Ma la giustizia è amministrata in nome del popolo

24 Gen 2011

Un coro crescente di allarme e di preoccupazione, a tutti i livelli: di fronte allo stile di vita indecoroso e sfacciato di Silvio Berlusconi, di fronte alla scelta di non rispondere ai magistrati che hanno aperto l’indagine sui suoi comportamenti, di fronte alle esternazioni aggressive del premier, le più alte autorità hanno reagito. Ma c’è sempre il baluardo della nostra Carta // La solidarietà ai pm milanesi

L’abitudine a minimizzare, l’indifferenza, la mancanza di indignazione, il cinismo, la rassegnazione, sono questi sentimenti, molto diffusi nell’opinione pubblica (forse non nella maggioranza, ma in una vasta area certamente), nell’elettorato, fra gli intellettuali, e naturalmente fra i politici, che stanno conducendo sull’orlo del baratro le istituzioni, il sistema politico e anche la dignità e il senso etico del nostro paese. Non è ancora chiaro se questa mentalità, abituata all’inerzia e alla passività, sta finalmente mutando oppure no.
Certo, negli ultimi giorni, è un coro crescente di allarme e di preoccupazione, a tutti i livelli. Di fronte allo stile di vita indecoroso e sfacciato di Silvio Berlusconi, di fronte alla scelta di non rispondere ai magistrati che hanno aperto l’indagine sui suoi comportamenti, di fronte alle esternazioni aggressive, incontrollate (da vero masaniello) del premier, le più alte autorità hanno reagito. Il Pontefice ha esortato a “ritrovare i principi morali”, a recuperare “l’anima” per ridare credito alle istituzioni. Precedentemente il cardinale Bertone, segretario di Stato vaticano, aveva esortato coloro che hanno responsabilità pubblica ad avere “una più robusta moralità, senso di giustizia e legalità”. E il vicepresidente del Csm, Vietti, ha contestato ogni iniziativa e dichiarazione del presidente del consiglio capace  di “delegittimare l’ordine giudiziario che è il presidio della legalità del paese”. Il più angosciato è il Capo dello Stato, Napolitano, che ha manifestato più volte ormai, il “turbamento” di tutti, dinanzi alle “gravi ipotesi di reato” di cui è accusato il premier. Ed ha opportunamente ricordato che “il giusto
processo è garantito dalla legge”, attraverso i normali “canali procedurali”.
Ma Berlusconi per tutta risposta al turbamento e alle preoccupazioni sempre più diffuse, ha rifiutato, com’è noto, di farsi interrogare dai pm di Milano, i quali, “meritano una punizione”, per averlo messo sotto indagine. Anzi, testualmente: ” I pm cercano di sovvertire il voto popolare. Bisogna reagire con adeguata punizione”. Arroccato a palazzo Chigi o palazzo Grazioli, il premier continua a mandare in onda, quasi ogni giorno, sulle tv le sue esternazioni senza alcun contraddittorio. Dice: “mai dimissioni, ma siete matti, non fatemi fare un gestaccio in pubblico”  e “non mi piegherò” davanti alle accuse dei magistrati. Può il presidente del consiglio di un paese democratico ribellarsi così? Alle udienze dei processi non si presenta per ‘legittimo impedimento’ e agli interrogatori dei pm non va perché “perseguitato” e “spiato”. Insomma fa quel che vuole, si considera legibus solutus ed ha un atteggiamento eversivo.
Il segretario del Pd, Bersani, ha colto un giusto profilo di violazione della Costituzione nelle scelte del premier e lo accusa di aver “tradito l’articolo 54 della Carta” che pretende da chi ha cariche pubbliche, disciplina e onorabilità. Non c’è bisogno della magistratura per sostenere questo. Ecco perché deve dimettersi”. Ma non basta. Vorremmo segnalare altri due motivi di riflessione: non c’è solo l’articolo appena indicato, che vale per tutti coloro che ricoprono cariche pubbliche. Il primo ministro si impegna in modo proprio diretto e personale davanti al Capo dello Stato, quando giura di “essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”. E non è superfluo sottolineare che le leggi ad personam non possono rientrare nell’interesse “esclusivo” dell’Italia; e le leggi vanno rispettate tutte, con lealtà, anche   quelle che non ci aggradano, soprattutto se si è responsabili del governo (vedi giuramento, appunto).
