Anche a Milano l’effetto Vendola

15 Nov 2010

Complimenti a Giuliano Pisapia. Ha vinto le primarie del centrosinistra per la candidatura a sindaco in un confronto vero con altri eccellenti candidati. Ora ci si attende che l’area politica entro la quale le primarie si sono svolte (senza quell’affluenza di votanti immaginata alla vigilia) lo sostenga non solo lealmente, ma con impegno. Così come l’area politica che fa riferimento al Partito Democratico Usa ha sostenuto Barack Obama dopo che si era divisa tra lui e Hillary Clinton nelle primarie presidenziali del 2008. Ma sono veramente confrontabili le primarie americane con quelle che si svolgono in Italia? In particolare con le primarie di coalizione, come questa di Milano o quella che ha portato al successo Nichi Vendola in occasione delle elezioni regionali in Puglia? E se confrontabili non sono, ha fatto bene il maggior partito del centro-sinistra a organizzare le primarie che ho menzionato (e altre simili) e ad appoggiare in maniera esplicita un candidato che poi è stato sconfitto?

Circa il primo interrogativo la risposta è ovviamente no, non sono confrontabili. Le primarie americane sono primarie di un singolo partito, in un contesto in cui i partiti sono due, e sono regolate dalle leggi dei singoli Stati della Federazione. I due partiti non sono poi paragonabili a quelli europei: non sono organizzati in modo permanente sul territorio mediante personale stabile, non hanno una struttura di associazione ed organi statutari sempre attivi (assemblee, comitati direttivi locali e centrali, e segretari, a livello territoriale e nazionale). E neppure hanno una linea politico-ideologica definita, come l’hanno invece i partiti europei. Sono istituzioni contendibili da parte della società civile e la loro linea politica – se più di “sinistra” o più di “destra”, se più radicale o più moderata – è definita da chi vince le primarie. Insomma, in una primaria americana i partiti, in quanto contenitori vuoti, non “appoggiano”, né possono appoggiare, un candidato, come in questo caso ha fatto il Pd per Boeri o Sinistra e Libertà per Pisapia: per ognuna delle due grandi aree politico-ideologiche in cui si divide la politica americana c’è un unico partito, le candidature emergono dalla società civile, le primarie le vince chi ha più soldi per una campagna efficace e/o indovina meglio gli umori dell’intera area, e chi le vince rappresenta poi il partito nella prova elettorale contro il partito avverso.

Ha fatto bene il Pd, come partito maggioritario dell’area di centrosinistra, a spendersi per primarie di coalizione e ad appoggiare un candidato? Il vantaggio delle primarie sulla tradizionale alternativa (negoziazione di vertice con le altre forze politiche e scelta di un candidato comune) è indubbio se i candidati sono espressione di una coalizione ampia, se tutti accettano il risultato e se il candidato vincente è vicino alla linea politica del partito: le primarie sono una procedura più democratica, più mobilitante e più efficace da un punto di vista mediatico. Comprensibilmente i partiti più piccoli, di solito, non le accettano: perché legarsi le mani in una gara nella quale prevarrà il candidato sostenuto da un partito che dispone di un maggior consenso elettorale e maggiori capacità organizzative? Un partito più piccolo, una corrente politica minoritaria, si impegneranno soltanto se intuiscono che il candidato da loro favorito, per i suoi caratteri personali, o per la debolezza dei candidati di diverso orientamento politico, o per la frammentazione delle candidature, ha serie possibilità di prevalere. Ed è questo che è avvenuto sia in Puglia, sia a Milano. In Puglia per la debolezza del candidato sul quale il Pd aveva puntato le sue carte e per il grande fascino di Nichi Vendola. A Milano per la frammentazione del campo riformistico, per la presenza di candidati realmente espressi dalla società civile, contro la tutela e la regia del Pd. Per restare a Milano, l’effetto finale è che l’area riformistica di questa città sarà rappresentata da un candidato cui sarà possibile rimproverare – ingiustamente oggi, ma efficacemente se si tiene conto della sua storia – di collocarsi su posizioni estreme. O almeno, questa è la convinzione che circola in ambienti pd.

Il Pd non ha fatto male a sostenere un candidato: questo è il ruolo che la Costituzione e la tradizione politica europea gli assegnano. Come in Puglia, così a Milano, non è però stato in grado di convincere l’area riformista, di cui è il principale esponente politico, delle ragioni che lo inducevano ad avversare la candidatura di Pisapia e a scoraggiare la frammentazione delle candidature. Ha manifestato incertezze e ritardi, insieme ad una evidente carenza di egemonia culturale, si sarebbe detto una volta. Insomma, ha subito una secca sconfitta politica.

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