Il nostro spirito del tempo è il ritorno al dialogo

03 Mar 2011

Zeitgeist, lo “spirito del tempo”, torna di moda. Sandra Bonsanti propone di andare oltre lo wishful thinking, “riempendo le strade della democrazia di parole e pensieri che comunque arricchiscano il cittadino che le abita”. Forse lo spirito del tempo di cui abbiamo bisogno è, semplicemente, provare a dialogare.

C’è un termine ottocentesco in lingua tedesca che è tornato popolare nell’ultimo decennio: è Zeitgeist, lo “spirito del tempo”, che è poi la dominante tendenza culturale (ma oggi anche tecnologica o economico-finanziaria) di un periodo storico.
Si chiama così, Zeitgeist, l’ambitissimo summit che Google convoca ogni anno a Londra con i leader politici e i trendsetter digitali di tutto il mondo.
Individuare lo Zeitgeist corretto significa non sbagliare le mosse, interpretare al meglio i bisogni di cittadini e clienti, evitare sprechi e inutili iniziative. Per questo motivo sociologi, sondaggisti, politologi ed analisti fanno dello Zeitgeist l’oggetto principale del proprio lavoro.
Un mio caro amico americano, un diplomatico che conosce bene il nostro paese, m’ha detto giorni fa: “I miei colleghi del Dipartimento di Stato non capiscono l’Italia. Com’è possibile, si chiedono, che possiate andare avanti senza un governo che governi?”.
Lo dico vergognandomene: non mi ha colpito che li stupisse il fatto che da tempo il nostro governo si occupa solo di faccende estranee alla gestione della cosa pubblica. M’è sembrato – piuttosto – incredibile che gli americani (i tedeschi, i francesi, gli svizzeri: poco importa) non abbiano ancora capito che gli italiani hanno dovuto recuperare nella soffitta degli Zeitgeist d’epoca la consapevolezza che da un governo nulla ci si deve aspettare e che dunque ci si deve arrangiare.
Rispolverato, eccolo qua lo Zeitgeist che più italiano non si può: siamo tornati all’arte d’arrangiarsi, come subito dopo l’Unità d’Italia, negli anni della Grande Guerra, sotto il fascismo, nell’anarchica foga ricostruttrice della prima Repubblica.
Così non va bene, però. Supplire con la sola italica inventiva alle profonde carenze di sistema è illusorio quando la Banca d’Italia comunica che la crescita del Pil s’è fermata all’ 1,1% nel 2010, con una previsione dello 0,9 per il 2011 e dell’1,1 per il 2012: quegli stessi, poco svegli ma governati, americani, tedeschi, francesi e svizzeri hanno fatto e faranno molto meglio. E infatti un vero esperto di Zeitgeist, il Monitor sui Climi Sociali e di Consumo di Eurisko, ci dice che appena l’1% degli italiani pensa che la crisi sta finendo.
Affidiamoci allora a segnali che ci indicano – dicono gli inglesi: wishful thinking, pensare come se la speranza fosse la realtà – che lo Zeitgeist del futuro sarà altro rispetto all’arrangiarsi.
A caso: i ragazzi che protestano contro una brutta riforma dell’università, La Russa che risponde al Tg3 senza insultare nessuno, la canzone di Vecchioni stravotata a Sanremo, i malumori della base della Lega che si rende conto che questo federalismo ha il sapore di bufala, l’impegno dei nostri militari in missione all’estero.
Sandra Bonsanti, l’organizzatrice della manifestazione del PalaVobis di inizio febbraio, propone di andare oltre lo wishful thinking, “riempendo le strade della democrazia di parole e pensieri che comunque arricchiscano il cittadino che le abita”.
Come? Andando nelle città e nei paesi a cercare contatti diretti con i cittadini, praticando “l’informazione che nessuna (o quasi) rete televisiva, nessun dibattito urlato, nessuno scontro di uno contro l’altro offre a coloro che sono interessati a riceverla”. Si può, insomma, cercare “di incontrare e parlare senza animosità con coloro che fino ad oggi non la pensavano come noi o non pensavano affatto”.
Forse lo Zeitgeist, lo spirito del tempo di cui abbiamo bisogno è, semplicemente, provare a dialogare. Ma non pare – anzi! – che il dialogo costruttivo sia quanto vogliono quelli che dicono di governarci senza governarci affatto.

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