La Chiesa, il mondo cattolico e il potere politico nell’era post-democristiana

16 Ott 2010

Perché la Chiesa cattolica, nella congiuntura politica che si è aperta a cavallo degli anni novanta, ha appoggiato sostanzialmente la destra di cui Berlusconi è stato il leader, contribuendo alle sue vittorie e favorendo la sua sostanziale egemonia?

1.Premesse.

Comincerò col dire che non sono affatto un esperto del tema che mi è stato chiesto di trattare.  E’ vero:  sono entrato da poco nella schiera dei berlusconologi,  in virtù di un libriccino dedicato all’era della democrazia autoritaria ma, se questo ha un merito, non è certo quello dell’approccio analitico, casomai quello della sintesi e della sistemazione narrativa a grandi linee, con intenti eminentemente didascalici.  Non ho studiato il tema con una consultazione sistematica di fonti ma ho semplicemente cercato di raccontare la nostra epoca come se essa fosse già in qualche modo conclusa, rispondendo a domande molto semplici, quelle che ogni persona di buon senso dovrebbe porsi in merito a eventi che ci hanno sconcertato, preoccupato, indignato, ma che occorre innanzitutto capire.

Tra queste semplici  domande c’è quella che riguarda i rapporti della Chiesa e del mondo cattolico nei confronti del fenomeno di cui parliamo e che conveniamo di chiamare berlusconismo. Perché la Chiesa  cattolica, nella congiuntura politica che si è aperta a cavallo degli anni novanta, ha appoggiato sostanzialmente la destra di cui Berlusconi è stato il leader, contribuendo alle sue vittorie e favorendo la sua sostanziale egemonia?

Quando parlo di Chiesa cattolica faccio riferimento principalmente alla Conferenza Episcopale Italiana, l’organismo che ha come interlocutore lo Stato e il governo. Non dimentico tuttavia, nel pormi la domanda, la complessità delle funzioni che la Chiesa incarna, che la definiscono come soggetto storico  e che sono sempre in qualche modo coinvolte nella sua azione: stato teocratico con proiezione globale, potenza finanziaria internazionale, agenzia spirituale, educativa e morale,  che ambisce a prendersi cura dell’’umanità dando risposte ai problemi fondamentali dell’esistenza come la nascita e la morte. Sono contrario a semplificazioni materialistiche secondo cui l’unica cosa che conta nella storia della chiesa sono i suoi interessi , ma naturalmente non penso che si possa spiegare il suo agire solo alla luce della dimensione simbolica. Il rapporto tra teologia e potere è una chiave da cui non si può prescindere.

Ma è vero che la Chiesa, intesa soprattutto come CEI, ha appoggiato la destra berlusconiana? Credo che non ci siano dubbi. E’ sufficiente ricordare quale logorante pressione critica essa abbia esercitato nei confronti dei governi di Prodi e al contrario quale sconfinata indulgenza abbia mostrato nei confronti di quegli aspetti del berlusconismo – i codici di valori, le forme di esercizio del potere, l’etica pubblica,  le condotte personali – che potevano e dovevano esserle  meno congeniali.

2. Prodi e Berlusconi

Semplificando al massimo, il succo della domanda potrebbe essere condensato nel quesito: perché la Chiesa ha preferito Berlusconi a Prodi?  Una domanda giustificata dalla fortissima personalizzazione che ha segnato  la vita politica di questa fase , che anzi ne é divenuta uno dei tratti distintivi: il leader non solo interpreta un’opzione ma la identifica, la sua persona ne diviene simbolo e manifesto.  Una domanda –aggiungo – assolutamente elementare e persino ingenua, ma non scontata come parrebbe, se si pensa appunto alle persone dei due leader, ai modelli e ai valori che essi hanno incarnato.

