Pasolini e il Berlusconismo

05 Gen 2011

Lo scrittore anticipa con la “scomparsa delle lucciole” la mutazione del consumismo. Parla di vuoto politico e anche se non può immaginarlo, anticipa gli effetti del Berlusconismo. E comprende che la sua pericolosità non sarà compresa e dunque nemmeno ostacolata. Oggi la paura di un’accusa di antiberlusconismo paralizza persino l’opposizione.

Nel suo articolo “Il vuoto del potere”, sul Corriere della Sera del 1° febbraio 1975, Pier Paolo Pasolini definì con l’immagine della “scomparsa delle lucciole” l’improvviso abbandono dei valori di un’Italia agricola e paleoindustriale, sia pure assunti a “valori nazionali”, divenuti “stupido e repressivo conformismo di Stato” ad opera della Democrazia Cristiana e del Vaticano e dunque “falsificati”. Pasolini vedeva con chiarezza la “mutazione” che il consumismo ancora in incubazione stava determinando.

“Ho visto coi miei sensi il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino ad una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo (…)Vanamente il potere totalitario iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata (…) i modelli fascisti non erano che maschere da mettere e levare. Quando il fascismo è caduto, tutto è tornato come prima” (…)Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così  a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud)  un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire di casa per capirlo”.

Pasolini comprendeva  che tutto ciò creava un assoluto vuoto di potere in attesa che qualcuno assumesse un “potere reale” in rappresentanza della nuova “cultura” determinata dalla mutazione consumistica degli italiani e dal conseguente “disastro antropologico”.

Berlusconi nel 1994 ha colmato il vuoto politico seguito alla dissoluzione dei partiti storici che si opponevano alla sinistra. Ma  Il vuoto politico si aggiungeva alla mutazione denunciata da Pasolini  con quasi vent’anni di anticipo: il potere reale del consumismo (“il potere dei consumi”) avrebbe portato  all’affermarsi di un potere formale in sintonia con esso.

Pasolini non poteva prevedere Berlusconi ma intuì che l’assestamento del nuovo potere sarebbe stato  “sconvolgente”, perché radicato in profondità nelle coscienze corrose dal consumismo.

E capì che la sua pericolosità non sarebbe stata compresa. Né i politici di sinistra, né gli intellettuali anche più avanzati e critici, scrive, si accorsero che le lucciole stavano scomparendo.”Di tale potere  (…) non sappiamo raffigurarci quali forme assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l’hanno preso per una semplice modernizzazione di tecniche”.

È esattamente quello che è successo. Montanelli ad esempio finì per detestare il berlusconismo (“è la feccia che risale il pozzo”) ma si illuse che gli italiani, messo alla prova Berlusconi, lo avrebbero presto bocciato. L’opposizione, vittima dei propri schematismi, scambiò Berlusconi per un normale avversario politico, per l’interprete di una destra normale o quasi. Tanto tempo così è stato perso e nel frattempo i guasti prodotti nel tessuto civile del paese si sono fatti drammatici.  Nonostante i tanti e autorevoli allarmi non si è compresa fino in fondo la capacità del berlusconismo di plasmare le coscienze, non si è compreso che occorreva correre ai ripari. Negli anni dei governi di centrosinistra non è stata nemmeno tentata l’introduzione di una legge sul conflitto di interessi  per arginare la devastante influenza delle televisioni di Berlusconi, e lo si è accreditato come interlocutore per riforme costituzionali.

Ancora oggi, di fronte all’evidenza e al disastro, l’opposizione è timida nel denunciare pubblicamente la natura potenzialmente eversiva del berlusconismo. Si critica il governo per quello che non fa o fa male, ma ci si ferma qui.

La paura di una accusa di “antiberlusconismo” paralizza.

Come se essere “anti” non potesse definire, per contrapposizione, una serie di valori in positivo su cui fondare una politica. Come se antifascismo non significasse un richiamo complessivo ai principi della democrazia costituzionale.

Veltroni non ha mai pronunciato nella campagna elettorale del 2008 il nome del “principale esponente della coalizione a me avversa” (così lo chiamava). E neanche Vendola riesce a scrollarsi di dosso il timore di essere bollato come “antiberlusconiano”.

In un paese “normale” l’opposizione non si limiterebbe ad illustrare il proprio progetto di governo ma prima di tutto denuncerebbe i pericoli per la democrazia e l’inganno del populismo berlusconiano.  È questa la chiave per spiegare le promesse mai mantenute che il premier non si sogna di mantenere (nemmeno dei rifiuti di Napoli l’opposizione parla più) i rapporti di Berlusconi con persone ed ambienti criminali, la sua capacità di corruzione, l’asservimento del Parlamento per ottenere leggi ad uso personale, la disponibilità di società off-shore che consentono di frodare il fisco (e cioè i cittadini) per somme enormi, il forte arricchimento personale e delle sue aziende da quando è in politica a fronte del progressivo impoverimento di tanti che, vittime di politiche che aggravano le ingiustizie sociali, continuano a votarlo.

Certo, gran parte di queste denunce non può che fondarsi su quello che emerge nei processi a carico di Berlusconi o di suoi sodali.

Ma in un paese normale quei processi sarebbero al centro del dibattito pubblico: la loro origine, le prove raccolte, ciò che raccontano nel loro complesso, per rispondere alla domanda fondante ogni  scelta elettorale: ci si può fidare di quest’uomo o ci sta imbrogliando?

Il “giustizialismo”, altra arma letale inventata dai berlusconiani e adottata anche a sinistra, non c’entra niente. Si chiede solo che determinati fatti non siano estromessi dal dibattito politico solo perché emersi in sede giudiziaria. Tutto qui.

Molti consensi mancano al centrosinistra proprio perché gli elettori chiedono maggiore nettezza su tutto questo. Il ”popolo del PD” ha idee molto chiare su Berlusconi. Prima ancora che sulla azione di governo, è sull’uomo che il giudizio è netto e definitivo.

Se i leader dell’opposizione sembrano così prudenti, la ragione, oltre all’equivoco storico sul “primato della politica”, è sempre la stessa: la ricerca di consensi tra gli elettori moderati.

Ma non è detto che chi è politicamente moderato, cioè non orientato a sinistra, sia anche eticamente moderato e disposto a transigere sui temi dell’etica privata, politica e costituzionale. Non è detto che si perdano consensi al centro dimostrandosi intransigenti.

La proposta di una “ribellione dal basso” di cui ha scritto Sandra Bonsanti deriva dalla consapevolezza della pericolosità del potere berlusconiano in sé, che la società civile ha capito da subito. E’ tempo che la politica faccia per intero la sua parte, prima che sia davvero troppo tardi. La partita non è ancora persa, ma bisogna   giocarla sul serio.

Sergio Materia, socio di LeG, una vita nella magistratura, è stato giudice per le indagini preliminari a Perugia e poi consigliere di corte d’appello a Firenze.

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