Legittimo impedimento, le opzioni della Consulta

10 Gen 2011

Una manciata di giorni e conosceremo la decisione della Corte, ma sono sostanzialmente tre le possibili scelte: o bocciata del tutto, o promossa o promossa solo in parte, purché l’impedimento invocato dal premier non sia più “automatico” e senza controllo.

Fra una manciata di giorni, forse giovedi 13, sarà nota la decisione della Consulta sulla legge n.51 del 7 aprile 2010 sul legittimo impedimento, che sottrae il presidente del consiglio e i ministri ai processi. Crediamo che, per capire meglio la ‘ratio’ delle scelte che i giudici della Corte si accingono a fare, sia utile e opportuno ricordare un’altra sentenza della stessa Consulta: quella numero 262 del 7 ottobre 2009, che certificò la illegittimità costituzionale del cosiddetto Lodo Alfano (legge 23 luglio 2008, contenente disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato). Una delle tante leggi “ad personam” inventate dagli avvocati di Silvio Berlusconi, nel tentativo di evitargli di comparire in tribunale come imputato (tecnicamente, il nostro presidente del consiglio ha questa posizione), salvandolo da qualche condanna. Come dice Franco Cordero, il cavaliere “teme i processi più della peste”.
Certamente quel provvedimento della Corte viene valutato ed esaminato a fondo nella discussione riservata che si tiene nella camera di consiglio dei supremi magistrati, perché molti dei dubbi e delle domande che in questi giorni sono state proposte a giuristi ed osservatori politici, avevano già trovato una risposta nelle 35 pagine della sentenza 262. Testualmente, al punto 7.3.2.1 delle considerazioni in diritto, si legge che il legittimo impedimento  “ha già rilevanza nel processo penale e non sarebbe stata necessaria la norma denunciata per tutelare, sotto tale aspetto, la difesa dell’imputato a comparire nel processo, per ragioni inerenti l’alta carica da lui rivestita. Come questa Corte ha rilevato, la sospensione del processo per legittimo impedimento a comparire, disposta ai sensi del codice di rito penale, contempera il diritto di difesa con le esigenze dell’esercizio della giurisdizione, differenziando la posizione processuale del componente di un organo costituzionale, solo per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale (sentenze n.451 del 2005, n.391 e n.39 del 2004 e n.225 del 2001)”.
Quindi l’esigenza della tutela del diritto alla difesa  “è già adeguatamente soddisfatta in via generale dall’ordinamento con l’istituto del legittimo impedimento” (all’articolo 420 ter del codice di procedura penale). Perciò la invocata “sospensione processuale” non può essere operante “anche nei casi in cui non sussista alcun impedimento e, quindi, non vi sia, in concreto, alcuna esigenza di tutelare il diritto di difesa” e la richiesta sarebbe assolutamente “irragionevole e sproporzionata” se derivante dal solo fatto della titolarità della carica. Mentre la legge che è adesso all’esame della Consulta dispone esattamente il contrario di ciò che i giudici chiedevano nelle pagine della 262: il ricorso all’impedimento è proprio automatico per il premier, impegnato in una delle innumerevoli funzioni governative, incluse anche “le attività preparatorie coessenziali e consequenziali”; si basa su una semplice richiesta attestata dagli uffici di palazzo Chigi e non è impugnabile dai giudici del tribunale. La vigenza della legge è prevista in 18 mesi e fu denominata “il ponte tibetano”, perché doveva condurre – appunto essere ‘ponte’ – verso l’approvazione di una nuova norma di rango costituzionale (ciò che non era il Lodo Alfano primo, del 2008) capace di sospendere i processi del premier per tutta la durata della carica.
Anche su questa anomalia giuridica si soffermano i giudici della Consulta: non c’è nessuna possibilità che la legge-ponte vada ad ‘appoggiarsi’ davvero sulla preannunciata legge costituzionale. Se ne è parlato molto in Senato nei mesi scorsi, ma le norme sono rimaste in sospeso e non è più immaginabile l’approvazione entro l’anno in corso. Quindi questo ‘ponte sull’abisso’ e sul nulla, rappresenta in teoria, un altro motivo di possibile illegittimità. Naturalmente, come è ben noto, da un anno all’altro (ed è accaduto anche in passato), la Corte può mutare la sua giurisprudenza, i giudici possono cambiare opinione, decisioni, valutazioni e sentenze.
Sono almeno tre le scelte che il collegio di 15 componenti della Consulta può compiere nel giudicare la legge 51/2010: anzitutto può dichiararne la illegittimità in toto per violazione dell’articolo 3 della Costituzione (“tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge….”) e del 138 (necessità di una norma di rango costituzionale e non ordinaria, per concedere una prerogativa o immunità al premier). Ma è poco probabile che la Consulta scelga una soluzione così netta e capace di portare conseguenze devastanti sul piano politico e sul futuro dello stesso Berlusconi, che vedrebbe ripartire immediatamente tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade) ora congelati. Infatti ha già detto che “una bocciatura della legge sarebbe indecente” e che, nel caso, proclamerà “in tv, nelle radio, sui giornali e nei comizi di piazza”, la sua innocenza e anzi chiederà al Parlamento che una commissione di inchiesta speciale verifichi  “se ci sono dentro la magistratura associazioni a delinquere con fini eversivi”. A buon intenditor….

