Gratteri: Saviano ha ragione

20 Nov 2010

L’incontro con il procuratore di Reggio Calabria, in prima fila contro la ‘ndrangheta. L’infiltrazione nel Nord d’Italia, il vanto di politici sui risultati nella lotta alle mafie e le ragioni dello scrittore e dei monologhi di Vieni via con me.

Venerdì sera ad Empoli, incontro emozionante tra Sandra Bonsanti presidente di Libertà e Giustizia, Vannino Chiti  vice presidente del Senato ed il Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, attualmente uno dei magistrati più conosciuti della Direzione Distrettuale Antimafia. Impegnato in prima linea contro la ‘Ndrangheta, la criminalità organizzata calabrese, vive sotto scorta dall’aprile del 1989. Probabilmente è colui che conosce meglio le distorsioni del sistema penale/investigativo/penitenziario che permettono alle tre grandi mafie italiane di prosperare.

La prima domanda di Sandra Bonsanti è di quelle che non si prestano alle elusioni diplomatiche e Gratteri raccoglie in pieno la sfida: “Ma Saviano ha ragione…?”. Risponde Gratteri: “L’impostazione e la lettura che Saviano ha dato è corretta , anche se i tempi televisivi non consentono le opportune articolazioni logiche e descrittive che un fenomeno della rilevanza e dimensione quali è l’infiltrazione della ‘Ndrangheta calabrese nel Nord Italia richiederebbe”.

Prosegue Gratteri: “In alcune aree lombarde esistono strutturazioni locali della ‘ndrangheta  che ricalcano come cloni quelle del territorio di origine. Le mafie hanno smesso di sparare perché essenzialmente non ne hanno bisogno , sono più libere di realizzare i loro scopi rispetto ad es. a 15 anni fa. Oggi la loro maggiore necessità è quella non di arricchirsi ma di poter “ giustificare” la loro immensa ricchezza”.

È fra l’altro paradossale e falso che esponenti di un qualsiasi governo, nel caso specifico di quello attualmente in carica , si fregino degli ultimissimi risultati conseguiti dalla lotta alle mafie; basti solo considerare che per un’operazione che giunge nella sua fase finale  all’arresto di importanti esponenti criminali , occorrono mediamente 3 anni per le indagini di polizia giudiziaria , un anno per ottenere la richiesta d’arresto ed un anno per l’ordinanza di arresto …

Queste operazioni sono frutto del lavoro di coloro che da anni lavorano nelle procure, nelle caserme e nelle questure (e sono sempre gli stessi servitori dello Stato che restano a prescindere dagli inquilini di Palazzo Chigi). Il procuratore Gratteri che dopo una decennale frequentazione degli organi di polizia ed investigativi internazionali, compresi i più celebri del Nord America, afferma che la polizia giudiziaria italiana “è la migliore del mondo”, per profilo professionale e per spirito di dedizione al servizio.

Un’altra domanda di micidiale attualità che Sandra Bonsanti rivolge al procuratore Gratteri riguarda il rapporto tra mafie e politica: “Le mafie votano e fanno votare -risponde Gratteri – e tendenzialmente colgono benissimo il vento del vincitore; sono abilmente capaci di gestire ed intrattenere rapporti con le amministrazioni locali in funzione della “ giustificazione” della propria ricchezza”.

Gratteri indica anche alcune direttive strategiche per combattere le mafie; individua tre settori specifici , quello investigativo, quello penale e soprattutto quello carcerario (forse il meno idoneo, nella sua configurazione attuale, per la funzione rieducatrice dei condannati per mafia). In tal senso cita l’esempio delle comunità di recupero dei tossicodipendenti, dove attraverso una strategia di nuovo riempimento e ricostruzione della personalità del tossico, si cerca di giungere alla vera rieducazione.

L’altro fronte dove sarà essenziale combattere la battaglia più importante è quello culturale e scolastico. La ‘ndrangheta si base e prospera su legami familiari e familistici strettissimi (“fratelli di sangue”). Il suo organigramma prevede esclusivamente progressioni  per linee familiari e non di “merito” : il figlio del “corriere” e del “manovale” tali rimarranno e sono coloro che con maggior probabilità finiranno in carcere , mentre i vertici “manageriali” saranno riservati solo ai figli dei boss.

Questo sistema culturale permea gran parte della società; si pensi ad esempio che i figli dei boss che proseguono gli studi universitari , spesso superano gli esami con la pistola sotto la cattedra (talvolta anche sopra), conseguendo lauree prive di merito; questi saranno poi i medici, gli ingegneri… i professionisti che opereranno nella società locale.

“La scuola è la frontiera dove potremo battere la malavita – afferma Gratteri – perché un popolo colto e dotto è un popolo che può scegliere , è un popolo libero”.

* Alessandro Bruni è coordinatore regionale Toscana

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