E questo  ci porta al secondo motivo di riflessione. Un altro articolo della Costituzione proclama un  principio addirittura ovvio e naturale in una democrazia rappresentativa. È il 101, da tutti dimenticato (proprio da tutti!): “La giustizia è amministrata in nome del popolo”. Avete letto bene: ” in nome del popolo”. Quello stesso popolo al quale si richiama di continuo Berlusconi (“Sono eletto dal popolo, i magistrati vogliono sovvertire il giudizio del popolo, mi vuole il popolo”, eccetera). Ebbene: anche i magistrati, compresi pm e giudici di Milano, svolgono la loro funzione per conto del popolo italiano. Per Berlusconi sarà una scoperta sensazionale ed una… delusione cocente.
Quindi siamo ai massimi livelli di allarme per le continue aggressioni alle istituzioni democratiche del paese (Bersani: “Subiamo la violenza di un potere immorale”). Dobbiamo riconoscere che poco più di un anno fa, il 10 dicembre 2009, fu proprio il Presidente Napolitano, dopo l’intervento di Berlusconi al congresso europeo del Ppe a Bonn (“La sovranità in Italia è passata al partito dei giudici”, “Undici giudici della Consulta su quindici sono di sinistra”, e altre affermazioni inconsulte e offensive), a dichiarare la sua profonda preoccupazione, mai prima così acuta. Infatti in un comunicato ufficiale del Quirinale di sette righe si leggeva: “A proposito di alcune espressioni del presidente del consiglio.
In relazione alle espressioni pronunciate dal presidente del consiglio in una importante sede politica internazionale, di violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia, volute dalla Costituzione italiana, il Presidente della Repubblica esprime profondo rammarico e preoccupazione. Il Capo dello Stato continua a ritenere che, specie per poter affrontare delicati problemi di carattere istituzionale, l’Italia abbia bisogno di quello spirito di leale collaborazione e di quell’impegno di condivisione, che pochi giorni fa il Senato ha concordemente auspicato”. Berlusconi era autore di “un violento attacco alle istituzioni”. Non era certo accusa di poco conto, provenendo dal Quirinale. Eppure tutto finì lì, nel comunicato. Perché? Tre giorni dopo a Milano uno squilibrato, Massimo Tartaglia, lanciò in faccia al premier un modellino del Duomo in marmo, ferendolo seriamente. Tutti manifestarono – giustamente- solidarietà a Berlusconi e si mise nel dimenticatoio la grave denuncia di Napolitano.
Adesso l’attacco alle istituzioni è ancora più evidente e continuo. Potrebbe forse essere opportuno portare in Parlamento le preoccupazioni dei gruppi politici e di migliaia di cittadini, la pretesa di im- punità per il premier, il disegno eversivo attribuito da Berlusconi al presidente della Camera Fini, le accuse di spionaggio rivolte ai magistrati, il “turbamento” di Napolitano: come è possibile non affrontare questi argomenti nella sede naturale per i dibattiti politici,il Parlamento? D’altronde, in casi eccezionali si può perfino pensare di richiamarsi all’articolo 62 Costituzione (“Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa…….di un terzo dei suoi componenti”). Almeno si potrà discutere di fronte a tutti gli italiani dei problemi e delle esternazioni del capo del governo, senza lasciare solo a lui il potere di rivolgersi continuamente, ossessivamente, agli elettori, dal piccolo schermo televisivo, con prolungate allocuzioni.

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