Le vicende giudiziarie di Silvio B.

25 Ott 2010

I processi a Berlusconi sono stati e sono tuttora un “luogo” della vita nazionale che vede coinvolti non solo giudici ed avvocati, anche – e con ruoli fondamentali – esponenti politici, il Parlamento stesso, televisioni, giornali e opinione pubblica.

Tutto il convegno sul berlusconismo

Penso che il motivo per cui mi è stato chiesto di intervenire a questo Convegno di analisi dell’era berlusconiana sia il fatto che le vicende giudiziarie di Silvio B. occupano da molti anni una parte importante della mia vita professionale. Ho avuto ed ho dunque esperienza diretta – addirittura quotidiana – del lunghissimo dramma che vede Berlusconi oggetto di indagini e processi penali e, più di recente, civili e, al contempo e specularmente, attore di una duplice strategia di difesa extragiudiziaria, basata, da un lato, su una campagna mediatica di delegittimazione radicale della funzione giudiziaria e, dall’altro, sull’elaborazione di una nutrita serie di interventi legislativi volti ad ostacolare il progredire dei processi che lo riguardano (o che riguardano persone e aziende a lui vicine).

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Uso volutamente il termine “dramma”, per indicare l’insieme creato dalla pluralità degli attori coinvolti, dalla complessità dei conflitti sottesi alle vicende giudiziarie di Berlusconi e dalla pregnanza anche emotiva di tali conflitti. I processi a Berlusconi sono stati e sono tuttora un “luogo” della vita nazionale che vede coinvolti non solo giudici ed avvocati, bensì anche – e con ruoli fondamentali – esponenti politici, il Parlamento stesso nella sua funzione legislativa, televisioni, giornali e opinione pubblica. Il fulcro del dramma consiste nel sovrapporsi, in Berlusconi, delle vesti di imputato di gravi reati, da un lato e, dall’altro, di leader politico dello schieramento politico che ha per tre volte, dal 1994, ottenuto la maggioranza dei consensi e dunque detiene il potere di governo del paese. In Berlusconi confliggono direttamente, dunque, il potere politico – cui è legittimato dalle vittorie elettorali – e il potere giudiziario, che lo accusa.

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Sgombriamo anzitutto il campo da una leggenda: le indagini giudiziarie a carico di Berlusconi non sono iniziate dopo la sua discesa in campo politica, avvenuta all’inizio del 1994, bensì prima: nel 1994 svariate indagini erano già in corso presso la Procura di Milano, come afferma nel 2000 il Tribunale di Brescia nell’archiviare la denuncia di Berlusconi contro i PM milanesi, rei a suo dire di aver tentato quello che negli anni Berlusconi non si stancherà di definire un “sovvertimento della volontà degli elettori”, ovvero di averlo perseguito a causa del e per contrastare il suo impegno in politica.
Di fatto, i problemi giudiziari connessi all’avvio della televisione commerciale risalgono agli anni 80 (tra cui la nota indagine su presunte antenne abusive condotta dal giudice Squillante, poi risultato a libro paga della Fininvest); nel 1988 Berlusconi viene condannato per falsa testimonianza in relazione alla data e alle modalità della sua iscrizione alla P2; all’inizio degli anni 90, il fratello Paolo e vari esponenti della Fininvest sono oggetto di indagini inquadrabili nel magma Tangentopoli; l’indagine di Torino su fatture false in Publitalia data del 1993, coinvolgendo Dell’Utri. Parimenti del 1993 è l’indagine di Roma su un’ipotesi di corruzione connessa all’approvazione della legge Mammì in tema di concorrenza televisiva. Ancora del 1993 è l’indagine sul falso in bilancio connesso all’acquisto del calciatore Lentini da parte del Milan, di proprietà di Fininvest.
Ciò che più conta, molti dei fatti addebitati a Berlusconi sono anteriori alla sua “discesa in campo”: i finanziamenti illeciti a Craxi tramite il comparto estero di Fininvest noto come All Iberian – rispetto ai quali Berlusconi è stato riconosciuto colpevole in primo grado e prosciolto per prescrizione in quelli successivi – datano del 1991 e 1992;
la costruzione di un vasto e articolato comparto di società offshore, alle quali Fininvest riversò negli anni ingentissimi fondi, ovviamente non riflessi nei propri bilanci, data anch’essa degli anni 80; le imputazioni relative alla corruzione del giudice Squillante, del giudice Verde e del giudice Metta riguardano fatti avvenuti tra il 1985 e il 1991.

Assai più credibile rispetto alla tesi del complotto giudiziario risulta dunque, alla luce dei fatti, l’opposta tesi secondo cui Berlusconi decise di mirare alla conquista del potere politico anche per difendersi dai molteplici fronti giudiziari, nel 1994 già aperti o comunque prevedibili.

