Una fiducia tra minacce e lusinghe

14 Dic 2010

Ce l’ha fatta. Ma per soli tre voti, che comunque non gli garantiscono alla Camera la maggioranza assoluta. Ora più che mai il pallino è nelle mani di Bossi. La Lega risulta sempre più determinante. Ed è il solo partito che non teme le elezioni anticipate perché ne trarrebbe sicuri vantaggi.

Ce l’ha fatta. Ma per soli tre voti, che comunque non gli garantiscono alla Camera la maggioranza assoluta. Strappati in extremis. Grazie alle ultime contorsioni, agli squallidi passaggi di campo dell’ultimo momento, favoriti da minacce e promesse, ricatti e lusinghe. La strategia di cui Berlusconi è maestro. Che ha potuto dispiegare appieno, visto che la crisi è stata congelata per un mese, dovendosi fare approvare, prima della fiducia, la legge finanziaria. Lui, il Cavaliere, come si sa, non bada alle spese, quando deve realizzare i propri disegni. Ma tre voti di vantaggio non rappresentano una vittoria convincente. Gli assicurano solo un momentaneo certificato di sopravvivenza. Del resto, in questi due giorni di crescente tensione, con i palazzi del potere (Montecitorio, Palazzo Madama, Palazzo Chigi) blindati da una muraglia innalzata dalle forze dell’ordine, per fermare cortei e manifestazioni di protesta, non abbiamo visto il Berlusconi che in questi anni abbiamo imparato a conoscere. Non si è presentato sulla scena il solito premier sicuro e strafottente, convinto del suo carisma. Fino all’ultimo, è  stato in ambasce, tra sogni di gloria e timori di tramonto. Costretto a usare, almeno nei discorsi ufficiali, toni soporiferi, a supplicare per qualche voto in più. Tanto quanto basta per tirare a campare..

Tuttavia, non facciamoci ingannare da questa apparente flaccidità. Dietro, c’è la tempra del combattente, che non tollera la parola sconfitta, e che, per non perdere, è pronto a qualsiasi trucco, a qualsiasi violazione delle regole. In effetti, questo fatidico martedì 14 dicembre, lui, la sua battaglia l’ha vinta. Il grande perdente è Gianfranco Fini, l’avversario che ora rischia più di tutti perchè la sconfitta ha una violenza simbolica, che potrebbe disarticolare Futuro e libertà, dove già si manifestano perplessità e divisioni. È questo il dato sul quale molti commentatori richiamano l’attenzione. Ma è solo la pennellata più appariscente di un disegno ben più complicato, in cui prevalgono le mezze tinte. Vincere una battaglia, non vuol dire vincere la guerra. E, a vanificare la vittoria berlusconiana, potrebbe ora esserci una devastante guerriglia parlamentare. Dove può andare un governo che si regge solo su tre voti, ostaggio di umori e interessi mutevoli? Da domani, Berlusconi è a rischio. Quale dei provvedimenti che gli premono può avere vita sicura a Montecitorio?

Il premier si preoccuperà di passare Natale. Poi, dovrà fare i conti con un futuro carico di insidie. Che non è certo diventato più confortante per il voto di fiducia. È probabile che Berlusconi pensi a un periodo di rodaggio. Nel quale cercherà di strappare qualche deputato a Fini, di lavorarsi le cosiddette colombe. Tre defezione, tra i finiani si sono già avute, testimoniata dal voto di fiducia; altri disimpegni potrebbero seguire. Ma sarebbe, ancora, un gruzzolo di voti troppo esiguo per navigare in mare aperto. Il vero obiettivo è l’ingresso, nella traballante maggioranza, dell’Udc di Pier Ferdinando Casini, la soluzione prediletta dalle gerarchie cattoliche, con in testa il segretario di stato, cardinale Tarcisio Bertone. Ma è una strada impervia, se fanno fede le dichiarazioni pronunciate dal leader centrista nell’aula di Montecitorio. Destinata  a trasformarsi in un viottolo sempre più stretto, valutando il “no” che viene da Bossi. Il “senatur” ha detto chiaro e tondo che, con un governo appeso a pochi voti di scarto, la scelta migliore è il ricorso alle elezioni anticipate. Dopo l’odierna fiducia, è lui, ancor più di Berlusconi, ad avere il pallino in mano. La Lega risulta sempre più determinante. Ed è il solo partito che non teme le elezioni anticipate perché ne trarrebbe sicuri vantaggi. Non è difficile prevedere, quindi, che sarà Bossi, quando lo riterrà più conveniente, a staccare la spina.

È l’ultimo paradosso di una politica impazzita. Molti peones, preoccupati di conservare comunque il loro seggio, questo particolare lo hanno trascurato: la fiducia non garantisce la vita del governo, ma, al contrario, avvicina le elezioni anticipate.

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