Quali sono le brutte notizie?

01 Apr 2011

Quelle distorte? O, forse, sono anche quelle non date? Quale è oggi lo stato dell’informazione? Se ne è parlato a Perugia, nel corso della presentazione del libro di Maria Luisa Busi. Titolo: “Brutte notizie”. Anche il sottotitolo la dice lunga: “Come l’Italia vera è scomparsa dalla Tv”

Quali sono le “brutte notizie”? Quelle distorte? O, forse, sono anche quelle non date? Quale è oggi lo stato dell’informazione nel nostro paese? Se ne è parlato a Perugia, nel corso della presentazione del libro di Maria Luisa Busi, pubblicato per Rizzoli. Il titolo – “Brutte notizie” – la dice lunga, ma ancora più esplicito è il sottotitolo, “Come l’Italia vera è scomparsa dalla Tv”. Giornalista, conduttrice, inviata (con i suoi reportage ha vinto tra gli altri il premio Saint Vincent, il Premiolino e il Premio Borsellino), Maria Luisa Busi è stata, per venti anni, il familiarissimo volto di punta del TG1 delle 20,00. Fino alle dimissioni, nel maggio 2010. Una scelta, dolorosa ma inevitabile, motivata dalla non condivisione della linea editoriale del telegiornale voluta dal Direttore Augusto Minzolini, ma «non è questione di coraggio, l’ho fatto per dovere», ci tiene a spiegare. L’iniziativa – patrocinata dell’assessorato alla Cultura del Comune di Perugia e organizzata in collaborazione con la libreria “l’Altra” – nasce dalla sinergia locale tra due notissime associazioni nazionali: Libertà e Giustizia, da sempre impegnata nella promozione della cultura politica, e Articolo 21, attiva sul fronte della difesa della libertà di informazione. «Il libro di Maria Luisa è un vibrante racconto del clima che stiamo vivendo – spiega, ad aprire l’incontro, Paolo Mirti, per Articolo 21 – e svela gli inganni della ricostruzione artificiale della realtà».

«Sono una giornalista di parte», scandisce Maria Luisa Busi appena prende la parola, con quel timbro di voce che tante volte ha risuonato nelle nostre case, questa volta non mediato dallo schermo. «Sono di parte, sì: dalla vostra parte». Dalla parte di coloro le cui vite reali hanno il diritto di essere raccontate. Dalla parte dei cittadini che hanno il diritto di sapere. In fin dei conti, spiega, è una questione di rispetto: bisogna recuperare il rispetto delle voci e delle opinioni diverse dalle proprie. Nel nostro paese, invece, sono in tanti a non accettare il punto di vista degli altri. Fino a cancellarlo. «E, ebbene sì, sono anche moralista», afferma, con una punta di ironia rispetto ad un termine oggi abusato. «Un giornalista della Rai – spiega l’autrice – ha dei doveri in più, quello di non vendersi all’esterno, di non censurare, di non legarsi a soggetti economici. Non deve manipolare le notizie. Non può non darle». E se questo avviene, è ancora più grave se pensiamo che l’83% degli italiani si informa attraverso il piccolo schermo e i telegiornali. In “Brutte notizie” ci sono l’Aquila, l’Alitalia, gli imprenditori del Nord Est, le donne funambole che coniugano lavoro e famiglia, orari e affetti, spesa e figli. E ancora c’è Loredana, ex-hostess della compagnia di bandiera, Sergio e Angela. Persone comuni. C’è tanto, proprio tanto in questo libro. E – soprattutto – c’è tutto quello che non c’è più nel principale telegiornale del Paese. Già, il Tg1, da sempre “il telegiornale”, per eccellenza, per definizione, per vocazione. Quello di tutti, magari un po’ istituzionale, a volte ingessato. Ma di tutti e per tutti. Che è stato fatto da veri professionisti. Che ha raccontato i grandi momenti della storia, così come le vite dei singoli, sconosciuti ma non per questo meno importanti. Prima. Oggi, invece, è il Tg1 appiattito sul volere del potere, è il telegiornale delle notizie di alleggerimento, quasi ad inseguire e imporre un intrattenimento consolatorio e confortante, per celare le brutte notizie – proprio quelle – la crisi economica, la disoccupazione, l’assenza di futuro dei giovani.

A dialogare con l’autrice, Federico Fioravanti e Santo della Volpe che, anch’essi giornalisti, non censurano i problemi, i limiti e le distorsioni del nostro sistema d’informazione. «La televisione è strumento delicato – spiega Fioravanti – e parla ad un pubblico vastissimo». Forum (con la sua finta terremotata) arriva a due milioni e mezzo di persone, il Corriere della sera ad appena mezzo milione. «È un mezzo parziale, la Tv. È “visione da lontano” dove il vedere prevale sul significato: prima arriva l’immagine, poi il suono. Solo al terzo posto la parola. Conta la ripresa, conta la gerarchia della notizia». Altrimenti – e basta davvero poco – la realtà rischia di trasformarsi in fantasia. «Se è vero che esiste la libertà di scegliere “come dare la notizia”, l’etica della professione deve però intervenire – secondo della Volpe – ad evitare la distorsione dei fatti». Ecco perché occorre partire dai dati (incontrovertibili) e riferirsi rigorosamente alle fonti, con professionalità e nel pieno rispetto del pubblico. Allora servono, eccome, libri come questo di Maria Luisa Busi. Libri per un giornalismo serio ed appassionato e contro “l’assassinio di una professione”. Un volume di denuncia, quello della giornalista, che – con un registro incalzante ed incisivo – racconta il nostro paese con passione, precisione e attenzione. E Maria Luisa Busi continua a guardarsi intorno. Proprio come le diceva, era ancora bambina, il padre: «quando cammini, guardati a destra e a sinistra. C’è sempre qualcosa di interessante da vedere. C’è sempre qualcosa che accade». C’è sempre qualcosa o qualcuno da raccontare. Un “vecchio gioco”, lo definisce con affetto nel libro. Ma che funziona perfettamente ancora oggi.

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