E di fatto il potere politico ottenuto da B è stato – insieme alla proprietà di alcuni dei principali mezzi di informazione del paese – un’arma formidabile di tacitazione della minaccia giudiziaria. Come prima accennato, vorrei riferirmi qui, per illustrare come ciò sia avvenuto, alla mia personale esperienza di avvocato in alcuni dei processi che hanno riguardato Berlusconi. A partire dal 1999, insieme al collega Giuliano Pisapia, sono stata parte civile nei processi penali avviati dinanzi al Tribunale di Milano sulla base delle indagini svolte dai PM Bocassini, Colombo e Ielo, per fatti di corruzione in atti giudiziari e falso in bilancio e meglio noti come processi SME-Squillante e Lodo Mondadori. Come qualcuno ricorderà, in entrambi i casi si trattava di imputazioni attinenti episodi di corruzione di giudici in relazione alla decisione di processi civili svoltisi a Roma tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, ai quali, per varie ragioni, Berlusconi era interessato. Per la precisione, nel caso del processo SME si trattava della corruzione di giudici del Tribunale romano investiti della decisione relativa alla validità o meno del contratto di vendita del gruppo SME alla Buitoni (poi CIR), stipulato nel 1985 tra Romano Prodi e Carlo De Benedetti; nel medesimo processo, si discuteva inoltre della corruzione del giudice Squillante, ai tempi capo dell’ufficio GIP di Roma, nonché di falsi nei bilanci di Fininvest in relazione alla costituzione di fondi neri all’estero, destinati tra l’altro ad alimentare le provviste corruttive. Nel processo cd. Lodo Mondadori l’accusa riguardava la corruzione del giudice presso la Corte d’Appello di Roma Vittorio Metta al fine di fargli emettere sentenza favorevole a Fininvest nell’ambito del contenzioso per il controllo del gruppo Mondadori. In entrambi i processi, imputati erano appunto Berlusconi e inoltre Previti, in quanto “gestore”, nella sua veste di avvocato, delle vicende corruttive nonché i comprimari Pacifico ed Acampora, anch’essi avvocati di Fininvest; e infine i giudici Metta, Verde e Squillante.

Mi sembra significativo riferirmi all’andamento di tali processi in quanto esemplificativi del rapporto tra Berlusconi (e il suo ambito) e il mondo dei giudici e della giustizia: qui infatti si sono pienamente manifestate, lungo i circa dieci anni di svolgimento, quelle modalità che sono state correttamente definite di “difesa dal processo”, ovvero di difesa non tanto dal merito delle accuse quanto dalla pretesa dell’ordinamento giudiziario (e delle parti civili) di sottoporre a giudizio Berlusconi e i suoi sodali. In entrambi i processi, fin dall’inizio del dibattimento è stato infatti evidente che sarebbero stati usati strumenti estranei alla normale dialettica processuale, con il fine dichiarato di impedire lo svolgimento dei processi. Come ricorda il collegio del Tribunale di Milano presieduto dal giudice Carfì nella sentenza di primo grado che condannò tutti gli imputati del processo IMI-SIR\Lodo Mondadori, il dibattimento durò tre anni e fu punteggiato da ben due istanze di astensione, sette istanze di ricusazione con relativi procedimenti e impugnazioni, una richiesta di rimessione del processo ad altra sede giudiziaria per “legittimo sospetto”, plurime sospensioni a causa di “legittimi impedimenti” degli imputati parlamentari, reiterati tentativi di paralizzarlo a mezzo di innovazioni legislative. Il processo SME-Squillante durò ancora di più e fu persino più travagliato.

Un altro dato caratterizzante i processi che vedono coinvolto Berlusconi è la dominante dimensione mediatica. In tutto il corso dei procedimenti giudiziari che hanno riguardato Berlusconi, le sue aziende e i suoi uomini, la dimensione giudiziaria è stata investita e pesantemente inquinata da quella mediatico-politica. La dimensione mediatica dei processi è stata un elemento fondamentale nella strategia di difesa extraprocessuale degli imputati: rammento bene come, nei processi SME-Squillante e Lodo Mondadori, alla fine di ogni udienza, gli operatori di tutte le televisioni, pubbliche e private, si assiepavano intorno a Cesare Previti, pronti a raccoglierne le dichiarazioni contenenti attacchi alle decisioni dei magistrati e giustificazioni del proprio operato. Lo stesso valeva per i giornalisti della carta stampata i quali, con poche lodevoli eccezioni, riportavano essenzialmente le veementi proteste degli imputati e le loro insinuazioni contro i giudici, anziché le notizie attinenti i processi. Sarebbe interessante fare una raccolta delle cronache giornalistiche relative a questi ed altri processi, al fine di verificare quanto – rispetto a questi temi, delicatissimi per i rapporti con il Berlusconi politico – i mezzi di informazione abbiano abdicato alla loro funzione informativa ed alla loro indipendenza.
Il leit motiv delle “toghe rosse”, vale a dire l’argomento secondo il quale i processi contro Berlusconi e i suoi collaboratori (avvocati ma anche esponenti delle aziende di famiglia, più volte imputati in varie sedi) sarebbero ispirati da una strategia politica e orchestrati da magistrati ideologicamente orientati (“di sinistra”) ha avuto, sin dai primi anni 90, un larghissimo seguito ed è stato, successivamente, variamente declinato, dando origine alle ripetute affermazioni secondo cui “i magistrati vogliono sovvertire il voto popolare” e, da ultimo, alle esternazioni sull’esistenza di una “associazione a delinquere nella magistratura”, passando per il famoso “i giudici sono dei malati psichici”. La strategia mediatica di Berlusconi sul fronte giudiziario è sempre stata estremamente accurata e consapevole e si è tradotta, in aggiunta alle accuse ai giudici ed alla rappresentazione di Berlusconi stesso come vittima, nella elaborazione e diffusione di vere e proprie storie alternative, come nel caso SME.