L’uno, leader autenticamente cattolico per formazione e costumi, coerente nelle pratiche di culto, dotato di uno stile riservato,  regolarmente coniugato e attento a dare un’immagine sobria della sua vita privata. In parole povere: uno che a prima vista fa venire in mente un parroco di campagna. L’altro che, a dispetto della formazione (segnata da precoci contatti con gli ambienti dell’Opus Dei) e degli ossequi formali alla religione, alla Chiesa, a quel familismo convenzionale consistente nell’offrire rituali omaggi alla mamma e alla moglie, ha esplicitamente promosso in vario modo valori come il consumismo, l’ individualismo e l’edonismo , molto in sintonia con lo spirito dei tempi e conformi all’impronta liberale del suo affacciarsi sulla scena pubblica, ma antitetici a quelli propri della morale e della visione cattolica tradizionale della vita, per la preservazione del quale in passato la Chiesa ha combattuto battaglie memorabili. Senza contare poi l’emergere sempre più marcato, sul piano delle condotte personali,  di un profilo che potremmo definire –  usando il linguaggio classico del moralismo cattolico, quello in auge negli anni della guerra fredda – peccaminoso e dissipato, che lo ha palesato non solo come divorziato, ma come marito infedele, frequentatore di prostitute,   equivoco protettore di minorenni , promotore di festicciole a sfondo sessuale. Infine – dulcis in fundo – come  raccontatore di barzellette blasfeme.  Detto in altri termini, un uomo  sorpreso più volte a dare “pubblico scandalo”.

E’ ben vero che la Chiesa ha sempre mostrato in tema di morale una notevole flessibilità, una capacità di transigenza e di adattamento praticamente illimitata, fondata  sulle sottigliezze di una casistica al limite del capzioso. Mi viene in mente , su questo punto, una storiella che ho letto non ricordo più dove (forse in un articolo di Umberto Eco), imperniata sulla domanda formulata da un religioso a un domenicano e a un gesuita: si può fumare mentre si prega? Non è lecito, risponde semplicemente il domenicano. Non è lecito fumare mentre si prega, risponde il gesuita, ma è lecito pregare mentre si fuma – aggiunge. E i gesuiti – si sa – ebbero a lungo a che fare con la formazione delle classi dirigenti nell’Europa moderna.

Di quest’ordine è probabilmente la reazione di monsignor Fisichella all’episodio recente della barzelletta contenente un’espressione  blasfema raccontata dal capo del governo, così com’è stata riportata dalla stampa: bisogna vedere il contesto. Purtroppo le reazioni indignate a questa affermazione ne hanno bloccato il chiarimento, impedendoci di capire a quale genere di contesto si riferisse il monsignore e quindi quali elementi si potessero invocare a discolpa o almeno ad attenuante del nostro personaggio.  Se fosse cioè il contesto comunicativo (un gruppo circoscritto di intimi e quindi in sostanza privato e non pubblico) o il contesto discorsivo (la barzelletta): lasciando intendere – in questo secondo caso – che l’offesa a Dio andrebbe imputata non al raccontatore ma al soggetto virtuale della scena evocata. Insomma, sottigliezze di cui personaggi come Fisichella, abituati a confrontarsi col potere, sarebbero capaci.

Ma è altrettanto vero che l’esercizio di questa flessibilità e indulgenza è sempre stato condizionato dalla possibilità di mantenere una certa riservatezza sul comportamento censurabile: e non è certo questo il caso in questione, dove tutto invece avviene, per una precisa scelta del potere, su un palcoscenico in cui la vita privata viene esibita e eretta a simbolo e fatta strumento di carisma, e dove proprio questa retorica del togliere il velo dell’ipocrisia ai comportamenti politici costituisce un cavallo di battaglia dell’antipolitica del leader.

