L’asse del Nord

09 Nov 2010

Il tentativo di far finta di nulla è evidente. Si desume dal silenzio di Silvio Berlusconi e dalla volontà della Lega di andare avanti come se Gianfranco Fini domenica non avesse lanciato nessun ultimatum. Ma è la coda sempre più corta di una tattica che si sta esaurendo. Si tratta di prendere atto che una fase è archiviata; e che la crisi di governo si avvicina. Ora si tratta di evitare che l’implosione del centrodestra danneggi l’Italia. Per questo il Quirinale ricorda che bilancio dello Stato e patto di stabilità sono «impegni inderogabili»: teme un impazzimento della situazione. Ma l’accelerazione è nelle cose. Ormai non si parla più del se né del quando il governo cadrà: si sta scommettendo sul come, senza che nessuno sia in grado di prevederlo. A rendere drammatica la corsa contro il tempo è la sentenza della Corte costituzionale sul «legittimo impedimento» prevista per metà dicembre; e l’apertura di un fascicolo contro il premier da parte del Csm con l’accusa di avere «leso il prestigio dell’ordine giudiziario» e del pm del processo Mills, Fabio De Pasquale. Ma su quanto accadrà dopo è buio fitto.

L’incontro di ieri fra Berlusconi e Umberto Bossi con tutto il vertice leghista è un punto a favore del premier. Conferma una sintonia con il Carroccio che prelude a un «no» a qualunque soluzione subordinata all’attuale governo, quando cadrà; e a una posizione comune nella richiesta di elezioni anticipate, sebbene la Lega cerchi ancora una mediazione col Fli. D’altronde, la via d’uscita suggerita da Fini è percorribile solo in teoria: una coalizione con dentro anche l’Udc di Pier Ferdinando Casini significherebbe l’ammissione del fallimento dell’«asse del Nord». E comunque, il modo ultimativo col quale è stata proposta la fa sembrare un vicolo cieco.

Fini ha detto di voler rafforzare il centrodestra; ma in parallelo ha annunciato il ritiro dei ministri del Fli entro 48 ore se Berlusconi non accetta le sue condizioni: termine che potrà dilatarsi al massimo di qualche giorno, perché l’opposizione gli vuole impedire di tergiversare. Ancora, il presidente della Camera fa dichiarare ai fedelissimi di essere candidato alla guida del «nuovo centrodestra»; ma intanto accarezza l’idea di un’alleanza con l’Udc che combatte il bipolarismo e cerca un «terzo polo»: ipotesi realizzabile soltanto se sarà eliminato il premio di maggioranza.

Insomma, a breve termine Fli e Udc perseguono lo stesso obiettivo: scalzare Berlusconi e dar vita a un governo che cambi la legge elettorale. E i loro leader ripropongono un sodalizio rottosi fragorosamente nel 2008, quando Fini scelse il Pdl e lasciò Casini al proprio destino solitario. Ma sul loro percorso pesano incognite legate in primo luogo a chi si assumerà la responsabilità della crisi. Se si andasse alle urne a primavera senza cambiare sistema elettorale, le ambizioni dell’Udc e quelle finiane potrebbero rivelarsi difficili non solo da affermare ma da conciliare. Nelle fasi di transizione sono tutti più soli.

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