Fini, linea dura tra i malumori

10 Dic 2010

È dai particolari che, a volte, si può giudicare lo stato di “forma” di un leader. Ieri mattina Gianfranco Fini aveva voluto risentire – una volta ancora e a porte chiuse – i suoi notabili per decidere il da farsi. E lui, che proverbialmente ha grandi capacità di ascolto, come sempre ha fatto parlare tutti, ma alla fine non ha voluto sentire ragioni: «Berlusconi, svelando la trattativa riservata che era in corso con noi e l’incontro con Italo, ha dimostrato di essere inaffidabile e di non volere l’accordo». E dunque, il capo ha dettato la linea ai titubanti: se Berlusconi non si dimetterà prima del 14 settembre, i “futuristi” voteranno la sfiducia al governo. Ma quando si è trattato di stendere un breve comunicato, qualcuno vicino a Fini ha proposto di inserire nel documento finale la parola magica: «La decisione è stata presa all’unanimità».

A quel punto, sia pure con molto garbo, i moderati della compagnia hanno obiettato che alla riunione non avevano partecipato tutti gli invitati e dunque non era il caso di gratificare il comunicato con l’aura dell’unanimità. Nell’ennesimo summit tra i notabili futuristi i particolari che hanno lasciato il segno dunque sono due, di diverso segno e di diverso peso. Gianfranco Fini ha messo e ottenuto la “fiducia” sulla linea dura. Ma il malessere, tra i notabili finiani, è così profondo che non è stato possibile sbandierare l’unanimismo. Per la prima volta i moderati – Andrea Ronchi, Silvano Moffa – hanno esternato la propria perplessità sull’asse con i centristi, con Pier Ferdinando Casini e col poco amato Francesco Rutelli, che è pur sempre stato il candidato premier dell’Ulivo nel 2001.

«Se tutto dovesse precipitare verso le elezioni – fa ossevare Ronchi – meglio correre da soli con una lista “Fini presidente”, capace di attrarre l’elettorato di centrodestra».
E gli fa eco Silvano Moffa: «Nel nostro elettorato il sentimento antiberlusconiano, se c’è, è estremamente minoritario». Un malessere, quello dei moderati, alimentato anche dallo stato di salute del nuovo partito: dopo una fase euforica (quella che ha preceduto e seguito la Convention di Bastia Umbra dei primi di novembre), da qualche settimane le adesioni al Fli e le sottoscrizioni al Manifesto per l’Italia vivono una fase di stanca. Tanto è vero che Fini – sia pure in modo informale – ha deciso di posticipare il congresso costituente del partito, inizialmente previsto tra il 14 e il 16 gennaio: si svolgerà tra l’11 e il 13 febbraio, sempre a Milano. Eppure, proprio nel giorno in cui una parte dei futuristi contesta il patto con i “terzopolisti”, nello stesso giorno in cui il presidente del Consiglio è riuscito nell’impresa del sorpasso (ieri sera i deputati favorevoli al governo risultavano più di quelli contrari) a Fini è riuscito di ricomporre un rapporto personale decente con Pier Ferdinando Casini.

I due si sono visti riservatamente nell’ora della prima colazione e hanno riproposto una unità d’azione. Ma nelle ultime 48 ore, per via della trattativa segreta Berlusconi-Fini per interposto Bocchino, Casini aveva fatto trapelare la propria sorpresa e anche qualche sospetto. Una diffidenza che risale a due anni fa: Berlusconi aveva deciso di fondare il Pdl e Fini, dopo l’iniziale irritazione («Siamo alle comiche finali»), era andato a via del Plebiscito per chiudere il patto. Da lì Berlusconi chiamò dal cellulare Casini: «Siamo qui con Fini, che fai ci stai anche tu?». Casini che stava accompagnando a Bologna per una visita la moglie Azzurra, incinta, ebbe la sensazione di essere stato lasciato solo dal suo vecchio amico Gianfranco.

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