Come si è detto, nel corso dei lunghi anni di durata dei processi SME-Squillante e Lodo Mondadori quasi ogni udienza era scandita da una nuova iniziativa anti-processo, variamente articolata tra ricusazioni, impedimenti connessi a malattie o funzioni parlamentari, introduzione di nuove leggi, con relative code di sospensioni, impugnazioni e attese circa l’esito dell’adozione di tali strumenti rispetto alla prosecuzione o meno dei dibattimenti. Ricordo di seguito alcune delle leggi ad personam che furono approvate da un Parlamento succube al fine di consentirne l’utilizzo immediato nei processi in corso: una delle prime fu la legge sulle rogatorie, costruita per dare ingresso ad una eccezione sollevata dagli imputati, con la quale si affermava la pretesa irregolarità formale – e dunque l’inutilizzabilità – delle prove provenienti dall’estero, e in particolare dalla Svizzera, riguardanti le movimentazioni dei conti esteri degli imputati. La norma ad hoc, varata a grande velocità nell’autunno del 2001, pretese di imporre, a posteriori e con efficacia anche per i procedimenti in corso, formalità burocratiche e timbri che mai erano stati previsti dalle disposizioni internazionali e che erano anzi contrari alle convenzioni internazionali in materia: proprio questo contrasto con i principi che regolano la collaborazione giudiziaria in ambito internazionale ha poi consentito di superare l’ostacolo posto dalla nuova legge, grazie ad una decisione del Tribunale di Milano violentemente criticata dal partito di Berlusconi ma confermata poi dalla Cassazione.

Nello stesso anno 2001, il Parlamento intervenne a modificare la normativa in materia di falso in bilancio, al fine di neutralizzare plurime imputazioni di falso nei bilanci di Fininvest, tra cui alcune formulate nel processo SME-Squillante, per fatti commessi al fine di costituire fondi neri all’estero. La nuova normativa riduceva le pene e dunque accorciava il termine di prescrizione del reato, introduceva inoltre una soglia di non punibilità, in forza della quale le falsificazioni dei bilanci che riguardano meno del 5 % del risultato d’esercizio non rilevano, e subordinava, per le aziende non quotate quali Fininvest, l’azione penale alla querela di parte, cioè della stessa società i cui bilanci sono stati alterati. Ne discese puntualmente – peraltro dopo un iter tormentato, che vide il processo rinviato alla Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia europea – la morte del processo SME-Squillante per la parte relativa ai falsi in bilancio, in parte perché i fatti non erano più previsti dalla nuova legge come reati e in parte per prescrizione.
Proprio nel processo SME-Squillante, il conflitto di interessi di Berlusconi viene messo in luce in tutta la sua enormità dall’arringa finale dell’avvocato dello Stato Domenico Salvemini, il quale è costituito parte civile in nome della Presidenza del Consiglio per il danno arrecato alla stessa dalla corruzione di alcuni giudici contestata a Berlusconi. Precisa Salvemini: “Giuridicamente, io rappresento in questa causa la Presidenza del Consiglio, quindi un soggetto giuridico diverso dalla persona fisica del presidente del consiglio, il quale per contro in questo processo è qui, assistito dai suoi avvocati, in una veste che non è quella del presidente del consiglio ma è quella dell’imputato nel processo”.

Nel frattempo, un altro fronte si apre dinanzi alla Corte Costituzionale, che deve decidere in merito al conflitto di attribuzioni sollevato dal Parlamento contro l’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare nei processi IMI-SIR\SME dr.Rossato il quale, a fronte di innumerevoli presunti “legittimi impedimenti” di Previti per impegni parlamentari, aveva tenuto alcune udienze in assenza dello stesso Previti. La Corte pronuncia una decisione articolata, annullando le udienze in questione. Tuttavia, da tale nullità non discenderà la nullità degli interi processi, come sperato dalle difese: i processi dunque vanno avanti e – nella prospettiva degli imputati – richiedono nuove strategie legislative. Intanto, si sprecano le dichiarazioni roboanti degli esponenti della maggioranza contro i giudici, accusati di “voler ribaltare per via giudiziaria il verdetto politico”. Taormina chiede addirittura l’arresto in flagranza dei giudici milanesi; verrà prontamente invitato alle dimissioni dall’incarico di sottosegretario all’Interno. Ma lo scontro tra la maggioranza di governo e la magistratura è violento: la giunta dell’ANM si dimette per protesta contro una mozione approvata dal Senato il 5 dicembre 2001, nella quale si accusano i magistrati milanesi di “interferire nella vita politica del paese” e “disapplicare una sentenza della Corte Costituzionale e una legge dello Stato”.

Ma gli imputati non stanno con le mani in mano: nell’estate 2002, a supporto di un’istanza presentata nei processi milanesi, di trasferimento dei medesimi ad altra sede giudiziaria, a causa di presunti gravi motivi di ordine pubblico che inficerebbero la serenità dei processi, il Parlamento, su proposta dell’UDC Cirami, mette ai voti una norma che, modificando il tenore di quella in vigore, rende estremamente vaghi i presupposti per il trasferimento dei processi, indicando nel “legittimo sospetto” un motivo sufficiente a tale fine. La strumentalità dell’iniziativa è talmente evidente da suscitare proteste diffuse, che tuttavia non ne fermano l’iter; il parere negativo del CSM è bloccato dall’assenza dei membri laici del centro-destra, che fanno mancare il numero legale. All’inizio di novembre la legge Cirami viene definitivamente approvata: non solo le istanze di rimessione dei processi possono essere motivate con un semplice sospetto, ma possono altresì essere reiterate e ogni volta sospendono il processo cui si riferiscono. La Corte di Cassazione a sezioni unite ora deve pronunciarsi, alla luce delle nuove norme, sull’istanza di trasferimento a Brescia dei processi milanesi: lo farà il 28 gennaio 2003, con una decisione che delude fortemente le aspettative degli imputati e dei loro referenti politici, stabilendo che non vi è alcun fondamento nei “sospetti” addotti dagli istanti e che i processi restano a Milano. Il giorno dopo, Berlusconi fa trasmettere a tutte le televisioni a reti unificate una sorta di proclama, nel quale dichiara apertamente che, a suo avviso, “chi governa per volontà sovrana degli elettori è giudicato, quando è in carica. solo dai suoi pari, dagli eletti del popolo”; tale auspicata condizione apparterrebbe, secondo B, a tutte le “democrazie liberali”, tanto che sarebbe “così in tutto il mondo”; non in Italia, dove B stesso si presenta come vittima di una “incredibile persecuzione giudiziaria”. Il concetto di democrazia liberale alla Berlusconi è invero peculiare e dimentico che alla base della democrazia liberale, quella vera, c’è la soggezione del potere politico alla legge. Del resto, che in tutto il mondo il capo del governo sia sottratto al giudizio delle corti per reati comuni è un dato che esiste solo nella propaganda berlusconiana, come si vedrà negli anni successivi. Il proclama a reti unificate suscita grande impressione nel paese: è l’immagine concreta e minacciosa di un conflitto frontale, tra il capo del governo – che dispone del potere politico, economico e mediatico ­– e la fragile pretesa di chiedergli conto di illeciti commessi prima del suo mandato e che con esso non hanno alcun rapporto.