3. Chiesa e politica nell’era post-democristiana

Quale dunque la ragione di una scelta tanto netta e persistente a favore di un personaggio simile, per  certi versi così imbarazzante? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro e riferirci alla svolta degli anni novanta che costituisce il fattore periodizzante principale per l’epoca che stiamo esaminando. Il crollo del sistema dei partiti modificò allora lo schema classico dei rapporti tra la Chiesa e la realtà politica italiana affermatosi nel secondo dopoguerra. Dopo la nascita dell’Italia repubblicana la Chiesa, timorosa della crescente influenza comunista sulle masse e dei processi in corso di laicizzazione della vita, si era affidata alla Democrazia Cristiana perché fungesse da baluardo dei valori cattolici nella vita politica e sociale così com’era baluardo del sistema occidentale. La DC assolse naturalmente il suo mandato, cercando di bloccare l’avanzata del comunismo e di rallentare i processi di modernizzazione del costume che minavano il controllo della Chiesa sui comportamenti dei fedeli. Memorabili furono in questo senso le battaglie ingaggiate per  impedire la legalizzazione del divorzio e dell’aborto. Nondimeno agì sempre a pieno titolo come forza politica autonoma, ispirata dal magistero della Chiesa ma non passiva esecutrice delle sue direttive, il che avrebbe dato allo stato italiano un’esplicita impronta confessionale incompatibile con la Costituzione e con gli equilibri politici sostanziali  del Paese.

Recenti studi su figure eminenti della gerarchia, come Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova e a lungo presidente della CEI, hanno portato nuova luce documentaria su dettagli assai significativi al riguardo. Siri usava convocare in maniera riservata i dirigenti democristiani, compresi quelli investiti dai massimi ruoli istituzionali,  per chiedere loro, diciamo pure per intimare,  di prendere le decisioni politiche che egli riteneva giuste negli interessi della Chiesa e della società cristiana. In più di un caso essi reagirono con profferte di ossequio e di obbedienza, comportandosi poi, nei fatti, come suggeriva loro la consapevolezza delle proprie responsabilità di partito di governo in un panorama complesso e delicato com’era quello dell’Italia di quegli anni. A sua volta la Chiesa, accontentandosi di questa influenza indiretta,  aveva per lo più evitato di interloquire in maniera diretta e palese coi governi e con le forze politiche al fine di imporre la propria volontà.  In sostanza, secondo un’opinione oggi abbastanza  accreditata la Democrazia cristiana, scudo del cattolicesimo in politica nell’età della Guerra fredda, fu anche in certa misura intercapedine tra la Chiesa e lo Stato. A garantire il funzionamento di questo schema c’era il fatto indubitabile che grandissima parte dell’elettorato di ispirazione cattolica era compattamente schierato col partito democristiano.

Scomparsa  la Democrazia Cristiana e venuta meno l’unità politica dei cattolici, ormai sparpagliati in numerosissime formazioni, la Chiesa – e più precisamente la Conferenza Episcopale Italiana – ha cominciato  a  intervenire direttamente come un gruppo di pressione molto influente – in quanto capace di orientare una quota ancora abbastanza consistente benché non maggioritaria dell’elettorato –  per difendere in campo politico i suoi interessi e i suoi valori.  Lo dimostrano episodi come quello del referendum sulla legge 40, quando la CEI non si è limitata – come naturale – a manifestare e difendere la propria opzione etica, ma è intervenuta nel merito delle tecniche elettorali, pronunciandosi per l’astensione e quindi agendo come un gruppo politico tra gli altri. Più in generale, nel contesto di un sistema che assumeva una forte anche se incompiuta connotazione bipolare, ha fatto la sua scelta di campo, accordando la sua preferenza allo schieramento che dava più sicure garanzie sui punti che più le stavano a cuore.

