Dopo la Finanziaria, il diluvio

11 Nov 2010

Elezioni anticipate o rimpasto? Le ipotesi si accavallano e ciascuna può essere da un momento all’altro contraddetta. Il solo dato accettato è che gli eventi non precipitino finchè non sarà votata la legge finanziaria. Intanto fallisce l’incontro Bossi-Fini

Talvolta spietata è la cronaca politica. Crudele deve essere, per Berlusconi, stare a Seul, al vertice tra i Venti grandi della terra, e tenere l’orecchio teso alle voci, persino agli spifferi, che vengono dai palazzi romani dove i riti della prima Repubblica sono prepotentemente tornati alla ribalta. Già, proprio quel “teatrino” che lui, il Cavaliere, ha sempre deprecato. Il governo che c’è e non c’è. Un partito che sta dentro e fuori la maggioranza. La crisi “pilotata”, la crisi “al buio”, il “rimpasto”, il “rimpastino”. Bossi che media con Fini, l’uomo che il capo della Lega aveva insultato, chiamandolo “fighetta cambia-bandiera” e anche “ex fascista amico della sinistra”. E, a sua volta, Fini che si consulta di continuo con Casini, tornato sulla piazza con la collaudata maestria democristiana…Un deja-vu che ha un sapore surreale.
Aveva pensato, il premier, di uscire dall’angolo con un colpo di teatro politico-mediatico, secondo lo stile dei bei vecchi tempi: il mini-tour nell’Italia devastata, prima il Veneto, poi l’Aquila, per portare la voce del governo del fare. Ma è andata male: la Lega ha portato Berlusconi in Veneto assegnando a Bossi i riconoscimenti per l’iniziativa, al ministro Tremonti il merito d’aver trovato i soldi per fronteggiare la catastrofe, e al Cavaliere una buona dose di fischi. Ecco, il Carroccio manifesta la sua centralità politica: sul territorio e anche a Roma. E lui, il presidente del Consiglio, che fa? Lontano ormai dai bagni di folla, dai predellini, dai sogni, si butta a capofitto nell’aborrito teatrino. Mandando Gianni Letta, il solo di cui veramente si fida, a sondare Fini prima che lo faccia Bossi. Anzi, la mediazione del “senatur” è derubricata a iniziativa personale, perché non gli è stato conferito “nessun mandato specifico”. Ma la missione del “plenipotenziario” di Palazzo Chigi non è stata delle più confortanti. E anche dal faccia a faccia tra il presidente della Camera e la delegazione leghista, è venuta fumata nera. Fini ha gelato il “senatur”, riproponendo tali e quali tutti i punti del suo discorso di Perugia.

Le istantanee del Palazzo ci mostrano gli altri in grande movimento e un Berlusconi immobile, il presidente del Consiglio “paracarro”, secondo la definizione finiana, che da Seul ammette, bontà sua, di “avere qualche difficoltà”. I margini, in effetti, non sembrano molti: o accetta di aprire la trattativa, dando le sue dimissioni e acconsentendo ad azzerare tutto, governo e programma, nel recinto di una rinnovata alleanza estesa anche all’Udc, oppure gli esponenti di Futuro e Libertà lasciano gli incarichi ricoperti e l’esecutivo può cadere, in ogni momento, su un voto qualunque, perché alla Camera non ha più la maggioranza e anche al Senato i margini di sicurezza si stanno assottigliando. L’ipotesi delle dimissioni, per arrivare a un Berlusconi bis, è stata presa in considerazione a Palazzo Chigi, ma doveva essere una crisi pilotata, superblindata, solo un passaggio rapido al Quirinale. E stato risposto che non se ne parla, che Fini dopo aver acceso i fuochi d’artificio non può accontentarsi di qualche ministero in più. E, a questo punto, si manifesta il fantasma che più allarma il Cavaliere: un governo di centrodestra, ma guidato da un altro esponente del centrodestra, con lui che magari sceglie il suo successore, dopo aver fatto il passo indietro che gli è stato imposto. Ma lo vedete un leader populista, abituato a esercitare poteri plebiscitari, accettare questo? Il quartiere generale berlusconiano sta in trincea: si ripete che si va avanti, che è preferibile cadere in Parlamento con un voto di sfiducia, a viso aperto. Il calcolo è che, malgrado tutti i tentativi di Fini, Casini e Bersani, non nascerà dalla sfiducia nessun governo tecnico di transizione. E che alla fine si correrà verso le elezioni anticipate, con Berlusconi pronto a un nuovo referendum sul suo nome.

Le ipotesi si accavallano e ciascuna può essere da un momento all’altro contraddetta. Il solo dato accettato è che gli eventi non precipitino finchè non sarà votata la legge finanziaria, cioè il freno alle tendenze speculative, come ha esortato il capo dello Stato. Fino a dicembre quindi si dovrebbe avere una instabile tregua, imposta da “esigenze superiori”. Entro quest’orizzonte, Bossi conta di portare a casa anche il federalismo fiscale, con il varo degli ultimi decreti. Insomma, quello che per la Lega è il nodo cruciale. Ma dopo che la Finanziaria e il federalismo saranno alle spalle che cosa accadrà? Continua l’incubo di una politica che segna il passo. Incerta, sterile, passiva finchè non si farà chiudere bottega al premier con tutti i suoi ministri.

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