Pochi mesi dopo, il 29 aprile 2003 il Tribunale di Milano, superate tra l’altro le sette istanze di ricusazione, la legge sulle rogatorie e il tentativo di spostamento a Brescia del processo mediante la legge Cirami, giunge a sentenza e condanna Previti, Acampora, Pacifico e il giudice Metta per la corruzione in atti giudiziari posta in essere, nell’interesse di Fininvest, in occasione della controversia giudiziaria per il controllo del gruppo Mondadori. In questo processo Berlusconi non c’è più ed è interessante vedere perché. In sede di udienza preliminare, il giudice Lupo era pervenuto ad una decisione di proscioglimento degli imputati, compreso Berlusconi, in quanto a suo avviso non era verosimile che, nel corso del dibattimento, si potesse raggiungere la prova della corruzione. Contro la decisione di proscioglimento, i PM e le parti civili proposero appello e la competente sezione della Corte di appello di Milano, ribaltando la decisione Lupo, dispose il rinvio a giudizio di Previti, Acampora, Pacifico e Metta ma il proscioglimento per prescrizione di Berlusconi, con la motivazione che nel suo caso “l’intensità del dolo deve ritenersi diminuita a causa della preesistente e pericolosa corruttibilità dell’ambiente giudiziario” romano nonché in considerazione “delle attuali condizioni di vita individuale e sociale” il cui “oggettivo rilievo”, giustificava ad avviso della Corte la concessione delle attenuanti generiche e dunque la prescrizione del reato. Il proscioglimento per prescrizione, dunque non nel merito, fu confermato in Cassazione. Si potrebbe ragionevolmente obiettare che le gravi responsabilità che incombono ad un uomo di governo impongono un maggiore – e non minore – rigore nel valutare la sua condotta attinente la commissione di un reato di corruzione. E che dunque l’esito del processo penale Mondadori nei confronti di B è una dimostrazione del particolare favore – e non certo della volontà persecutoria – che i giudici gli hanno riservato.

Torniamo alla primavera del 2003 ed al nostro “catalogo” delle leggi ad personam, che si arricchisce di qui a poco di un nuovo ed eclatante esemplare: il cd.lodo Maccanico o Schifani. Siamo alla fine anche del processo SME\Squillante e si profila una condanna per corruzione, quantomeno con riguardo ai pagamenti dalla Fininvest al giudice Squillante, effettuati addirittura tramite bonifici bancari. Nel frattempo, come si ricorderà, la parte del processo relativa ai falsi in bilancio era stata stralciata, a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche alla normativa pertinente. Per evitare il giudizio anche rispetto all’imputazione di corruzione, Berlusconi dà il via al disegno di legge che prevede l’immunità per le cinque più alte cariche dello Stato: la foglia di fico è davvero risibile, poiché nessuna delle altre quattro alte cariche ha processi cui sottrarsi. Mentre è in corso l’iter di approvazione della nuova legge, Berlusconi decide di presentarsi in aula al fine di rendere dichiarazioni spontanee, facendo quindi revocare la contumacia; addurrà quindi una serie continua di “legittimi impedimenti” tali da precluderne la partecipazione alle udienze successive. Le “dichiarazioni spontanee” di Berlusconi sono una manifestazione straordinaria del suo modo di concepire la giustizia, o meglio il suo rapporto con il pubblico: Berlusconi non accetta di sottoporsi ad interrogatorio né affronta le questioni specifiche attinenti l’imputazione di corruzione, quali i passaggi di denaro tra le sue società, gli altri imputati e i giudici. Invece, in molte ore di dichiarazioni rese davanti all’attonito collegio presieduto dalla giudice Ponti, costretta ad assistere muta allo show di un imputato che non accetta di rispondere ad alcuna domanda, Berlusconi offre all’esterno una ricostruzione della vicenda SME interamente a suo uso e consumo, spiegando come – a seguito della pressante richiesta di Craxi, cui era legato da profonda amicizia – si era reso disponibile ad impedire quella che definisce la “svendita” del gruppo SME alla Buitoni, con ciò meritando, sempre a suo giudizio, una “medaglia d’oro” per aver tutelato l’interesse dello Stato. Tale fantasiosa tesi, che trova nella realtà molteplici smentite, a cominciare dal fatto che il prezzo di vendita della SME era stato stabilito da autorevoli tecnici indipendenti, verrà ripetuta incessantemente negli anni dai mezzi di informazione vicini a Berlusconi. All’estero invece il settimanale inglese The Economist pubblica un nutritissimo dossier, di molte decine di pagine, nel quale ripercorre le vicende processuali di Berlusconi, tra cui quella relativa alla SME, e ne pone in rilievo gli aspetti critici, formulando a Berlusconi una serie di domande, alle quali questi non risponderà mai, preferendo querelare il prestigioso settimanale. La strategia della moltiplicazione dei “legittimi impedimenti” porta comunque un risultato: il collegio Ponti, esasperato, stralcia la posizione di Berlusconi, che sarà giudicato in un procedimento separato, con conseguenze rilevanti.

