Dov’è l’informazione, bellezza?

24 Nov 2010

Sei mozioni, firmate da maggioranza e opposizione, per dire sostanzialmente una cosa: così non va, non c’è rispetto del pluralismo, la qualità del servizio pubblico è scarsa. Ma il problema dell’informazione resta ancora una volta solo sullo sfondo

Si discute di informazione alla Camera. E già questa è una notizia. Sei mozioni, firmate da maggioranza e opposizione, per dire sostanzialmente una cosa: così non va, non c’è rispetto del pluralismo, ci sono concentrazioni di potere che per forza finiscono per condizionare il risultato e il risultato, alla fine, è quello di “una scarsa qualità del servizio pubblico”.

I più sensibili al tema, a questo punto, avrebbero avuto di che gioire: finalmente, il Parlamento si è accorto del problema. Finalmente, dopo il rapporto, per esempio, di Freedom House che fotografa la libertà di stampa nel mondo e che ha collocato l’Italia al penultimo posto nella classifica europea, un punto più su della Turchia, e 73ma nel mondo, pari merito con le isole Tonga, si prenderanno provvedimenti. Forse, dopo la discussione al Parlamento europeo, qualcuno da noi è pronto a fare qualcosa.

Sbagliato. Il dibattito si concentra su temi generici (quelli delle opposizioni) o così precisi da sembrare attacchi personali e pretestuosi (quelli della maggioranza). Risultato: ancora una volta, non c’è risultato.

Il documento di Futuro e libertà dice sostanzialmente che la RAI è tenuta a rispettare pluralismo, “correttezza, lealtà e completezza dell’informazione” e che “nel suo complesso l’informazione della Rai non soddisfa oggi, né secondo criteri quantitativi, né secondo quelli qualitativi, i requisiti di imparzialità, completezza e correttezza e lealtà richiesti alla concessionaria del servizio pubblico. Si scaglia contro il Tg1, impegnando il governo “a modificare lo schema di contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI”, adottando “pluralismo, completezza e obiettività” come indicatori per la verifica della qualità dell’informazione.

Un’altra mozione, presentata dalle opposizioni è firmata da Beppe Giulietti (gruppo misto), Bruno Tabacci (Api), Roberto Zaccaria e Paolo Gentiloni (Pd), Fabio Evangelisti (Idv) Marco Beltrandi (Radicali – Pd), Roberto Rao (Udc), Roberto Nicco (gruppo misto). Ha contenuti generici, impegna il Governo a recepire la normativa europea in materia di pluralismo dell’informazione, conflitto di interessi e indipendenza del servizio pubblico televisivo: ci si poteva aspettare di più da tanti tecnici dell’informazione.

Il Pdl preferisce il Senato, e nell’aula dove ha più numeri, presenta un testo, di qualche mese fa, dove spiega che tutelare il pluralismo “non significa lottizzazione numerica degli spazi e degli operatori fra i partiti, ma corretta rappresentazione della pluralità delle posizioni in cui si articola il dibattito politico-istituzionale” e che il problema della RAI è “una prolungata e consolidata egemonia della sinistra che si è sedimentata in decenni di potere organizzato all’interno dell’azienda pubblica”.  A questo problema si agginge, secondo le dichiarazioni di Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliarello alle agenzie di stampa, un altro grande scoglio: “il determinarsi di situazioni di sostanziale monopolio o oligopolio nella produzione delle opere radiotelevisive con particolare riguardo a produttori facilmente riconducibili ad esponenti eletti in Parlamento”. A chi si riferiscono? I malevoli pensano alla casa di produzione di Francesca Frau, la mamma di Elisabetta Tulliani, attuale compagna del presidente della Camera Fini. E pensare che anche il Presidente del Consiglio ha partecipazioni in case di produzioni che lavorano per Rai e Mediaset.

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