Linguaggio e guai giudiziari, tutti in coda per la storia di B.

30 Dic 2010

Cosa spinge tanta gente a fare la fila per sentire parlare di Berlusconismo? È sabato pomeriggio, fuori c’è il sole e il cinema Odeon di Firenze è gremito. Dopo media e cultura si parla di istituzioni e giustizia nell’era del Caimano. Gli atti del convegno sono pubblicati man mano che i relatori li rendono disponibili. Qui la galleria fotografica.

Cosa spinge tanta gente a fare la fila per sentire parlare di Berlusconismo? È sabato pomeriggio, fuori c’è il sole e il cinema Odeon di Firenze è gremito. Per la terza sessione del convegno Società e Stato nell’era del berlusconismo, organizzato da Libertà e Giustizia e dalla rivista di storia contemporanea Passato e Presente, studiosi e giornalisti, presidenti emeriti della Costituzione e antropologi salgono sul palco per studiare l’era del Caimano. C’è Guido Melis, professore di storia dell’amministrazione pubblica alla Sapienza, che salta da Giolitti a Scajola, da Cavour a Bondi a Brunetta: il confronto è impietoso, il pubblico ride. “Modernizzare la pubblica amministrazione – dice – significa diventare un paese più civile ed è una necessità irrinunciabile”. Paul Ginsborg che è l’organizzatore scientifico della tre giorni di studio, modera la seconda parte della giornata. La prima ha messo a fuoco i delicati rapporti tra berlusconismo e cultura, giornali e tv.

Questa seconda parte della giornata tocca i punti più delicati: istituzione e giustizia. In tanti, tantissimi non trovano posto in sala. C’è calca all’ingresso. E c’è ansia sul palco per un difficile collegamento tecnico con piazza San Giovanni a Roma. Elisabetta Rubini Tarizzo, avvocato, ha il compito più difficile: accompagnare il pubblico in una passeggiata nella memoria giudiziaria di Silvio B. Il cammino è lungo, comincia “ben prima della discesa in campo di Berlusconi”, ne è anzi la spinta propulsiva. “C’è un deficit culturale del centrosinistra”, conclude, che si abbandona ai luoghi comuni e non azzarda riforme che possano stabilire i paletti di un conflitto d’interesse pachidermico, o la strada seria per far funzionare al meglio la giustizia.

Un’altra piazza preme: è quella della Fiom. Gustavo Zagrebelsky al telefono invia un augurio ai manifestanti: “Non vi vedo – dice l’ex presidente della Corte costituzionale – ma spero che siate molti, forti, responsabili e miti. Questa è un’esigenza di giustizia e di ricomposizione di una società come la nostra rotta da troppe fratture. Il lavoro è la condizione essenziale come riconoscimento di cittadino a pieno titolo. Non per nulla la nostra Costituzione colloca il lavoro al primo punto”.

C’è poi Marco Travaglio che esordisce: “Berlusconi non ha idee, ha interessi”. È la frase che Indro Montanelli pronunciò, quando si consumò il divorzio con il Cavaliere. “Nessuno pensi che il berlusconismo sia un’ideologia ben organizzata – dice il giornalista che è appena diventato vicedirettore de Il Fatto Quotidiano – è semplicemente un adattamento, work in progress, alle vicende miserabili di un uomo solo, inseguito dal suo passato, da cui ogni tanto rischia di essere raggiunto”. Tutto questo non accadrebbe, continua, “se questo paese non si fosse trasformato in un gigantesco scudo umano a protezione della figura di B. Aspettiamo inermi la prossima legge ad personam, la quarantesima, quella sulla giustizia che lo salverà ancora una volta dai guai”. Sono 105 le leggi vergogna approvate in questi 16 anni. Quando scese in campo, ricorda Marco Travaglio, disse, Se non entro in politica, vado in galera. “Oggi, quella frase si può aggiornare così: se non resto in politica, a palazzo Chigi, vado in galera”. E se quella frase può essere aggiornata, dice il giornalista, “è anche a causa di chi dovendo fare opposizione, non ha fatto nulla”.

“Un teatro degli orrori”, lo definirà Gustavo Zagrebelsky, che vorrebbe cinque minuti di respiro, “per riprendersi da tutto le brutture che abbiamo ascoltato”. Invece il discorso riprende subito. Il presidente onorario di LeG parla di Neolingua dell’età berlusconiana. “È un fatto che ci deve colpire che una persona che si è costruito la sua storia come sappiamo, eserciti una fascinazione incredibile”.

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