Nel giugno 2003 il Parlamento approva definitivamente il cd. lodo Schifani; nell’ultima udienza del procedimento contro Berlusconi prima della sospensione per legge, viene sollevata dai PM e dalla parte civile eccezione di incostituzionalità e il Tribunale rimette gli atti del processo alla Consulta che, con la sentenza n.24 del 2004, dichiarerà il lodo Maccanico-Schifani contrario agli articoli 3 e 24 della Costituzione, cioè ai principi costituzionali afferenti l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e il diritto di difesa.

Intanto, il processo di primo grado SME-Squillante si conclude con la condanna degli imputati per la corruzione del giudice Squillante e con l’assoluzione per la corruzione SME. Lo stralcio che vede imputato Berlusconi viene assegnato ad altro collegio, presieduto dal giudice Castellano, noto per alcune prese di posizione pubbliche favorevoli alle leggi ad personam varate da Berlusconi stesso. Il processo si conclude nel 2004 con l’assoluzione – in parte per insufficienza di prove – per alcuni capi di imputazione e, accertata la commissione del reato, con la concessione delle attenuanti generiche per il bonifico effettuato a favore del giudice Squillante e la conseguente prescrizione. Il Tribunale motiva le attenuanti generiche con le “condizioni di vita” di Berlusconi, senza nemmeno preoccuparsi di dare sostanza a tale riferimento ma limitandosi a richiamare la precedente decisione della Cassazione, in analoghi termini, sulla vicenda Mondadori. La decisione di appello va oltre e nel 2005 assolve Berlusconi, per insufficienza di prove, per il bonifico a Squillante sulla base della seguente strabiliante argomentazione: “perché mai un imprenditore avveduto come Berlusconi, dotato di immense disponibilità finanziarie, avrebbe dovuto effettuare un pagamento corruttivo attraverso una modalità (bonifico bancario) destinata a lasciare traccia, anziché con denaro contante?” In entrambi i gradi di giudizio dunque, di fronte all’incontestabile evidenza documentale di un pagamento dal comparto estero di Fininvest a favore di un giudice (che rivestiva l’importante funzione di capo dell’ufficio gip di Roma), le corti milanesi evitano di dichiarare la responsabilità di Berlusconi, vuoi in forza delle sue “condizioni di vita” vuoi perché non poteva essere così sciocco da pagare tramite banca ciò che poteva pagare in contanti. Viene da dire: alla faccia della persecuzione giudiziaria! Ancora una volta, emerge invece una certa pavidità dei giudici nei confronti di un potente capo di governo. Ben lungi dall’essersi accaniti contro Berlusconi, si direbbe che i giudici della Repubblica lo abbiano trattato con particolare benevolenza, assolvendolo laddove i suoi mandatari sono stati condannati per gravi reati.

Nel frattempo la strategia di difesa legislativa prosegue, questa volta ad ampio raggio e con il fine di risolvere i problemi giudiziari anche di Previti e compagni, condannati in primo grado per corruzione in atti giudiziari nei processi IMI\SIR-Lodo Mondadori e SME-Squillante: nell’autunno del 2005 la legge nota come ex-Cirielli – in quanto proposta in origine dal deputato di AN Cirielli, che poi la disconosce – ottiene il risultato di dimezzare i tempi di prescrizione, escludendo però, all’esito di uno scontro politico e in forza di un emendamento dell’UDC, i reati oggetto di processi pendenti in uno stadio successivo al rinvio a giudizio. Dunque non servirà a Previti, ma a Berlusconi sì, per i processi sulla compravendita dei diritti televisivi Mediaset – dove è imputato di falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita – e sulla corruzione del testimone David Mills. Il primo processo sarà falcidiato dalle prescrizioni ed inoltre dalle conseguenze del condono fiscale tombale varato dal governo Berlusconi nel 2003. Naturalmente, la legge ex-Cirielli avrà un effetto dirompente anche su moltissimi altri processi, determinandone l’estinzione per prescrizione.

Ennesimo tentativo di stravolgere le regole della giurisdizione in vista di specifici interessi è quindi intrapreso dall’avvocato e deputato Gaetano Pecorella, il quale propone, all’inizio del 2006 l’abolizione della possibilità, per PM e parti civili, di ricorrere in appello nel caso di assoluzione o proscioglimento dell’imputato in primo grado. La legge Pecorella viene approvata e quindi, su ricorso della Corte d’appello di Palermo, dichiarata incostituzionale meno di un anno dopo, nel gennaio del 2007, per violazione del principio della parità delle parti nel processo (art.111 Cost).

È purtroppo da ricordare che – contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale – il secondo governo Prodi ha omesso di abrogare le leggi ad personam: sono rimaste in vigore sia la legge Cirami sul “legittimo sospetto”, sia la ex-Cirielli che dimezza i termini di prescrizione, sia la sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio.

