aggiudicarsi la valutazione”.

Ma il declino di una riforma alla quale , “evidentemente non tiene nemmeno il governo – diche Ichino –  visto che non l’ha comunicata ai cittadini”, lo illustra Pietro Micheli. Il racconto della sua personale esperienza attraverso slides divertenti fa sorridere. Ma il risultato è quello di una riforma a metà, di una rivoluzione annunciata e mai pienamente realizzata nemmmeno sulla carta. Il punto massimo della deriva è quello raggiunto dalla CiVIT, la commissione impostata su criteri rigidamente burocratici e senza alcun coinvolgimento dei cittadini. Micheli, un curriculum anglosassone, con esperienza in paesi dove i principi di trasparenza e valutazione sono applicati da decenni, aveva accettato di farne parte ma si è subito scontrato con il muro di gomma italiano: ha presentato le dimissioni e ora è tornato a insegnare in Gran Bretagna. “Un percorso che si riassume con una bibliografia facile: da Leading change, di J.P.Kotter,il cambiamento essenziale, a Organizational culture e Leadership di Shein, a Friendly fire, fuoco amico, di Snook a Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, perché tutto cambia, perché nulla cambi”. I sospetti si addensano subito sul trentenne di cultura inglese, fin dal momento in cui Pietro Ichino lo propone come “esperto di riferimento”, l’uomo giusto per guidare la Civit. “Il genero di Ichino, il tecnico, il giovane, l’inglese, l’espertone e l’infiltrato”, gli epititi si sprecano. Tutti cercano di capire “cosa ci sia oltre”, dietro le spalle di un uomo “troppo giovane” per i modi italiani, in un posto “troppo in vista”.

L’incontro scatena applausi e curiosità; il pubblico si riconosce nell’esperienza di Micheli. In sala, mentre scorrono le slide, è un coro di “anche in banca succede così”, “anche in ufficio mi è capitato”, “come a scuola”. La risalita? “Prevede un percorso fatto di poche, essenziali regole d’oro”, spiega Micheli. E a scorrerne l’elenco ci si accorge ancor di più del fallimento italiano: “Il supporto politico per l’utilità e l’urgenza della riforma; l’introduzione di entità indipendenti preposte alla valutazione;  rapporti chiari tra le organizzazioni coinvolte; risorse umane e finanziarie”.

GUARDA LE FOTO DELL’INCONTRO

LE SLIDE DI PIETRO MICHELI

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