Quello che serve davvero alla Giustizia

01 Apr 2011

Cosa significa riformare la giustizia? Cosa serve per rendere i processi più veloci, ridurre le cause civili e penali e recuperare efficienza e affidabilità

Prosegue il dibattito sulle riforme possibili con questo intervento del magistrato Sergio Materia con queste proposte che ricalcano, approfondendoli i punti discussi dall’Associazione nazionale magistrati.

Riforma della giustizia significa riduzione del numero delle cause civili e penali e della durata delle singole cause; in generale, recupero di efficienza e affidabilità del sistema giustizia.
1) Il carico di procedimenti penali in Italia è molto superiore a quello degli altri paesi europei. Per ridurre il numero dei reati servono più risorse per le forze di polizia a fini preventivi ma anche una revisione delle scelte di fondo che riducono la capacità deterrente del sistema.
La risposta al crimine è blanda, pur con durezze inusitate verso le persone più deboli: agli immigrati irregolari ad esempio sono riservate ipotesi di reato fonte di numerosissimi processi.
La applicazione alla lettera dell’art. 27 della Costituzione (la pena deve tendere alla rieducazione del condannato) ha prodotto in linea generale una riduzione della afflittività della pena in termini sia di durata in concreto (per i relativi benefici applicabili) sia di quantità di effettiva riduzione della libertà personale.
La filosofia su cui si fonda l’ordinamento penitenziario (secondo il D.P.R. 354/75, art. 1, il fine della pena è il reinserimento sociale tramite il “trattamento rieducativo” del condannato) rimane però in larghissima parte inattuata per inadeguatezza delle strutture e delle risorse, per il sovraffollamento delle carceri che non permette la umanizzazione della pena, per l’alto numero di detenuti stranieri privi di riferimenti sociali fuori del carcere.
Le finalità di prevenzione generale, di difesa sociale e di prevenzione speciale, che secondo la Corte Costituzionale non contano meno di quella riabilitativa risultano, di fatto, meno considerate. Ne deriva un complessivo difetto di effettività della pena. Il recupero del condannato e l’efficacia preventiva della pena non sono certo in contraddizione. Ma se il recupero è per lo più illusorio e le altre finalità della pena sono sacrificate ne deriva un deficit in termini di mancata prevenzione di ulteriori reati.
E infatti le statistiche dimostrano che la recidiva è molto frequente: la stessa persona commette molto spesso più reati nel tempo, e ciò dipende in buona parte dalla insufficiente risposta iniziale, soprattutto per i giovani radicati in contesti a rischio (oltre che, è ovvio, da problemi economico/sociali).
Occorre una depenalizzazione dei reati previsti per fatti di scarso rilievo. Utile anche la previsione della immediata archiviazione per irrilevanza del fatto e per particolare tenuità dell’offesa per fatti non offensivi in concreto.
Va assolutamente mantenuto il principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale, garanzia di uguaglianza tra i cittadini. Le scelte di priorità tra i processi in ogni caso non devono essere sottoposte a controllo politico. Potrebbero provvedere i Consigli giudiziari, allargati ai vertici locali delle forze di polizia previa eventuale consultazione di altri soggetti istituzionali.
2) La riduzione della durata dei processi penali implica la semplificazione delle procedure. La legislazione e la giurisprudenza attuali si ispirano all’illusorio principio per cui i vincoli procedurali corrispondono ad altrettanti elementi di garanzia per le parti. Ne derivano estenuanti formalità senza però un aumento degli effettivi livelli di garanzia.
Gli adempimenti di cancelleria, in particolare le notificazioni, devono essere totalmente informatizzati.
Tra le possibili modifiche procedurali possono essere proposte, a puro titolo di esempio: la semplificazione del regime delle nullità e delle questioni di competenza, con introduzione di rigidi sbarramenti; l’abolizione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415 bis cpp) quando l’accusato sia già a conoscenza del procedimento; lo snellimento dell’udienza preliminare; la reintroduzione della necessità di procura speciale al difensore per la proposizione dell’appello da parte del contumace (art. 571 cpp) con notificazioni presso il difensore; la previsione di inammissibilità dell’impugnazione quando l’imputato risulti irreperibile anche di fatto; la possibilità di dichiarare preliminarmente l’inammissibilità dell’appello anche nei casi in cui risulti manifestamente infondato; la previsione di permanenza dell’appello incidentale anche in caso di rinuncia a quello principale, per determinare remora alle impugnazioni dilatorie; la revisione della prescrizione, prevedendo ad esempio che il termine coincida con la sentenza di primo grado in caso di conferma della condanna nei gradi successivi.
Lo stato della giustizia civile risente dello sviluppo della società industriale, dell’estensione della finanza e della internazionalizzazione del commercio e della legislazione comunitaria. Nascono nuovi contratti e norme sempre più complesse. Il ricorso al giudice civile è quindi sempre maggiore mentre l’organico dei giudici non è cresciuto. Ne deriva un tendenziale aumento in futuro del numero di cause.
La riduzione dei tempi del processo civile impone interventi organizzativi e deflattivi.
a) Per evitare rinvii di cause per difetto di notifica e il deposito delle sentenze in forma cartacea da parte del cancelliere con ritardi di oltre 2-3 mesi va introdotto un sistema di notifiche via mail con indirizzi di posta certificati. L’informatizzazione deve trovare applicazione per l’intero processo civile.
E’ necessario instituire l’”ufficio del giudice”, ricorrendo a giovani laureati con il compito di ricerca del materiale utile per la decisione.
I numerosi riti civili di cognizione ordinaria vanno ridotti ad uno solo.
b) Di recente introduzione è la “mediazione in funzione della conciliazione” ma contro l’istituto si è mosso l’intero ordine professionale dell’avvocatura. E’ necessario in ogni caso controllare i mediatori.
3 ) Esiste un problema di complessiva efficienza degli uffici giudiziari. E’ compito del CSM rivedere il funzionamento della Corte di Cassazione che anche per difetti di coordinamento interno produce una giurisprudenza contraddittoria e imprevedibile che incentiva le impugnazioni e costringe i giudici di merito a lunghissime motivazioni con correlativo dispendio di tempo.
La riforma del CSM che ha modificato il sistema elettorale e ridotto il numero dei componenti ha causato gravi problemi di funzionalità e ha fallito l’obiettivo di ridurre il potere delle correnti della ANM in seno all’organo di autogoverno. Le nomine dei capi degli uffici direttivi seguono troppo spesso logiche correntizie (da parte dei togati) e politiche (da parte dei laici). Ne risultano talvolta dirigenze inadeguate alla organizzazione e guida degli uffici, con danno per l’affidabilità ed efficienza degli uffici giudiziari. Ciò deprime la stessa funzione di autogoverno cui va ridata da parte dei magistrati (eletti ed elettori) la dignità e l’autorevolezza prevista dalla Costituzione. La soluzione non dipende dal profilo disciplinare che riguarda solo la patologia dell’attività giudiziaria.
È ridicola la nomina per sorteggio dei membri “togati” prevista dalla riforma costituzionale proposta dal governo Berlusconi. L’attenuazione della influenza delle correnti all’interno del CSM è però necessaria. Occorre dare più forza e autorevolezza ai consigli giudiziari nei singoli distretti.
È necessaria l’eliminazione dei tribunali periferici con scarso carico di lavoro per recuperare risorse e personale per gli uffici maggiori.
Infine è necessaria una riforma della normativa sull’accesso alla avvocatura. Un numero troppo alto di avvocati osta contro i tentativi di deflazione del carico degli uffici.

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