Berlusconi torna al governo nell’aprile 2008: a quella data, la condanna per la corruzione nella vicenda Mondadori è stata confermata in Cassazione a carico dei corruttori Previti, Acampora e Pacifico, nell’interesse di Fininvest, e del giudice corrotto Metta. Berlusconi è imputato a Milano nei processi Mediaset e Mills mentre a Roma è indagato per le pressioni su un componente dell’Autorità Garante delle Comunicazioni (Innocenzi) e per presunta corruzione di alcuni senatori dell’Unione nella passata legislatura. Inizia allora un caotico percorso di proposte di leggi sempre più scopertamente finalizzate ad eliminare i problemi giudiziari di Berlusconi e sempre più macroscopicamente incompatibili con un sistema democratico. Appena insediato il governo, nel decreto sicurezza viene inserita – a prezzo di uno scontro istituzionale con il Presidente Napolitano – una norma (che diverrà nota come “blocca-processi”) che prevede la sospensione per un anno di tutti i processi relativi a fatti anteriori al 30 giugno 2002. In tale occasione Berlusconi scrive una lettera al presidente del Senato Schifani, rivendicando la paternità della norma ed esplicitandone l’obiettivo, che è essenzialmente quello di sottrarsi al processo Mills. Nella lettera, Berlusconi preannuncia l’intenzione di tornare al progetto dell’immunità per le alte cariche dello Stato, benché già bocciato dalla Corte Costituzionale. La sospensione obbligatoria dei processi viene denunciata dall’ANM come foriera di gravissime conseguenze per la giustizia in generale, in quanto non appare sostenuta da alcuna ragionevole esigenza ed è destinata a tradursi in un’enorme quantità di attività inutile per le cancellerie e gli uffici giudiziari. La sospensione si applica a molte categorie di gravi reati – tra i quali ad esempio rapina, estorsione, violenza sessuale, bancarotta, frode fiscale, corruzione, infortuni sul lavoro – mentre ne restano esclusi reati minori. La norma appare a molti manifestamente incostituzionale, per violazione dei principi relativi alla ragionevole durata del processo e al diritto di difesa delle vittime nonché per palese irragionevolezza, tra l’altro del termine del 30 giugno 2002, privo di qualsiasi giustificazione. Dopo l’approvazione al Senato, alla fine di giugno 2008, la “blocca-processi” viene congelata e Berlusconi si dedica, come preannunciato, all’elaborazione di una nuova versione di sottrazione alla giurisdizione per le alte cariche dello Stato, detta legge (o impropriamente “lodo”) Alfano. Dal blocco di una indeterminata quantità di processi si passa a studiare il blocco degli specifici processi di interesse del premier. Questo viene definito da alcuni, anche nell’opposizione, come “male minore”. Licenziata dal consiglio dei ministri il 27 giugno, la legge Alfano è definitivamente approvata dal Parlamento il 22 luglio e firmata da Napolitano il 23 luglio 2008, accompagnata da un insolito comunicato nel quale il Presidente della Repubblica afferma che la legge tiene conto dei rilievi formulati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.24 del 2004, che bocciò il cd.lodo Maccanico-Schifani. In realtà non risulterà essere così, poiché la Corte Costituzionale, nuovamente investita della questione relativa alla legittimità costituzionale della legge Alfano, la negherà, con sentenza del 7 ottobre 2009, proprio richiamando i principi già espressi nella pronuncia del 2004.

In ogni caso, tra il 2008 e il 2009 Berlusconi beneficia della sospensione del processo Mills e di quello Mediaset. All’inizio dell’ottobre 2009 una doppia sconfitta giudiziaria attende Berlusconi: il 3 ottobre il giudice del Tribunale di Milano Raimondo Mesiano condanna Fininvest a risarcire alla CIR della famiglia De Benedetti 750 milioni di euro quale danno causato dalla corruzione del giudice Metta nella vicenda Mondadori, ormai penalmente accertata. Come si ricorderà, Mesiano verrà violentemente attaccato, spiato ed offeso per aver osato trarre, dall’accertamento della condotta corruttiva, l’ovvia conseguenza dell’esistenza di un imponente danno da risarcire. Il 7 ottobre, come detto, la Consulta boccia anche la legge Alfano, statuendo che è illegittima la sospensione generale ed automatica dei processi alle quattro alte cariche dello Stato per ogni tipo di imputazione, in qualunque epoca commessa ed estranea alle funzioni ricoperte, per violazione del principio di uguaglianza; ulteriore profilo di illegittimità è dato dalla mancata approvazione mediante legge costituzionale. Forse una mano alla decisione sfavorevole a Berlusconi l’hanno data, in occasione della discussione dinanzi alla Corte Costituzionale, proprio i suoi difensori, producendosi nelle dichiarazioni, di involontaria comicità, secondo cui la legge sarebbe uguale per tutti, ma non così la sua applicazione, mentre Berlusconi sarebbe un “primus super pares”!

