Libia, una missione, molti dubbi

21 Mar 2011

L’intervento militare solleva questioni di non poco conto. I lati oscuri di Odissey Dawn al vaglio dei giornali di tutto il mondo: chi guida la missione? Era davvero così necessaria? La diplomazia ha fatto tutto quel che poteva? Chi sono davvero i ribelli riuniti nel Consiglio?

“Non ci deve essere una guerra contro la libia, ma la piena attuazione della risoluzione Onu”, dice Frattini arrivando alla sede del consiglio Ue, dove si riuniscono i ministri degli Affari esteri dei ventisette. La missione Odissey Dawn, solleva dubbi: troppo tardi, troppo invasiva, chi guida davvero la missione e perché adesso s’invoca unità? È la campagna d’Africa di Barack Obama? I lati oscuri sono al vaglio dei giornali di tutto il mondo.

L’inizio
La risoluzione 1973 dell’ONU, approvata venerdì notte dal Consiglio di sicurezza, autorizza la comunità internazionale a prendere “ogni misura necessaria”, esclusa l’invasione di terra, per proteggere i civili libici e disarmare il regime di Muammar Gheddafi. Troppo tardi? Dei quindici membri del Consiglio di sicurezza, votano a favore Bosnia, Colombia, Francia, Gabon, Gran Bretagna, Libano, Nigeria, Portogallo, Sudafrica e Stati Uniti. Cinque paesi si sono astenuti: Russia, Cina, India, Germania e Brasile. In attuazione della risoluzione 1973, da sabato pomeriggio una coalizione internazionale ha colpito vari obiettivi militari sul suolo della Libia. Fanno parte di questa coalizione Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Emirati Arabi Uniti, Danimarca, Canada, Belgio, Grecia, Norvegia, Qatar e Spagna.

La diplomazia
Mosso dalle minacce del leader libico che prometteva rappresaglia “casa per casa”, dalle pressanti richieste dei ribelli, e dal Consiglio nazionale libico, che rappresenta le forze di opposizione al regime, l’Onu si mobilita per la Libia. Si aggiunge anche la voce della Lega Araba che chiede una no-fly zone (salvo poi lamentarsi dell’intervento, tre giorni dopo l’attacco). I cieli libici sono oscurati solo 22 giorni dopo il primo attacco di Gheddafi sui manifestanti. Non sono serviti gli altolà internazionali, le condanne delle violenze, gli inviti a cessare il fuoco. Intanto, Gheddafi, che era accerchiato a Tripoli, è riuscito ad avanzare fino a Bengasi. Oggi le sue truppe sono un po’ ovunque nel Paese. E sono in molti a ritenere che un attacco esclusivamente aereo sia ormai estremamente pericoloso. Ne discute il New York Times, per esempio. Ora, Gheddafi dopo il bluff del cessate il fuoco dell’altra notte, a Bengasi, secondo testimonianze raccolte dalla Bbc, sono proseguiti scontri ed è stato segnalato l’uso di granate, colpi di mortaio e artiglieria leggera. Solo Gheddafi, in questo momento, può decidere se e quando aprire un negoziato con i ribelli e la comunità internazionale.

L’obiettivo
Confermato l’attacco al complesso di Bab al Aziziya a Tripoli, la residenza del rais. Ma il Pentagono fa sapere che il colonnello “non è nella lista degli obiettivi”. La risoluzione 1973 lo dice chiaramente: l’obiettivo è proteggere i civili e far cessare le violenze. Ma come si fa a proteggere i civili e far cessare le violenze lasciando Gheddafi al suo posto? Poche ore fa, il dittatore libico ha detto che distribuirà un milione di armi ai cittadini libici e che “le potenze coloniali e cristiane” finiranno per “morire” ed essere sconfitte. Sarà “una guerra lunga”, promette Gheddafi, quel che è sicuro, per il rais è che “L’Italia ha tradito”. Il ministro della Difesa La Russa ha rassicurato il Paese, Gheddafi non ha un arsenale in grado di colpire il territorio italiano, ma nessuno può essere certo che l’Italia sia al sicuro da atti di terrorismo come quelli promossi da Gheddafi durante i quarant’anni del suo regime. Ma in questa guerra, per i commentatori italiani, il nostro paese è quello che rischia di più.

Il comando
Tra i punti critici della missione c’è sicuramente quello della guida. Chi comanda? Se lo chiede un editoriale del Wall Street Journal, che pure si è fin da subito dichiarato a favore dell’intervento in Libia. Non comandano direttamente gli Stati Uniti, che dicono che “la no-fly zone sarà condotta dai nostri alleati internazionali”, non è la Francia, non è il Qatar. Il punto, forse sarà chiarito a breve, perché ci sarà anche il coinvolgimento dei parlamenti dei vari paesi che hanno deciso di partecipare all’intervento militare. Proteggere i civili e sostenere i ribelli non sono due obiettivi coincidenti, fa notare oggi un editoriale del Guardian: la tensione tra questi due scopi rischia di far venir meno all’intervento militare il sostegno delle istituzioni locali.

I ribelli
La risoluzione dell’ONU non schiera la comunità internazionale dalla parte dei ribelli ma è volta a fermare le violenze sui civili. Dei ribelli sappiamo poco. Sappiamo che includono storici oppositori politici del regime, attivisti per i diritti umani, ex membri dell’esercito e del regime, membri dei gruppi islamici che non avevano un ottimo rapporto col regime. I ribelli si sono dati un’organizzazione e un volto politico, al contrario di quanto era accaduto in Egitto e in Tunisia, formando il Consiglio nazionale libico. Le armi che possiedono sono state sottratte all’esercito libico e ai suoi depositi durante l’avanzata delle prime settimane di protesta.

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Le scuole di Libertà e Giustizia

L’Unione europea come garante di democrazia, pace, giustizia

In vista della legislatura 2024-2029, l’associazione Libertà e Giustizia propone sette incontri sul ruolo del Parlamento europeo e le possibilità di intervento dei singoli cittadini e delle associazioni

Approfondisci

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.