Ecco perché sono andato alla cena di Fini

20 Dic 2010

Il presidente della Camera da tempo ormai imposta la sua azione pubblica richiamando, come regole dell’agire politico, la legalità, l’uguaglianza dei cittadini, la tutela dei senza lavoro e del precariato giovanile, ed affermando che a questi ideali intende ispirarsi col movimento da lui creato.

Ho ricevuto un invito a partecipare alla cena di Fini, a Firenze, il 16 dicembre.

Quando la cosa si è saputa un giornalista de La Nazione mi ha telefonato e mi ha detto: “Ma scusi, lei non era di magistratura democratica? Non era di sinistra?”

Ho risposto così:

Premetto che non sono mai stato di Magistratura democratica, bensì del Movimento per la giustizia, un gruppo che uscì tanti anni fa da Unicost caratterizzandosi intorno all’idea “professionalità”, intendendo dire che la magistratura deve cercare di adempiere ai propri doveri con maggiore competenza e serietà. Quanto all’esser di sinistra, essendo uomo libero, non oriento le mie simpatie in base alle etichette, ma secondo i valori che in ambito politico vengono professati.  Il presidente della Camera da tempo ormai imposta la sua azione pubblica richiamando, come regole dell’agire politico, la legalità, l’uguaglianza dei cittadini, la tutela dei senza lavoro e del precariato giovanile, ed affermando che a questi ideali intende ispirarsi col movimento da lui creato.”

Ho quindi dichiarato al mio interlocutore, che questi sono tra i valori fondanti della Costituzione, cui ho sempre ispirato i miei ideali di cittadino e la mia condotta di magistrato. Per questo ritenevo giusto manifestare apprezzamento per la linea di condotta dell’onorevole Fini, e dargliene testimonianza con la mia presenza.

Aggiungo una breve postilla.

Il principio della giustizia sociale, che ha come inscindibile presupposto il principio di legalità, con il corollario della soggezione di ogni individuo alla legge, indipendentemente dal censo, dallo status e da qualsiasi altra condizione personale, faceva parte del patrimonio ideale e storico dei movimenti tradizionalmente qualificati di sinistra, poiché l’ansia di giustizia sociale si esprimeva essenzialmente nella tutela delle fasce deboli della collettività, nei confronti di chi non aveva bisogno di ricorrere alla legge per tutelare i propri interessi grazie alla dominanza economica. La legge fu quindi storicamente la difesa del debole, nei confronti della prevaricazione dei forti. Cosi l’idea di sinistra visse, nella sostanza, e così apparve agli occhi degli umili, da Marx a Berlinguer.

Da gran tempo ormai, coloro che si fregiano dell’attributo di sinistra, non parlano più di legalità. Né hanno pronunciato una sola parola in difesa di quei magistrati, che obbedendo ai loro doveri istituzionali, hanno promosso indagini senza riguardo all’importanza politica dei soggetti coinvolti.

È un silenzio rivelatore. Esso dimostra che quei valori non appartengono più al patrimonio di chi vanta la propria collocazione a sinistra.

Se si possiede una fede, se ne dà pubblica testimonianza. Se si tace dinanzi a chi la vilipende, vuol dire che la professione di fede è finta.

Se poi vi sono soggetti, che provenendo da altre esperienze politiche, riconoscono l’importanza – o forse la sacralità – di quei principi, e li coniugano con altri che provengono dal loro passato storico, non incompatibili con i primi – ad esempio la sicurezza, il rispetto delle tradizioni, la fedeltà allo Stato italiano ecc . – bene a ragione meritano stima e rispetto, poiché su ciò che è sostanza della Costituzione, ogni maggior consenso è un fausto evento. E non importa nulla come, nell’inventario dei nomi, chi vi si riconosce si definisce.

Grave è la colpa di chi, avendoli quei valori conosciuti, si è poi vergognato di difenderli.

Per questo ho ritenuto e ritengo di rendere omaggio a Fini, e a coloro che lo hanno seguito, abbandonando per questi principi posizioni di potere che altri, spregiudicatamente, hanno occupato.

* Ubaldo Nannucci, socio Leg di Firenze, è stato procuratore capo del capoluogo toscano

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