I motivi per dimettersi

11 Nov 2010

In qualsiasi altro paese democratico, un primo ministro che frequenta prostitute, che interviene in maniera del tutto irregolare per togliere dai guai una giovane cubista ospite dei suoi festini osé, che mente ripetutamente sull´accaduto, e che è stato avvertito dalla presenza della cubista in questura da una prostituta che ha il suo numero di cellulare, si sarebbe dovuto dimettere.

In qualsiasi altro paese democratico, un primo ministro che frequenta prostitute, che interviene in maniera del tutto irregolare per togliere dai guai una giovane cubista ospite dei suoi festini osé, che mente ripetutamente sull´accaduto, e che è stato avvertito dalla presenza della cubista in questura da una prostituta che ha il suo numero di cellulare, si sarebbe dovuto dimettere.
In Italia questo non accade. È interessante fare un elenco delle occasioni in cui il primo ministro italiano si sarebbe dovuto dimettere se il paese rispettasse gli standard di altre democrazie.
1) Le tangenti alla Guardia di Finanza. L´otto giugno del 1994, Berlusconi interrompe una riunione di Stato per incontrarsi con un dirigente della Fininvest, Massimo Maria Berruti. Subito dopo, Berruti chiama un alto ufficiale della Guardia di Finanza a Milano per combinare un incontro per il giorno successivo dove gli offre «gratitudine» a patto che tenga il nome dell´azienda del premier fuori dalle indagini. Le tangenti alla Guardia di Finanza sono confermate e Berlusconi sarà condannato a 2 anni e 9 mesi; in appello la Corte concede le attenuanti generiche che fanno scattare la prescrizione.
2) Decreto salva-ladri. Un mese dopo l´incontro con Berruti, nel luglio 1994, mentre sta per essere arrestato Paolo Berlusconi, il governo vara il decreto «salva-ladri» per evitare l´arresto del fratello del premier.
3) Le ispezioni su Di Pietro. Quando fallisce il decreto salva-ladri, Berlusconi trova un altro sistema per eliminare la minaccia dell´inchiesta di Mani Pulite: «eliminare» il magistrato Antonio Di Pietro. Avendo scoperto comportamenti irregolari (ma non illegali) di Di Pietro, Berlusconi e Previti costringono il pm a dimettersi per poi offrirgli un posto nel governo.
4) La vicenda Ariosto. Stefania Ariosto, la compagna di Vittorio Dotti, uno dei principali avvocati di Berlusconi, rivela ai magistrati le tangenti date da Cesare Previti ad alcuni magistrati. Subito dopo Berlusconi telefona a Vittorio Dotti, in vacanza con l´Ariosto, sua compagna, chiedendogli come mai l´Ariosto avesse una scorta. «È vero che sta testimoniando contro il gruppo?». L´assegnazione di una scorta di polizia dovrebbe essere rigorosamente segreta. Il fatto che Berlusconi lo scopra in poche ore dimostra che ha a disposizione una rete di intelligence straordinariamente efficiente e che non ha alcuna difficoltà a usare la macchina dello Stato per proteggersi.
5) Il caso Previti. L´avvocato di Berlusconi viene condannato in via definitiva. Elementi incontestati dimostrano che mezzo milione di dollari sono passati da un conto segreto dell´azienda del premier al conto segreto di Previti e a quello di un magistrato italiano, Renato Squillante. Per conto di chi hanno operato Previti e Squillante?
6) Finanziamenti illeciti a Bettino Craxi. Vengono scoperti e verificati 22 miliardi di finanziamenti illeciti a Bettino Craxi, passati attraverso la società estera All Iberian del gruppo Berlusconi. Al processo di primo grado Berlusconi è condannato a 2 anni e 4 mesi. In appello scatta la prescrizione.
7) Il caso Mills. David Mills, l´avvocato inglese di Berlusconi, riceve 600mila dollari dal gruppo Berlusconi. Poi scrive al proprio fiscalista per spiegare il pagamento non dichiarato: aveva ricevuto i soldi in cambio della sua testimonianza nelle indagini sui «fondi neri» del gruppo Berlusconi. «Non avevo mentito, ma avevo saputo evitare punti spinosi, tenendo il signor B fuori dai guai nei quali avrei potuto cacciarlo se avessi detto tutto quello che sapevo».
