Il calderone mediterraneo

15 Apr 2011

e insurrezioni nel mondo arabo che si affaccia sul Mediterraneo hanno colto l’Occidente di sorpresa. Non poteva essere diversamente: sono insurrezioni di giovani attizzati dalla tecnologia, dai telefonini, dalla televisione e soprattutto da Internet. Come si fa a indovinare se e quando «la Rete» accenderà un incendio?

Le insurrezioni nel mondo arabo che si affaccia sul Mediterraneo hanno colto l’Occidente di sorpresa. Non poteva essere diversamente: sono insurrezioni di giovani attizzati dalla tecnologia, dai telefonini, dalla televisione e soprattutto da Internet. Come si fa a indovinare se e quando «la Rete» accenderà un incendio? Molti dicono «rivoluzione». Ma sbagliano. Per ora assistiamo soltanto a rivolte, a insurrezioni. Che in passato sono state per lo più rivolte di contadini che non hanno mai portato a nulla perché erano soltanto rivolte.

Le rivoluzioni sono una cosa diversa e sono soltanto moderne. La prima ad essere chiamata tale fu la «gloriosa rivoluzione» inglese del 1688-89. Ma fu una rivoluzione anomala. Rivoluzione perché trasformò la monarchia inglese in una monarchia parlamentare; ma anomala perché avvenne quasi senza colpo ferire. Pertanto la rivoluzione per antonomasia, la rivoluzione «modello», fu la rivoluzione francese del 1789. Che fa testo perché fu una conquista violenta del potere dal basso, che poi ristruttura il potere. Il che sottintende che una rivoluzione è tale perché incorpora un progetto che poi realizza. Alle spalle della rivoluzione francese c’era l’età dei lumi, l’illuminismo. Invece alle spalle delle insurrezioni non c’è nulla. Sono esplosioni senza progetto.

In quasi tutta l’Africa e dintorni, seppure con importanti eccezioni, il potere è oggi dei militari, e sono i militari che bloccano l’Islam. In Siria Assad, padre dell’attuale presidente, sterminò i Fratelli Musulmani a cannonate. In Iraq la feroce dittatura di Saddam Hussein fu laica perché Saddam estromise l’Islam dal suo sistema di potere. In Egitto Mubarak, che era un dittatore moderato, pur sempre controllava strettamente i Fratelli Musulmani di casa sua. Però, nel 2005 permise che si presentassero alle elezioni in un centinaio di circoscrizioni e si ritrovò, con sua sorpresa, con 88 seggi (un 20 per cento dell’assemblea popolare) conquistati dagli islamici. E dove regna il caos, come in Somalia, è solo l’intervento etiopico che impedisce agli estremisti di Al Qaeda di conquistare il Paese. Pertanto chi proclama, in Occidente, che le «rivoluzioni arabe hanno seppellito l’islamismo» parla a vanvera con poca conoscenza di causa.

Torno all’Egitto. Anche lì i ribelli chiedono «democrazia». Ma se guardiamo alle strutture l’Egitto è già, ufficialmente, una «Repubblica araba con un sistema democratico socialista» di tipo presidenziale, con un Presidente eletto a suffragio diretto per 6 anni (rinnovabili) e un parlamento bicamerale anch’esso eletto periodicamente. Eppure era, di fatto, un regime autoritario fondato sul potere dei militari. Sulla carta l’Egitto è già, o potrebbe già essere, una democrazia. Ma le forze organizzate che muovono le pedine del gioco sono il potere della forza da un lato, e il Corano dall’altro.
Può darsi che i giovani che hanno dominato la piazza cerchino a loro volta di organizzarsi in partiti o comunque in forze elettorali e di governo. Può darsi, ma la gioventù che si ribella in Nord Africa e dintorni non è preparata per questo. Come dicevo, non ha un progetto. E il dramma è che si ritroverà, in Egitto, in Tunisia e anche in Libia (dove assistiamo davvero a una «drôle de guerre», a una guerra strana e impasticciata che non ha precedenti) più affamata che mai.

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