La seconda opzione è quella contraria, cioè affermare la piena costituzionalità della legge (e già almeno un giudice, Luigi Mazzella, si è pronunciato, giorni fa, a favore di questa ipotesi), che non sarebbe quindi una prerogativa nuova del premier, ma la necessaria tutela per svolgere “con serenità” le sue funzioni di capo dell’esecutivo. Ma anche questa scelta non sembra avere molte possibilità concrete  di essere accolta (con una formale dichiarazione di inammissibilità o di infondatezza dei ricorsi di tre toghe di Milano).
Esiste poi la soluzione di compromesso o di mediazione: con una sentenza interpretativa di rigetto, la Consulta potrebbe dichiarare legittima la legge, purché l’ impedimento invocato dal premier non sia più “automatico” e senza controllo. Quindi il giudice presso il quale si svolge il processo, deve avere il potere di valutare e di decidere se la impossibilità a comparire è davvero reale ed attuale, in modo da giustificare il rinvio dell’udienza. Berlusconi accoglierebbe malvolentieri questa soluzione che lo rimetterebbe nelle mani e nelle decisioni degli odiati “giudici di sinistra”. Sarebbe una sconfitta. Figuriamoci: presentare la richiesta per l’impedimento, aprire una trattativa con i magistrati, magari vedere respinta la sua domanda.
Per scongiurare questa ipotesi di compromesso, gli avvocati di Berlusconi (Ghedini e Longo) nella memoria difensiva sostengono che il giudice non può sindacare la legittimità dell’impedimento chiesto dalla presidenza, dato che l’attività del premier è politica e quindi deve essere esercitata in piena e assoluta libertà. Seguendo questa traccia, forse l’Alta Corte potrebbe decidere di non sottoporre al controllo dei giudici del tribunale, gli appuntamenti per svolgere le funzioni tipiche e classiche di governo (consiglio dei ministri, impegni internazionali, etc). Mentre lo ‘scudo’ potrebbe cadere per le altre attività, preliminari e coessenziali, assolutamente indeterminate nella legge. In questo caso saremmo di fronte ad una sentenza di parziale illegittimità.
In ogni caso si deve ricordare che l’uomo politico ha anche il dovere – forse più dei comuni cittadini – di sottoporsi alla giustizia del proprio paese, perché gli elettori devono sapere se chi li governa è uomo onesto e trasparente o un corrotto e corruttore (per fare un esempio…). Anzi, nei paesi normali e democratici dell’occidente (vedi quello che è accaduto in Israele all’ex Capo dello Stato o in Gran Bretagna a ministri e parlamentari) il politico accusato, o addirittura imputato, richiede che il processo si svolga con la massima celerità davanti ai giudici (soprattutto se convinto di essere innocente!), non briga in ogni modo per rinviare, ostacolare, mettere i bastoni tra le ruote degli ingranaggi processuali, minacciare le toghe. Mentre qui in Italia si potrebbe addirittura verificare che il nostro premier-ribelle, davanti al giudice che respinga la sua richiesta di impedimento, decida di rivolgersi proprio alla Consulta sollevando un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (quello giudiziario e la presidenza del consiglio), allo scopo di rinviare alle calende greche i processi. È possibile ed incredibile! Questo è lo stato dell’arte a pochi giorni dal verdetto. Per assicurare ai magistrati della Consulta una maggiore….serenità nel valutare la legge, gli ultimi interventi da segnalare sono quelli del ministro per le riforme (sic) Umberto Bossi, secondo il quale “solo giudici matti possono bocciare lo scudo per il premier. Spero che la magistratura lasci perdere Berlusconi, prendendo atto che è una brava persona”. Ecco: che Berlusconi sostenga ciò e lo dimostri davanti ai giudici, come fanno tutti i cittadini quando sono imputati.

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