Quel coraggio che serve al Pd

12 Gen 2011

Presto conosceremo le decisioni della Consulta sul legittimo impedimento e avremo dunque idee più chiare sul futuro di Berlusconi e della legislatura. Intanto si giocano sul tavolo delle opposizioni numerose partite, dallo stop di Casini, alla proposta di Fini. Il Pd deve darsi una mossa, però, perché la sua crisi minaccia di polverizzare l’intera sinistra.

L’orizzonte della  politica resta oscuro. Domani conosceremo le decisioni della Consulta sul legittimo impedimento e avremo dunque idee più chiare sul futuro di Berlusconi e della stessa legislatura. Molti ritengono che le conseguenze sarebbero segnate qualora si arrivasse alla bocciatura delle norme che mettono il premier al riparo dai processi. Il Cavaliere sarebbe pronto a rovesciare il tavolo delle regole, ad andare in piazza, a servirsi delle sue tv e del servizio pubblico per far valere le proprie ragioni. Tenterebbe di nuovo la strada delle urne per trasformare il voto in un referendum contro le sinistre e i “giudici comunisti”. Si attende. Ma, aspettando il verdetto, le manovre non si fermano. Si gioca la partita delle astuzie. Che ha avuto al suo centro il “patto di pacificazione”, lanciato da Pier Ferdinando Casini.

Il termine è piuttosto vago. Però, il senso dell’operazione non dovrebbe essere di difficile lettura. Casini lancia una ciambella di salvataggio al premier. Ma anche a se stesso. Ha bisogno di tempo, infatti, per testare la tenuta del terzo polo che appare eterogeneo, percorso da gelosie sulla leadership, come rivela, malgrado le assicurazioni contrarie, l’ultima sortita di Fini, con il suo “patto per l’emergenza”, volto a superare “un governo paralizzato”. Su una cosa comunque il leader centrista e il presidente della Camera convergono: allontanare il voto. Casini persegue questo scopo, offrendo a  Berlusconi  “un’opposizione responsabile”, che diventa nei fatti un appoggio esterno sui temi cruciali. A cominciare dal federalismo che potrebbe avere via libera per i decreti attuativi in cambio di misure d’aiuto alle famiglie.  E l’altro versante, quello del centrosinistra, dopo le proposte di alleanza formulate  da Bersani e D’Alema? . Casini intima lo stop. Pone al Pd un secco aut  aut: lo invita prima a “scegliere”, a “rompere con Vendola e Di Pietro”, a non restare prigioniero delle sue sinistre politiche e sindacali.

È in pratica il ritorno alla “politica dei due forni”, di andreottiana  memoria. Per di più sbilanciata a favore del centrodestra perché a un Pd, che dovrebbe depurarsi del suo “sinistrismo”, non viene proposto un accordo paritario, non è prospettata una stabile alleanza. La governabilità invocata dal  leader centrista è un mezzo per far crescere il terzo polo, per affermare la sua centralità in Parlamento. Si può provare a indorare la pillola. A “comprendere” le ragioni tattiche di Casini. A soppesare le sue parole e quelle di Fini, nell’intervista a Repubblica, per capire dove si possa in futuro cercare una sponda. Ma la battuta d’arresto brucia. L’ecumenismo di Bersani – da Vendola a Casini e persino a Fini –  ha incontrato un limite che, allo stato delle cose, appare invalicabile. Farebbe bene il Pd ad aprire una seria riflessione perché la “strategia delle alleanze”, così come è stata finora praticata, rischia di far precipitare la prima forza d’opposizione in una zona grigia, priva di qualsiasi identità.

Certo, non è semplice il compito dei democratici. Far pendere la bilancia tutta dalla parte di Casini? Si rischia il salasso a sinistra. Giocare tutto sull’alleanza con Vendola  e Di Pietro? Si rischia di ripetere l’esperienza dei “progressisti” di Occhetto, di riproporre la “gioiosa macchina da guerra”, che portò nel ’94 alla prima sconfitta contro Berlusconi.  I tatticismi, in ogni caso, sono sovrastati dalla gravità dei problemi. Il caso Fiat angoscia il Pd. Il referendum tra i lavoratori, sul contratto a Mirafiori, può avere effetti dirompenti. Tuttavia, l’esperienza fin qui fatta dimostra che non paga giocare di rimessa, stare alla finestra confidando negli errori altrui. Per un  partito che vuole essere il timone del centrosinistra, le alleanze non  possono essere determinate dalle astuzie tattiche, ma vanno cercate sulla base di una propria piattaforma. Bisogna anzitutto decidere quali sono le “soluzioni” dei democratici. Recuperare il terreno sul piano della proposta, sul piano delle idee. Ritrovare una griglia di valori. Si dia una mossa, quindi, il Pd. Si aprirà un dibattito interno difficile, un confronto aspro? Ci vuole il giusto equilibrio per evitare che sfoci nelle risse del passato. Ma ci vuole anche la giusta dose di coraggio per scongiurare il vizio opposto: la pratica dei compromessi dettati dall’ingegneria delle correnti. Il tempo a disposizione è poco. Ma c’è il dovere di provarci. La crisi del Pd minaccia di polverizzare l’intera sinistra.

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