Berlusconi corre subito ai ripari, con la presentazione del disegno di legge divenuto noto alle cronache come “processo breve”. L’essenza dell’iniziativa sta nel definire una durata massima del processo penale, pari a sei anni, suddivisa in periodi di due anni per il primo grado, due per l’appello e due per la Cassazione; ad ogni scadenza, se il processo non è giunto a sentenza, si estingue cioè, semplicemente, muore. Questo regime si applicherebbe a tutti i processi per reati con pene inferiori a dieci anni (con poche eccezioni) e con imputati incensurati; per disposizione esplicita, si applica ai processi in corso, purché non ancora decisi in primo grado e si adatta, ovviamente, ai processi milanesi di Berlusconi, che ne verrebbero travolti. L’intera comunità giuridica si solleva contro questo progetto devastatore del sistema della giustizia, l’ANM dichiara che determinerebbe l’estinzione del 40-50% dei processi pendenti; è in ogni caso evidente che i processi di maggiore complessità – quali ad esempio il processo Parmalat pendente a Parma – richiedono molto tempo e non ha senso alcuno farli perire con una tagliola temporale. Tuttavia il disegno di legge è approvato dal Senato, con modifiche marginali che non ne cambiano la sostanza. Di fronte alla minaccia di una catastrofe per il sistema della giustizia, riemerge allora il cd.”male minore”: all’inizio del 2010 viene approvata una nuova legge ad personam, che stabilisce che gli “impegni di governo” costituiscono automaticamente, per il solo Presidente del Consiglio, “legittimi impedimenti” a presenziare alle udienze, e ciò per un periodo di diciotto mesi. Tale disposizione, la cui incostituzionalità è palese, serve ad impedire il procedere delle udienze nei processi in cui Berlusconi è imputato, in attesa di partorire un altro mostro giuridico, che lo difenda dai suoi processi: il tanto invocato “lodo” costituzionale – che, per definizione, non esiste. La legge sul “legittimo impedimento” automatico, che sottrae dunque al giudice la valutazione circa l’effettività dell’impedimento addotto dall’imputato per chiedere il rinvio dell’udienza, è stata anch’essa rinviata alla Corte Costituzionale e la relativa questione dovrebbe essere decisa all’udienza del prossimo 14 dicembre.
Nell’aprile del 2010, nuova richiesta di rinvio a giudizio dalla Procura di Milano per Berlusconi , imputato, nel processo cd. Mediatrade, di appropriazione indebita e frode fiscale per aver concorso a sottrarre a Mediaset, società quotata, qualche decina di milioni di euro facendole acquistare i diritti televisivi Paramount, invece che direttamente, per il tramite di società di comodo; sistema che secondo l’accusa è in essere dagli anni 80. Ancora pendenti a carico di Berlusconi sono ad oggi anche i processi Mediaset, sempre per una questione di acquisti gonfiati di diritti televisivi; e il processo per la corruzione del teste Mills: quest’ultimo, condannato sia in primo grado che in appello, viene prosciolto per prescrizione in Cassazione; la Corte conferma l’esistenza del reato commesso a fine 1999 nell’interesse di Berlusconi stesso, imputato in due processi e già in politica da 5 anni. Ma, grazie alla legge Cirielli che ha ridotto i termini di prescrizione, Mills se la cava; tuttavia la prescrizione per Berlusconi non è ancora decorsa, a causa della sospensione determinata per un anno dall’entrata in vigore della legge Alfano, e sarà compiuta nella primavera del 2011. Vale la pena di ricordare che la prescrizione ha salvato Berlusconi almeno in quattro importanti processi: per corruzione nella vicenda Mondadori; per illecito finanziamento al partito di Craxi tramite le società off-shore note come All Iberian; per svariati falsi in bilancio Fininvest; per l’acquisto del calciatore Lentini, concretante anch’esso falso in bilancio.

Nel frattempo, i mai stanchi ingegneri della legislazione berlusconiana hanno prodotto – prima dell’estate – una nuova arma. Mi pare che la parola si adatti bene al complesso delle iniziative in materia di “riforma” della giustizia dell’entourage di Berlusconi, in forza della loro evidente caratteristica di essere mirate ad eliminare, di volta in volta, qualche problema preciso che affligge Berlusconi stesso in quel momento. Nel caso specifico, la minacciosa pendenza della causa civile per il risarcimento conseguente alla corruzione nella vicenda Mondadori porta all’inserimento, nella manovra economica del governo, di una disposizione che – al dichiarato scopo di porre rimedio alle lentezze dei processi civili – impone ai medesimi una interruzione di molti mesi, disponendo (peraltro in maniera confusa) l’ingresso nel processo di un coacervo di soggetti privati che, nelle intenzioni del ministro proponente, dovrebbero portare ad una soluzione delle controversie più rapida di quella offerta dai giudici togati. La norma, è inutile dirlo, si applica ai processi pendenti, in evidente contrasto con la recentissima legge che ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione preventiva per i processi civili che saranno radicati a partire da marzo 2011. Di fronte alla sollevazione degli operatori della giustizia e di una parte della sua stessa maggioranza, Berlusconi rinuncia ad inserire il processo civile “breve” nella manovra economica, preannunciandone comunque la riproposizione sotto forma di progetto di legge.

A che punto siamo di questa frenetica rincorsa all’azzoppamento della giurisdizione? Si discute oggi di nuove versioni del “legittimo impedimento” (dando per scontata la sua prossima bocciatura da parte della Corte Costituzionale) e della legge Alfano sulla sospensione dei processi alle alte cariche dello Stato, in versione soi-disant costituzionale; sembra profilarsi l’ormai consueta minaccia di adottare provvedimenti devastanti per l’insieme del sistema della giustizia (vedi i vari “processi brevi”) per ottenere in cambio il via libera a provvedimenti ad uso singolo.

