Milleproroghe solito conflitto

03 Mar 2011

Il monito con cui l’Antitrust ha sottolineato la «inopportunità» di attribuire al presidente del Consiglio il potere discrezionale di prorogare o no il vigente divieto di incroci azionari tra giornali e televisioni va salutato con favore perché torna a richiamare l’attenzione su quel conflitto di interessi che rappresenta una delle massime anomalie del nostro sistema politico rispetto alle regole che presiedono al corretto funzionamento dei sistemi democratici. Al tempo stesso il meritorio intervento dell’Antitrust evidenzia implicitamente i limiti posti alla sua capacità di azione e le insufficienze dell’attuale legge sul conflitto di interessi abilmente ideata nel 2004 dal ministro Frattini, allora alla Funzione pubblica, e di lì a breve promosso agli Esteri.

La «inopportunità» dell’attribuire un simile potere al proprietario del massimo gruppo televisivo privato del Paese, nonché quale premier titolare ultimo del potere di nomina della dirigenza Rai, è evidente, ma risulta ancor più palese quando si consideri che nessun gruppo della carta stampata ha oggi le risorse necessarie ad acquistare e gestire televisioni nazionali; che persino Telecom appare più desiderosa di uscire dal settore televisivo che investire ulteriormente ne La7; e infine che l’acquisire presenze in quotidiani non è certo tra i fini statutari e istituzionali della Rai. In altre parole, il venir meno degli attuali limiti agli incroci azionari tra stampa e televisioni appare funzionale solo a possibili acquisizioni di partecipazioni in quotidiani da parte del gruppo Fininvest.

Questo aspetto è stato ben colto dall’Autorità presieduta da Catricalà, che tuttavia, per i limiti impostile dalla legge Frattini, non è potuta andare oltre l’affermazione che «l’adozione o la mancata adozione dell’atto di proroga anche senza integrare automaticamente una fattispecie di conflitto di interessi, dovranno essere valutate per verificare l’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del presidente del Consiglio». L’Antitrust non ha insomma alcun reale potere dato che la legge Frattini ha posto limiti pressoché invalicabili all’accertamento e sanzione dei conflitti d’interessi. Abbandonando la via seguita dalle precedenti proposte di legge (a partire dalla mia approvata dal Senato nel 1995, con il voto anche della Lega, e decaduta alla Camera nel 1996 per la fine anticipata della legislatura) che prevenivano l’insorgere di possibili conflitti di interessi dettando una incompatibilità fra cariche di governo e il controllo di mezzi di informazione, l’abile Frattini ha spostato l’ambito d’intervento delle Autorità dall’accertamento preventivo alla sanzione ex post di conflitti effettivamente determinatisi, ponendo tuttavia per il riconoscimento della loro esistenza il contemporaneo verificarsi di tre condizioni necessarie ma «impossibili»: 1) avere l’atto un’incidenza specifica e preferenziale sul titolare di cariche di governo: in altre parole, avvantaggiare solo lui, e non avere quel carattere di generalità che è invece richiesto alle leggi; 2) essere di pregiudizio all’interesse pubblico, provocando un danno erariale allo Stato; 3) avere il titolare della carica di governo avuto un ruolo attivo nell’assunzione o nella mancata assunzione dell’atto fonte di conflitto: in altre parole, per evitare il conflitto basta che l’interessato si astenga dal partecipare, come ha infatti deciso in alcuni casi il nostro premier.

La vicenda è istruttiva. Il Decreto milleproroghe, attribuendo un potere discrezionale al presidente del Consiglio in materia che ne coinvolge gli interessi personali, configura un sostanziale caso di conflitto di interessi, e bene ha fatto l’Antitrust a evidenziarlo. Ma alla sostanza del conflitto non porta rimedio l’attuale legge che impone il verificarsi di «impossibili» condizioni per intervenire a contenerlo. Il Decreto milleproroghe è dunque una prova ulteriore che l’attuale legge sul conflitto di interessi va modificata, se non altro a difesa del già minacciato pluralismo dell’informazione.

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