Caos: le vie d’uscita

03 Nov 2010

Dopo l’affaire Ruby, la maggioranza è in affanno, perde i pezzi ma è ancora presto per darla comunque per spacciata. Mentre la nave affonda irrompono nuovi scenari. E l’opposizione, lontana dall’ aver individuato una strada comune verso un comune traguardo, guarda alla Lega per capire come intenda muoversi, quanto sia disposta ad offrire in cambio di certezze sul federalismo

Si discute di Berlusconi e delle sue donne in un bar di provincia in Toscana. In altri tempi sarebbero stati risate e lazzi. Oggi è diverso. Dice una voce tremendamente seria: “La politica a noi ci deve dare da mangiare”. E il divertimento è davvero finito, la realtà incombe in questo autunno un po’ lugubre, in cui si contano anche gli spiccioli prima di comprare i mazzi di crisantemi gialli.
Anche quelli che non sono ancora pronti a condannare il capo del governo per il suo abuso di potere perpetrato nei confronti della questura di Milano (si sente dire: lo fanno tutti), sanno ormai molto bene che il governo non ha fatto e non sta facendo un bel nulla per studiare la via d’uscita dalla crisi, per dare da mangiare a chi ha perso o perderà il posto di lavoro. A Roma, dicono, stanno studiando non le vie d’uscita dalla disoccupazione, ma dagli ultimi casini di Berlusconi. Intanto risuona cupa la minaccia del ministro Bondi: “o noi o il caos”.
Critica, dubbi per la propria sorte, incubi di un potere al tramonto  albergano finalmente anche in una parte del Pdl e solo i fedelissimi, la cui pattuglia si assottiglia giorno dopo giorno, oggi si sentono di ripetere in Tv che nulla è successo, che sono sinceramente orgogliosi dello stile di vita di Berlusconi, e che comunque lui agli italiani (notoriamente sporcaccioni e prepotenti) continua a piacere così, e se anche non piacesse più comunque lo hanno votato il 13 e il 14 aprile del 2008 e ora se lo devono tenere: altrimenti, qualunque altra soluzione, sarebbe un “golpe”.
La maggioranza berlusconiana dunque perde pezzi, ma è ancora presto per darla comunque per spacciata. Mentre la nave affonda irrompono nuovi scenari. E l’opposizione, lontana dall’ aver individuato una strada comune verso un comune traguardo, guarda alla Lega per capire come intenda muoversi, quanto sia disposta ad offrire in cambio di certezze sul federalismo.
La situazione cambia di ora in ora, cerchiamo di riassumere qualche ipotesi di sbocco. 
1)     La prima è che B. insista a non mollare aspettando gli sviluppi dell’inchiesta e di vedere se Fini davvero se la sente di passare dall’altra parte. Una subordinata di questa non soluzione è che B. decida di fare un passo indietro e cerchi di lanciare un governo di un fedelissimo, come sarebbe un governo guidato da Gianni Letta, cui affiderebbe il compito di ricucire i cocci dell’attuale maggioranza e di varare qualche norma per l’economia, moderando le proposte sulla Giustizia ecc. Altri nomi che girano: Tremonti, Gelmini, Alfano
2)     Diversa sarebbe la situazione se attraverso una mozione di sfiducia o altro il governo B. fosse bocciato in Parlamento e il Capo dello Stato aprisse le normali consultazioni. I presidenti delle Camere, ascoltati per primi, probabilmente si dividerebbero: Schifani direbbe: meglio andare al voto. Fini che sarebbe giusto provare, prima di sciogliere il Parlamento, la possibilità di far nascere un nuovo governo incaricato di fare la riforma della legge elettorale per restituire ai cittadini un po’ di quella sovranità che è stata loro confiscata dal Porcellum.
3)     Le ipotesi fino ad ora proposte dall’attuale opposizione (Centro, Italia dei Valori, Pd) si concentrano su un “governo tecnico”, o “un governo di transizione” , o un governo “come quello Ciampi” a cui nell’aprile del ’93 il presidente Scalfaro affidò l’incarico di fare un governo che salvasse il Paese nel crollo della prima Repubblica. Anche il governo Ciampi ebbe il compito di fare una riforma elettorale in senso maggioritario che rispettasse il voto referendario degli italiani. I compiti di questo ipotetico governo che potrebbe mettere insieme non solo l’attuale opposizione tutta ma che dovrebbe pescare abbondantemente nell’attuale maggioranza con voti di Finiani e altri sparsi sono ancora vaghi: legge elettorale sì (e un accordo sul testo oggi pare meno impossibile di qualche tempo fa) e poi misure economiche per superare l’emergenza.
4)     Manca inoltre per adesso il Ciampi di oggi. I nomi che circolano sono quelli di Giuseppe Pisanu e di Mario Monti, ovviamente due profili assolutamente diversi e dunque assai diversi sarebbero anche gli eventuali esecutivi ad essi affidati. Ma nel panorama così confuso si muovono anche personaggi “nuovi” alla politica, come Luca Cordero di Montezemolo che sta già contando le forze a sua disposizione in giro per il Paese, nel caso si andasse subito a elezioni anticipate. Il patron della Ferrari fa sapere che si muoverebbe al di fuori dai partiti, contando su energie della società civile. Ma conoscere in anticipo come la penserebbero movimenti e associazioni (non cito le cosìdette Fondazioni, ormai tutte o quasi con una forza politica di riferimento) non inquadrati nei partiti e da sempre gelosi di autonomia è davvero difficile, impossibile mettere il cappello, un cappello, su quel mondo esigente e imprevedibile e sospettoso nei confronti di soluzioni “al buio”, dopo le esperienze del passato . Montezemolo non sarebbe comunque, a quanto sembra di capire, l’unica new entry.
5)     Interessanti sono i movimenti interni al Pd: saranno Renzi, Civati e gli altri rottamatori ad animare il dibattito nei prossimi giorni con l’intento di rendere effettiva la non ricandidatura di chi ha già fatto tre legislature. Il sindaco di Firenze dice: fuori D’Alema, Veltroni e la Finocchiaro, tanto per cominciare. Altri sostengono: rottamiamo le persone ma non il Pd. Un’opera davvero difficile quando il partito sul territorio non esiste e esiste invece soprattutto la classe dirigente, la stessa da decenni, che comunque non sembra affatto pronta a grandi gesti di generosità e  a farsi da parte. Non abbiamo ancora sentito nessuno dire: io questa volta resterò a casa, farò un altro lavoro, darò comunque una mano a ricostruire il Paese. Questo giusto dibattito sul “dopo”  rischia comunque di arrivare in una fase in cui la preoccupazione principale non può non essere quella di riuscire a mandare a casa il governo di B., il più disastroso dal dopoguerra ad oggi, dunque in più di sessant’anni di storia della Repubblica.
Eppure non si può fare a meno di pensare che quando sarà finalmente possibile metter mano alla ricostruzione culturale e politica di questo paese ferito dagli anni di Berlusconi, quando la politica potrà dedicarsi a dar da mangiare a chi oggi non è sicuro di poter sfamare i figli, toccherà a qualcun altro prendersi questa responsabilità.
Non riesco a immaginare che la rinascita possa essere affidata a quegli stessi che in questi anni non sono stati in grado di opporsi al berlusconismo, opporsi e vincerlo.
Ma per questi pensieri è ancora presto, e il tempo, gli anni e ora i giorni, ci scorrono fra le mani. Solo alla fine ognuno di noi dovrà riflettere sulle proprie responsabilità.
 Ognuno forse ha sbagliato un po’. Ma non tutti siamo complici di quello che è successo.

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