Nell’ultima fase della guerra di Berlusconi contro la giustizia, iniziata nell’aprile 2008, colpiscono due aspetti a mio avviso fondamentali: in primo luogo, il tentativo ripetuto e consapevole di usare i problemi che affliggono il sistema della giustizia in Italia per mascherare agli occhi dell’opinione pubblica che le “riforme” prospettate hanno l’unica finalità di rispondere ad obiettivi privati di Berlusconi. Significativi sono, in proposito, i due disegni di legge denominati entrambi “processo breve” e destinati, l’uno, ad estinguere i processi penali pendenti a carico di Berlusconi e, l’altro, a sabotare il processo civile che vede coinvolta Fininvest quale mandante della corruzione nella vicenda Mondadori. In secondo luogo, il fatto che – nel mondo degli operatori della giustizia così come della politica – la finalità privata degli interventi di Berlusconi in materia di giustizia è ormai cosa ovvia, definitivamente acquisita, tanto che si discute apertamente se, al fine di evitare la distruzione di centinaia di migliaia di processi “ordinari”, non sia preferibile dare a Berlusconi il suo scudo giudiziario personale. Il primo aspetto – cioè la strumentalizzazione delle carenze della giustizia per occultare la finalità privata delle nuove norme – costituisce un vero e proprio insulto ai cittadini italiani, i quali giustamente lamentano la lentezza dei processi, la farraginosità delle norme, la inadeguata preparazione degli operatori di giustizia, l’imprevedibilità delle decisioni. A questi problemi il governo e il Parlamento italiani dovrebbero attrezzarsi per dare risposta, anziché nascondere dietro etichette allettanti, quanto menzognere, il disprezzo verso le esigenze degli utenti della giustizia, con l’eccezione di uno solo. Il secondo aspetto – cioè l’essere la volontà di Berlusconi di sottrarsi ai processi che lo riguardano divenuta un dato di fatto esplicito nel dibattito politico – dimostra l’enormità del potere che lo stesso esercita, potendo disporre di un governo e di un Parlamento piegati alle sue esigenze personali e di un’opposizione che non ha saputo trovare la forza etica e culturale di contrastare la deriva autoritaria.

In questi sedici anni si è svolta in Italia una cruenta battaglia sulla giustizia ma – con la breve eccezione del ministero Flick nel primo governo Prodi – non per la giustizia. Anziché cercare di porre rimedio ai mali della giustizia italiana – inefficienza, disuguale gestione sul territorio, scarso livello qualitativo complessivo, corporativismo degli operatori, elevato livello di illegalità nella vita economica, perdita del controllo dello Stato su vaste aree del paese – si è spesa un’enorme quantità di energia, da una parte, per ostacolare il funzionamento della giustizia al fine di proteggere Berlusconi dai suoi processi e, dall’altra, per tentare di arginare e\o porre rimedio ai disastri in tal modo combinati. Un gigantesco spreco di tempo e di risorse, sia umane che economiche. Uno spreco non giustificato dalla mancanza di studi e competenze riguardo al modo in cui affrontare i problemi della giustizia: al contrario, sia da parte della magistratura che dell’avvocatura che dell’amministrazione pubblica che di osservatori indipendenti sono stati stesi programmi articolati e ragionevoli che renderebbero possibile un vero miglioramento dell’efficienza del sistema; così come esistono progetti legislativi, ad esempio in materia di corruzione, da tempo in attesa di emanazione. Ma è mancata la possibilità di tradurre questi progetti in azioni, in realizzazioni concrete, stante la esclusiva preoccupazione di Berlusconi, a dispetto del suo ruolo pubblico, per l’eliminazione dei processi che lo riguardano. Preoccupazione tuttora viva e dominante, come dimostrano i recenti sussulti relativi all’elaborazione di un nuovo scudo legislativo contro i processi penali e i progetti che mirano all’estinzione o interruzione generalizzata di tutti i processi penali e civili.

Cosa si può fare? Leggevo in questi giorni di un cittadino inorridito per la sua esperienza di parte offesa in un piccolo procedimento penale per lesioni: quattro anni senza essere arrivati ad una decisione, la prescrizione che incombe a favore del suo aggressore. In questi anni Berlusconi non solo ha introdotto nel nostro sistema normativo pessime innovazioni, per utilizzarle nei suoi processi, ma ha totalmente omesso di adottare le misure necessarie ad affrontare le reali carenze della giustizia. Queste stesse gravi carenze lo hanno aiutato a coalizzare intorno alla sua battaglia il consenso di moltissimi cittadini, che non si avvedono che la battaglia di Berlusconi è a suo esclusivo favore e che l’applicazione degli strumenti voluti da Berlusconi – la prescrizione breve, la depenalizzazione del falso in bilancio, il disegno di legge che riduce gli strumenti investigativi a disposizione degli inquirenti, i ripetuti condoni e scudi fiscali – non fa che peggiorare la qualità del servizio giustizia per la collettività e favorire la diffusione di comportamenti illegali. La difesa acritica dell’operato della magistratura rischia di fare, in questo quadro, il gioco di Berlusconi; il punto vero è spiegare che le carenze della giustizia vanno affrontate e risolte nell’interesse della collettività, non strumentalizzate nell’interesse dell’imputato Berlusconi.
E’ dunque necessario che l’opinione pubblica diventi consapevole della manipolazione operata da Berlusconi con riguardo alla giustizia e si renda conto che può e deve chiedere al governo di agire per aumentare la qualità della giustizia in Italia, anziché per sabotarla. Esiste un problema di consapevolezza anche nella classe politica, che ha ignorato e sottovalutato la gravità dei comportamenti di Berlusconi nel condurre la sua guerra contro la giustizia. Occorre che cessi la tolleranza verso le iniziative di Berlusconi volte a sottrarsi alla giustizia e che i cittadini, la classe dirigente e la classe politica si rendano conto che la guerra di Berlusconi contro la giustizia non è la loro, non è la nostra ed è anzi guerra contro il paese.

Questo testo è stato presentato il 16 ottobre, al cinema Odeon di Firenze, in occasione del Convegno Società e Stato nell’era del berlusconismo

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