8) Lodo Mondadori. Berlusconi ottiene il controllo della più grande casa editrice italiana grazie ad una sentenza comprata. Si scopre che la sentenza finale del caso Mondadori è stata scritta di fatto dalla squadra legale di Berlusconi. L´avvocato di Berlusconi, Previti e il giudice del caso Mondadori, Vittorio Metta, vengono condannati. Berlusconi evita una probabile condanna grazie alla prescrizione, anche se la sentenza di appello, confermata dalla Cassazione, asserisce che Berlusconi aveva «la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio».
9) Il caso Dell´Utri. L´11 dicembre 2004, il tribunale di Palermo condanna Marcello Dell´Utri a nove anni di reclusione con l´accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo è sotto appello ma i fatti principali sono chiari: uno degli uomini più vicini a Berlusconi è stato in stretto contatto con molti uomini di Cosa Nostra.
10) Il caso Unipol. Alla vigilia di Natale del 2005, l´imprenditore Fabrizio Favata porta al premier Berlusconi una telefonata che ha avuto dalla ditta privata che ha gestito le intercettazioni per le forze dell´ordine – una violazione gravissima del segreto istruttorio. Piero Fassino chiede all´imprenditore Giovanni Consorte: «Allora, siamo padroni di una banca?». Il ruolo di Fassino risulta marginale e penalmente irrilevante. Ma la frase, presa fuori contesto, è pubblicata pochi giorni dopo sul giornale della famiglia Berlusconi. L´uso illecito di conversazioni rubate da parte di un primo ministro su un giornale di sua proprietà per distruggere gli avversari politici è peggio di quello che Richard Nixon ha fatto nello scandalo Watergate.
11) Il caso Saccà. Berlusconi è al telefono con il capo della Fiction della Rai, Agostino Saccà – concorrente principale delle sue tv – e chiede il suo aiuto per fare cadere il governo Prodi. L´idea è semplice: dare una parte in un film alla compagna di un senatore del centrosinistra per convincere quest´ultimo a cambiare schieramento. Parole di Berlusconi: «Sto cercando di avere… la maggioranza in Senato… e questa Evelina Manna potrebbe… perché è stata raccomandata da qualcuno con cui sto negoziando».
12) Il caso Agcom. Berlusconi telefona a un commissario dell´Agcom, l´autorità che dovrebbe garantire la correttezza dei media italiani, ordinandogli di chiudere una serie di programmi Rai che al premier non piacciono. «Adesso, basta, chiudiamo tutto!…. Non si può vedere Di Pietro che fa quella faccia in televisione».
13) Caso Noemi. Il primo ministro frequenta una ragazza minorenne. Dice di essere vecchio amico del padre e che ha visto la ragazza sempre accompagnata dai genitori. I fatti dimostrano che sono bugie.
14) Caso D´Addario. Il primo ministro frequenta prostitute fornite da un imprenditore che spera di ottenere appalti. Berlusconi dice, all´inizio, di non conoscere la signora. Viene smentito.
Si tratta di una lista parziale, ma il punto cruciale è che in altri paesi una persona come Berlusconi non si sarebbe mai potuto presentare come candidato alla guida del governo. Nella lontana estate del 1994, quando emersero i primi episodi della totale confusione di interessi privati e pubblici, Giuliano Ferrara, allora portavoce del governo, disse: «O si stabilisce immediatamente un blind trust, o tutto ciò che resterà di questo governo saranno rovine fumanti». Ciò non avvenne (anche grazie alla miopia della sinistra) e nel frattempo gli standard etici e morali dell´Italia si sono radicalmente abbassati, tanto che la dichiarazione di Ferrara sembra venire da un altro mondo. Oggi ci troviamo di fronte al caso Ruby e alla reiterazione di una domanda. L´Italia possiede ancora una qualità che sembrava scomparsa, il senso della vergogna?

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