Aspettando Perugia

E allora di che cosa si parla con questo presidente del Consiglio che è diventato la macchietta di se stesso, un vecchio attore sfinito dai suoi continui artifici e inganni, ridottosi a pronunciare battute sconnesse e deliranti? Naturalmente, si parla di sesso perché lui, il Cavaliere, incarna il mito del maschio latino gaudente, talvolta gran gaffeur, ma sempre capace comunque di confortare le donne e far invidia agli uomini. C’è chi pensa che, con le sue battute omofobe ( “Meglio le ragazze che i gay”), Berlusconi abbia fatto una scelta deliberata. Sollevare un gran polverone per allontanare dai veri problemi, come tante volte è già accaduto in passato, e con successo. Però, questa volta il trucco non è riuscito. Troppo grottesca e sordida si è palesata la trama. Il limite è stato superato. Il Cavaliere appare sempre più fuori controllo. Non vede e non sente quel che gli accade intorno. Ha perso il contatto con la realtà. Altrimenti, come avrebbe potuto definire un “atto di solidarietà” le pressioni indebitamente esercitate, le bugie (“E’ la nipote di Mubarak”) per una sua assistita, fino a ottenerne la consegna a una sua collaboratrice che l’ha subito rigettata per strada, abbandonandola per giunta a chi voleva avviarla alla prostituzione? Prescindiamo dai risvolti penali. Domina il tema del decoro. Si impone la questione morale. Può un paese civile tollerare che il capo del governo si comporti così?
 
Oltre confine pensano che non possa accadere. Basta mettere il naso fuori casa per sentirsi ripetere questa domanda: ”Ma come fate a tenervi un Berlusconi così?”. Annotazione di cronaca: era in programma un vertice con la Merkel, ma è stato congelato, se ne riparlerà il 12 gennaio, sempre che per questa scadenza il Cavaliere segga ancora a Palazzo Chigi. Già, la cosa sorprendente, stupefacente, è la pervicacia con cui Berlusconi resta aggrappato alla poltrona. Benché cresca l’isolamento. Ironia delle coincidenze: lunedì prossimo, 8 ottobre, il premier dovrebbe essere a Milano, per dare il via alla Conferenza nazionale sulla famiglia, evento che era stato preparato nei minimi particolari, anche per recuperare il rapporto tra esecutivo e vescovi. Vale ancora, per le gerarchie, la teoria della “contestualizzazione”, esposta da monsignor Fisichella, quando volle giustificare la barzelletta blasfema del premier? Anche la Confindustria, ormai, prende le distanze, colpita dalla “ondata di fango che lambisce le istituzioni”. Le imprese abbandonano l’illusione berlusconiana. La politica del “fare” si è rivelata una favoletta che non incanta più. Simbolicamente racchiusa nei cumuli di immondizie nelle vie di Napoli, che smentiscono le assicurazioni sui “tempi rapidissimi” per la soluzione del caso rifiuti. Un “miracolo” che sfiorisce. Così come sfiorisce l’altro “miracolo”, quello dell’italianità dell’Alitalia, salvata a caro prezzo, ma per la quale appare oggi inevitabile una fusione con Air France.
 
Una cosa è certa. Il governo è paralizzato. Virtualmente morto. Appassito nelle sue sconfitte. Ma non si trova ancora chi, nella maggioranza, abbia il coraggio, come si dice, di “staccare la spina”. Si aspetta Fini. La “svolta” di Perugia, dove sabato e domenica Futuro e Libertà celebra la sua prima convention. Si prospetta la decisione, da parte del presidente della Camera, di ritirare i suoi ministri dal governo, per passare all’appoggio esterno. Tuttavia, la partita è ancora indecifrabile. Continua, nel centrodestra, lo scarico delle responsabilità, il cosiddetto gioco del cerino. Anche il Pd di Bersani attende. E incalza Fini. Ma fino a quando si potrà continuare a restare a mezz’aria? Che la posta in gioco sia grossa è evidente. Però, la tattica ha i suoi limiti. Il maggiore partito d’opposizione non può solo muoversi tra le contraddizioni di un sistema politico in macerie. Bisogna guardare oltre, a quel quaranta per cento di cittadini che, nelle ultime elezioni, non ha votato o ha annullato la scheda. Ridare a quest’elettorato speranze e proposte. Scuotere il paese, per  sottrarlo a quella forma di assuefazione che è il frutto più velenoso del berlusconismo.

3 commenti

  • “ASPETTANDO GODOT”
    A Perugia, l’uomo delle fogne (“fascisti, carogne, tornate nelle fogne”), si riscatterà alla luce del “Futuro”?
    cf

  • IL NITRITO DELL’ITALO INDOMITO
    Un esagitato sfrenato caracolla per l’arena, il domatore ha soltanto schioccato la frusta, lui, la bestia, scalpita, nitrisce, scrolla la criniera e recita il suo ruolo con l’impegno della nobile bestia che sente gli occhi del padrone ammirarlo. Dagli spalti le urla d’incitamento fanno impazzire il ronzone e l’impegno alle acrobazie equestri dà all’animale la forza della disperazione.
    È un nuovo culto della personalità che raccoglie intorno a sé, a Perugia, un’umanità frustrata, nostalgica di un passato che la finezza del divo rievoca senza nomarlo: fascismo. Sembra impossibile, eppure è là il fascismo, nella sua tracotante impudenza e si presenta a questa folla attonita, illusa, ubriaca di una grandeur confusa per amor di Patria.
    Siamo al “Dulce et decorum est pro Patria mori”.
    Il Vate ha un nome, un nome che per finezza non s’aggiunge, rumina e pasce il suo gregge con la furbizia del pastore che priva della libertà la sua mandria.
    cf

  • UN CASO DI SERENDIPITÁ
    In Polonia, la più grande statua del mondo di Gesù è finita, è stata collocata, gigantesca, con le braccia aperte, ad abbracciare l’intera umanità. A Perugia, anche la statua di Fini è finita, giganteggia, a braccia aperte, in stile rockstar.
    Gli infingimenti son crollati e dalle dimissioni di Fini da presidente della Camera, siamo passati alle dimissioni di Berlusconi da premier. Un salto di qualità che toglie a Berlusconi ogni illusione sull’ipotesi di continuare a barcamenarsi fra Scilla e Cariddi in attesa del mare propizio.

    Non ci sono equivoci, “Alea iacta est” (il dado è tratto), il Cesare perugino getta la maschera grottesca, attraversa il Rubicone con le sue truppe BARBARESCHE, mentre diffonde a migliaia di esemplari quelle T-shirt col dito indice inquisitorio che nell’aprile (quel 22 aprile maledetto foriero di un 25 luglio del 43) scorso aveva già beffeggiato il Cavaliere. Sei mesi perduti in inutili pourparler che hanno fornito ossigeno all’anossico Gianfranco.
    “Che fai mi cacci”?…
    Oggi è lui, Fini, che caccia Berlusconi dal governo e, della casa monegasca, se ne parlerà nel 2033: incredibile ma vero.

    Non mi dispiace che finisca la fiaba, è che non è una fiaba normale, è un caso di serendipità, un risultato imprevisto che ci lascia (noi del PdL) con l’animo esacerbato.
    Celestino Ferraro

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