4. Interessi e valori

Interessi e valori: è in questo binomio che si condensano da sempre le preoccupazioni fondamentali della Chiesa nei suoi rapporti con lo Stato e con la politica. Innanzitutto gli Interessi materiali in senso stretto (le finanze, il regime fiscale, l’esercizio di attività commerciali nel settore dei servizi sociali e dell’assistenza), sulla cui ramificazione e vastità non mi soffermo in quanto sono oggetto di una letteratura anche recente piuttosto aggiornata ed esauriente.  Basterebbe pensare al settore della sanità, dove la chiesa vanta una presenza di eccezionale rilievo – diretta o mediata da organizzazioni come Comunione e Liberazione, notoriamente fondamentale nella mappa del potere lombardo – la cui rilevanza ha contribuito a dare speciale drammaticità a competizioni elettorali come quella recente per la regione Lazio. O a quello dell’educazione, dove vanta una tradizione altrettanto significativa Su questi punti i segnali di affidabilità dati da Berlusconi sono stati sempre chiari: dall’esenzione ICI per gli edifici ecclesiastici (sulla quale l’Unione Europea ha annunciato recentemente l’apertura di una procedura di infrazione), introdotta con una legge del 2005 che Prodi avrebbe ritoccato senza modificarne la sostanza, ai finanziamenti alle scuole private, all’immissione in ruolo preferenziale e ai trattamenti di favore per gli insegnanti di religione.

Non meno importanti sono gli aspetti etici e simbolici della cosiddetta bioetica. Come molte se non tutte le grandi agenzie religiose, la Chiesa ha fondato storicamente la sua potenza istituzionale sul fatto di porsi come fattore di mediazione tra la vita terrena e la trascendenza, tra  l’esistenza e ciò che sta al di qua e là di essa: di qui l’attenzione  agli eventi chiave del nascere e del morire e alla sfera della sessualità che ha a che fare con la ricreazione della vita e attinge alle pulsioni più profonde del comportamento. Nel linguaggio religioso, entrambi questi eventi non appartengono all’uomo, ma a Dio. In particolare, la Chiesa si fa garante e dispensatrice del fatto che la morte non sia perdizione, ma preludio alla salvezza.

L’idea che la nascita e la morte possano essere in qualche modo  affidate a una discrezionalità individuale colpisce al cuore il ruolo della Chiesa come istituzione che regola i rapporti col sacro. La possibilità che la famiglia assuma configurazioni diverse da quelle che la Chiesa ammette, disancorandosi dalla pura finalità procreativa, come nel caso delle coppie omosessuali, intacca questo ruolo. E così la possibilità che una coppia, con l’aiuto della scienza, possa scegliere di procreare superando i limiti posti dalla cosiddetta “natura”, ossia l’infertilità: è la questione della procreazione assistita, oggetto della legge 40 del 2004 e dei referendum del 2005. Lo stesso vale per la possibilità che, direttamente o per interposta persona, si possa scegliere di terminare la propria vita quando essa assume certe caratteristiche: è il tema della legge sul testamento biologico tutt’ora in discussione. Ma soprattutto è stata la questione coinvolta, con un’intensa drammatizzazione, nel cosiddetto caso Englaro nel quale il governo, per compiacere la Chiesa cattolica, si è spinto con estremo cinismo a un devastante braccio di ferro con una sentenza della magistratura, braccio di ferro che ha avuto esiti grotteschi, dando luogo a una sorta di danza macabra mediatica volta a colpire l’immaginario sulla base di incubi ancestrali basati sull’identificazione con la vittima, sull’incubo del seppellimento da vivi e della morte tra atroci tormenti per fame e per sete: uno spettacolo osceno della crudeltà che solo la dignità, la fermezza e la lucidità di un padre sono riuscite a arginare. Su questo punto la retorica manichea di Berlusconi,  incline alla rappresentazione estrema dell’avversario come male, e in questo caso esplicitamente come “partito della morte”, si è sposata con il riemergere di un’abitudine antica della Chiesa a evocare, a sostegno della sua visione etica,  immagini terrificanti del maligno.

