La democrazia e il diritto di resistenza

25 Nov 2010

Cosa deve fare il cittadino attento in caso di attacco alla democrazia? Forse è arrivato il momento di interrogarsi di nuovo, sulla scia di Giuseppe Dossetti, sul diritto a resistere. Senza trascurare l’insegnamento di Bauman.

Gli sviluppi di una crisi politica fatta di tattica e mai dichiarata sembrano dare torto all’ottimismo di chi annunciava la fine del governo. Se Berlusconi riuscirà entro il 14 dicembre a trovare una maggioranza parlamentare, per l’annunciato 25 aprile dovremo aspettare nonostante sia evidente che il suo è un potere personale, disinteressato del bene pubblico, colluso con apparati affaristici e criminali, inadeguato ad affrontare gli enormi problemi degli italiani.
Berlusconi trae forza dal saldo e viscerale rapporto con una parte rilevante del paese e sa di poter contare ancora, in caso di elezioni, sul consenso di una parte forse decisiva del corpo elettorale.
Nonostante i finiani abbiano smascherato e denunciato dall’interno della maggioranza la vera natura del berlusconismo; nonostante la crisi politica, l’inerzia del governo denunciata anche da Confindustria, la P3, gli affari di Verdini, le varie cricche ronzanti intorno al potere del capo, le escort, Ruby, le pressioni sulla Questura di Milano, i rifiuti di Napoli, la mancata ricostruzione dell’Aquila, la condanna di Dell’Utri per mafia, i comprovati rapporti personali tra Berlusconi e i boss di Cosa Nostra negli anni settanta e ottanta, le società off shore di Antigua, la grottesca tracotanza del capo e dei suoi, le promesse non mantenute; nonostante tutto questo e altro ancora, secondo i sondaggi il Pdl subisce solo una modestissima flessione nelle intenzioni di voto (compensata, per di più, dal crescente consenso per la Lega). Scandali e nefandezze scivolano come acqua sul vetro nella opinione degli elettori del centrodestra. Il populismo mediatico ha eroso nel profondo le difese democratiche del paese: è il maciullamento delle menti di cui ha scritto Barbara Spinelli.
Dobbiamo prepararci alle ipotesi peggiori: o il voto, che rischia di confermare il potere di Berlusconi togliendogli ogni argine, o il proseguimento della legislatura con Berlusconi al potere. Sullo sfondo, la eventualità di una sua elezione alla presidenza della repubblica.
È tempo per quella ribellione dal basso di cui ha scritto Sandra Bonsanti, e forse è ora di interrogarsi sulla attualità del diritto di resistenza. Giuseppe Dossetti propose di inserirlo formalmente nella Carta Costituzionale quale diritto (e dovere) del cittadino in caso di attacco alla democrazia, con il solo fine di tutelare le istituzioni democratiche in modo – ovviamente – del tutto pacifico e senza uso di violenza, di alcun tipo.
La proposta di Dossetti, in un primo tempo inserita nel progetto di Costituzione articolato nel 1946, non fu poi accolta nel testo definitivo per le difficoltà di precisare contenuti e modalità. Fu comunque riconosciuta (tra gli altri dal costituzionalista Costantino Mortati, democristiano come Dossetti e membro della costituente) la connessione del diritto di resistenza con i principi della Carta Costituzionale, in particolare quello della sovranità popolare (articolo 1) e quello del dovere di fedeltà dei cittadini alla Repubblica e alla Costituzione (articolo 54).
La proposta di una ribellione dal basso di fronte ad un potere che sempre più diventa regime, insomma, si salda e si identifica con il diritto-dovere costituzionale di resistere. La ribellione è costituzionalizzata.
Si tratta di individuare come farla vivere, quali contenuti darle in una situazione in cui le istituzioni democratiche e la Costituzione sono formalmente indenni.
L’obiettivo finale non può che essere il venir meno del consenso popolare per il berlusconismo. Non è facile. Non lo è “convertire” chi fino ad oggi ha creduto, soprattutto per dinsinformazione, all’inganno berlusconiano. Ancora più difficile è convincere coloro che condividono i “valori” di cui Berlusconi si fa interprete e garante.
Quel che è certo è che in questo compito la società civile ha un ruolo decisivo: di denuncia ma anche di proposta di modelli alternativi.
Ci aiuta nell’analisi un bellissimo articolo di Fabio Dei, antropologo dell’Università di Pisa, a proposito del libro di Zygmunt Bauman “La solitudine del cittadino globale” del 1999 (“Tra le rovine dell’agorà”, su “Testimonianze” n. 462 del 2009; lo si trova anche sul sito www.Fareantropologia.it).
Fabio Dei ricorda il pensiero di Bauman: i cittadini contemporanei sono soli perché, dissolta la sfera dell’agire politico, hanno perso la capacità e la possibilità di scelta del proprio destino attraverso un dibattito improntato a criteri condivisi di razionalità.
Bauman si rifà ai tre grandi ambiti della organizzazione sociale della Grecia classica: Oikos, sfera domestica e privata; Ecclesia, luogo della politica e delle istituzioni di governo; Agorà, momento di comunicazione e integrazione tra le altre due sfere, in cui si determina attraverso il dibattito e il compromesso il significato del bene comune e delle scelte fondamentali che devono guidare le scelte della polis. Né la sfera privata né il potere, che tende alla autoreferenzialità, sono infatti in grado, da soli, di determinare valori e finalità fondamentali dell’agire pubblico.
Il concetto di Agorà, secondo Bauman, include quello di società civile, di conversazione razionale e di educazione (o “Paideia”): si tratta di “istruire e addestrare gli individui nell’arte di usare la loro libertà di scelta” in conformità alle leggi ovvero nell’arte di definire valori e opzioni morali; in conclusione, di definire in concreto un concetto di bene comune praticabile, cioè legittimo e non utopico.
Altra notazione illuminante: mentre in passato era l’Ecclesia (i regimi totalitari) ad opprimere la società civile, oggi, in regime tardo-capitalistico e consumistico, al contrario è la privatizzazione radicale dell’esistenza che minaccia di inaridirla. Quella privatizzazione radicale, si può aggiungere, che produce disimpegno e indifferenza per il bene pubblico e che in ultima analisi è il principale serbatoio di consensi per il berlusconismo.
Tutto ciò conferma, anche sul piano “scientifico”, l’importanza della mobilitazione della società civile e dell’associazionismo in una fase storica in cui la politica e il potere hanno perso la capacità (anche per sudditanza ai poteri della tecnica) se non anche la volontà di perseguire il bene comune.
Manca ancora una risposta sul cosa e come fare, ma da Bauman viene una indicazione di metodo. Il ruolo dell’Agorà, aiutare i cittadini ad esercitare la libertà di scelta, non deve implicare rinuncia alla complessità quando è nelle cose ed è necessaria per capire, né deve evitare i “discorsi difficili”, salvo rinunciare a quella “Paideia” senza la quale non c’è libertà di scelta.
Ma sarebbe un paradosso se l’indicazione di Bauman si traducesse in autoreferenzialità della società civile, intesa come ceto intellettuale in possesso di cultura e competenze utili alla collettività.
Bisogna dare voce e dignità politica al senso di isolamento e di impotenza dei cittadini, rispettarne e condividerne ansie, contraddizioni e debolezze, incoraggiarne la voglia di riscatto. Fabio Dei cita Don Milani: “Sortirne tutti insieme è politica”. Non è affatto facile, ma bisogna provarci, tutti insieme.

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