Anatomia dell’Italia di Berlusconi

16 Ott 2010

COME siamo arrivati a questo punto? Come è stato possibile che per sedici anni Berlusconi abbia dominato il panorama politico e mediatico italiano e che ancora il suo “impero” non sia tramontato? Sono domande a cui, per la prima volta, intellettuali, storici, sociologi e giornalisti ricollegabili all´area di centrosinistra tentano di dare una risposta in termini scientifici, osservando “da fuori” il fenomeno che tuttora stiamo vivendo, guardandosi allo specchio senza indulgenza. Quasi una sorta di autoanalisi collettiva, spiega la presidente di Libertà e Giustizia Sandra Bonsanti, che ieri mattina ha aperto il convegno “Società e Stato nell´era del ‘berlusconismo´” promosso dalla sua associazione e dalla rivista Passato e Presente diretta da Gabriele Turi insieme allo storico inglese Paul Ginsborg, da poco divenuto a tutti gli effetti cittadino italiano, che ha studiato i cambiamenti dei ceti medi. Tre giorni di dibattiti e interventi realizzati grazie all´impegno gratuito dei partecipanti e alle offerte spontanee di organizzatori e pubblico. «Vorrei ringraziare in particolare il presidente della Regione Enrico Rossi e gli assessori della sua giunta che hanno deciso di autotassarsi, a titolo personale per aiutarci a fare questo convegno». Che è dedicato «a tutti gli studenti che in questi giorni stanno occupando le loro scuole e appendono striscioni bellissimi come quello che ho visto al liceo Machiavelli “cogito ergo occupo”, una frase che spiega questo periodo meglio di tante parole». L´impegno civile dell´iniziativa, però, non «sconfinerà mai nella propaganda» assicura Turi, che oggi all´Odeon rifletterà sulle culture della destra (del suo intervento pubblichiamo qui una sintesi).
Il fenomeno Berlusconi non può essere analizzato come qualcosa di isolato, secondo Gianpasquale Santomassimo, docente dell´università di Siena, che individua negli anni Ottanta le radici del successo del premier. «Quegli anni stanno alle origini dell´Italia di oggi», sostiene Santomassimo. «Perché è stato allora che si è affermata la cultura dell´individualismo, la visione del privato che prevale su quella della collettività, la ipervalutazione del lavoro autonomo, il desiderio di scalare le classi sociali, di conquistare insieme al benessere potere e fascino. Le pubblicità dominanti dell´epoca sono “arrogance” ed “egoiste” ed è proprio allora che decolla il successo delle tv del cavaliere, parodiate quasi in tempo reale da Fellini nel suo “Ginger e Fred”. Sono i primi germi dell´antipolitica, del mito della società “civile”, del revisionismo costituzionale». Ed è lì che inizia anche il declino della sinistra «sempre meno capace di parlare di difesa del lavoro e egualitarismo». Cambia, travolto dall´edonismo pubblicitario-televisivo, anche il concetto che la donna ha di se stessa, come spiega nella sua spietata analisi Amalia Signorelli, antropologa dell´università di Napoli. «Negli anni Settanta il movimento femminista italiano era uno dei più avanzati in Europa, oggi siamo diventati un paese profondamente maschilista. E il fatto che il premier offenda Rosy Bindi o consigli a una giovane precaria di sfruttare la sua bellezza per «sposare il figlio di un miliardario” anziché suscitare indignazione fa soltanto sorridere. Non a caso», aggiunge, «Berlusconi assegna il ministero delle Pari opportunità a una ragazza che ha solo il merito di aver posato per un calendario».
Oggi i lavori del convegno si trasferiscono al cinema Odeon, dove dalle 9,30 fino alle sei di pomeriggio si avvicenderanno al microfono Turi, Giovanni Gozzini, Norma Rangeri, Laura Balbo, Guido Melis, Elisabetta Rubini Tarizzo, Gustavo Zagrebelsky e Marco Travaglio. Domattina, sempre all´Odeon, interverranno Marco Revelli, Steve Scherer e il direttore di Repubblica Ezio Mauro (il programma del convegno sul sito www.firenze.repubblica.it).

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