Il  centrodestra si è insomma fatto baluardo del cattolicesimo nella sua versione più chiusa e reazionaria, quella che si è in realtà affermata con sempre maggiore forza nel periodo post-conciliare, tendente a imporre per legge un marchio cattolico ai momenti fondamentali della vita umana, in una società che al contrario sembra alla ricerca di nuovi valori e nuovi modelli e si è comunque abbondantemente distaccata  da quelli rigidamente tradizionali. Gli esponenti dello schieramento berlusconiano hanno usato questo potere di garanzia in maniera totalmente spregiudicata, improvvisandosi cultori di valori del tutto antitetici rispetto a quelli eminentemente edonistici, immanentistici, addirittura paganeggianti promossi  nel costume grazie anche alle televisioni, e coessenziali al messaggio politico che li ha portati al potere. In questo campo hanno inoltre cercato di giocare – come si è visto appunto nel caso Englaro – sugli umori contraddittori di un immaginario collettivo da un lato portato a sacralizzare il benessere e il consumo, dall’altro spaventato dalle illimitate potenzialità raggiunte dalla scienza in campo genetico, e  carico di paure irrazionali e di angosce profonde sui temi rimossi della sofferenza e della morte.

Simili prove di incondizionato appoggio sui punti chiave della sua strategia sono stati agli occhi della Chiesa l’elemento dirimente  nella scelta di campo. Le blande aperture del governo Prodi nei confronti dei diritti delle coppie di fatto, la presenza all’interno del centro sinistra di atteggiamenti – in verità non sempre coerenti e  tutt’altro che  unanimi – di  difesa della laicità sono bastate a orientare le preferenze delle gerarchie nell’altra direzione. L’unico autentico motivo di aperta opposizione della Chiesa nei confronti delle politiche del centro-destra ha riguardato le politiche sull’immigrazione largamente ispirate agli orientamenti leghisti.

I rapporti della Chiesa con la Lega Nord e il movimento padano meriterebbero in realtà una trattazione a parte, per la quale non c’è qui tempo sufficiente, anche perché occorrerebbe tener conto del complesso rapporto tra orientamenti generali e Chiesa locale, presente sul territorio, e della diversità degli umori che la percorrono, il che richiederebbe una ricerca sul campo che non ho fatto e che credo non  abbia fatto nessuno, capace di considerare motivi ideali e conflitti di potere nel loro complesso intreccio. Qualche indizio si può ricavare da singoli episodi, come quelli più clamorosi concernenti ad esempio la scuola di Adro, dove abbiamo visto esponenti del clero regolare e secolare schierati su campi opposti. Niente vieta di pensare che le radici localistiche e popolari inclinino una parte del clero a simpatie per gli umori sanguigni del padanismo, anche quando esso si coniuga con le manifestazioni di una rozza religiosità territoriale a carattere etnocentrico, tutta tesa a segnare confini e steccati, inchiodando il crocefisso (come si è fatto letteralmente nella scuola di Adro), alla stregua di un cartello stradale inneggiante ai popoli, ai dialetti e ai costumi padani.  Ma possiamo benissimo immaginare l’opposto, ossia quanto questa rozzezza antinomica, difensiva e improntata all’ossessione identitaria anziché all’ecumenismo, talora coniugata a improvvisate ritualità pagane non prive di spunti carnevaleschi, possa imbarazzare e dispiacere alla parte più sensibile del clero e dell’episcopato, come del resto molte reazioni ufficiali hanno detto con chiarezza.

Resta il fatto che in questo campo del rispetto dell’immigrato, del povero e del diseredato in quanto persona non c’è stata alcuna deroga della Chiesa ai pilastri della propria tradizione, si sono anzi aperti contenziosi molto duri coi rappresentanti del potere centrale e locale: valga per tutti il caso recentissimo degli sgomberi dei Rom a Milano, sul quale è intervenuto lo stesso cardinale Tettamanzi. Le parole di condanna della Chiesa  per gli atteggiamenti xenofobi, per il trattamento disumano riservato agli stranieri costretti a sostare per mesi e talvolta per anni nei Centri di identificazione e di espulsione, per il respingimento indiscriminato dei disperati sopraggiungenti sulle imbarcazioni di fortuna, sono state sempre forti e nette. In argomento le gerarchie sono state coerenti con l’ispirazione umanitaria del cattolicesimo, hanno interpretato con convinzione i sentimenti del vasto mondo del volontariato impegnato nell’accoglienza, nell’assistenza e nelle pratiche di integrazione degli immigrati e hanno contribuito perciò a porre un argine ai processi di imbarbarimento in atto. Anche in questo campo, evidentemente, la Chiesa difende non solo principi, ma anche prerogative e interessi nell’ambito dell’assistenza sociale. Ciò non toglie che, dal punto di vista ideale, delle culture e delle mentalità collettive l’argine cattolico, in un’epoca percorsa da intensi fenomeni di xenofobia che hanno preso consistenza a livello europeo, abbia avuto un’importanza decisiva, specialmente di fronte alle incertezze e ai balbettamenti del centrosinistra, incapace di sottrarsi all’egemonia e al ricatto delle tematiche securitarie agitate dalla destra.

5. Verso il distacco?

Da un anno a questa parte molti indizi fanno pensare che si sia aperta la fase finale del ciclo berlusconiano. Soprattutto gli avvenimenti recenti sembrano preludere a un’accelerazione che produce convulsioni, marasma e caos, per usare gli aggettivi di un commentatore che pure ha dato sempre l’impressione di non vedere nel berlusconismo motivi di autentico allarme, come Galli della Loggia. Nel momento culminante della rottura con Fini, quando il sistema di potere di Berlusconi sembra scricchiolare e il clima politico si è vistosamente intorbidato, anche la Chiesa e in particolare la Conferenza episcopale  hanno cominciato a dare segni di distacco e di insofferenza ampie e insistenti come non mai. Come tutti ricordano, alla fine del mese scorso Angelo Bagnasco ha rivolto un monito denunciando l’inarrestabile degradazione della vita pubblica italiana, il suo distacco dal paese e dai suoi problemi reali, l’incapacità di perseguire il bene comune. Non si è trattato di un esplicito ritiro della legittimazione morale nei confronti del premier al tramonto, ma piuttosto di una generica presa di distanza dal corso politico attuale, attraversata da un rimpianto per la classe dirigente sobria e fedele che si era incarnata, molto tempo addietro, nella Democrazia cristiana e dall’esortazione a tornare a quel modello. Ancor più recentemente, dopo la pubblicazione dei video contenenti l’oscena esibizione del premier nell’atto di raccontare le barzellette offensive per i credenti e per gli ebrei, le reazioni della Chiesa sono state – a parte i distinguo prima accennati – veementi. Tutto ciò configura un distacco ormai completo dal sistema di potere incardinato sulla figura del leader lombardo e la ricerca di alternative adeguate? E’ probabile che sia così.

Come è accaduto altre volte nella storia d’Italia, l’abbandono da parte della Chiesa dell’appoggio a un regime politico è in maggior misura un sintomo che una causa del suo indebolimento, un preannuncio più che un fattore del suo crollo. In sostanza, finché il berlusconismo è sembrato  reggere incontrastato malgrado difficoltà, polemiche e segni di corruzione, la Chiesa non ha certo tratto motivo da qualche dissenso parziale o da qualche riserva morale per un ritiro della fiducia. Ha guardato con molta cautela, senza mai avallarle, alle critiche più dirette formulate da settimanali battaglieri come “Famiglia Cristiana”. Quando anzi ha provato a interpretare, sia pure cautamente, lo sconcerto del mondo cattolico per i comportamenti sconvenienti del premier, lasciandolo affiorare sul quotidiano “Avvenire”, ha sperimentato quanto violente e spregiudicate potessero essere le sue ritorsioni contro eventuali critiche in grado di erodere il consenso del mondo cattolico nei suoi confronti. Ma dopo che la frattura esplosa all’intero del partito di maggioranza è risultata così grave da preludere a una fine del predominio berlusconiano e a un cambiamento radicale, anche se per ora imprevedibile, degli equilibri politici,  i segnali dello sganciamento si sono fatti più espliciti, coagulandosi per la prima volta in una critica di carattere generale. E’ assai probabile che anche questa volta il distacco della Chiesa, come la polemica della Confindustria, sia il segno che un’era sta per finire. Anche se tutto rimane incerto riguardo al quando e al come.

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