La rappresaglia dei boiardi

Sproporzionata e sconcertante. Non si possono trovare due aggettivi più appropriati di quelli usati, rispettivamente, dal presidente della Rai Garimberti e dal segretario del Pd Bersani, per definire la rappresaglia di viale Mazzini contro Santoro e Annozero. E aggiungiamo pure, che la decisione è anche autolesionistica perché in questo modo l´azienda penalizza e danneggia se stessa: sul piano dell´immagine, ancor prima che sul piano degli ascolti.
Diciamo rappresaglia, e non sanzione, per il fatto che dieci giorni di sospensione e di mancata retribuzione non sono certamente proporzionati al danno, cioè all´insubordinazione pubblica consumata in diretta da Santoro con quel “vaffan´bicchiere” all´indirizzo del direttore generale. In primo luogo, perché lo sfogo del teleconduttore – per quanto inusuale e inurbano – era una reazione a un diktat assurdo e inaccettabile di Mauro Masi, contro la libertà e l´autonomia delle trasmissioni di approfondimento, giustamente sbeffeggiato perfino in alcune trasmissioni satiriche della radio pubblica. In secondo luogo, per la ragione che – al di là del linguaggio scurrile o triviale – aveva comunque il tono ironico di uno sberleffo più che quello di un insulto o peggio di un´offesa.
Appena un paio di settimane fa, su questo giornale, avevamo criticato la scelta di indire un referendum interno, contro il direttore generale, da parte del sindacato dei giornalisti. Proprio in quell´occasione, osservammo che spesso i “divi” dei talk-show sembrano prigionieri di un protagonismo che degenera nel narcisismo o nel populismo mediatico, con il rischio magari di passare dalla ragione al torto. Da qui, la conclusione: «Mandare a quel paese il direttore generale in diretta può anche servire ad alimentare l´audience o forse l´autocompiacimento. Ma c´è francamente da dubitare che possa contribuire alla difesa del servizio pubblico, della sua immagine e della sua autonomia».
Ora, però, la reazione sproporzionata e sconcertante del vertice di viale Mazzini va incontro a un rischio uguale e contrario: quello di confondere le ragioni e i torti, nella logica perversa della rappresaglia o della ritorsione. Quello della proporzione tra offesa e difesa, come tra violazione e sanzione, è un principio giuridico fondamentale che non può non valere anche a viale Mazzini. Ecco, allora, lo sconcerto di cui parla Bersani: uno sconcerto dei cittadini, telespettatori e abbonati, di fronte a un servizio pubblico che ormai rinnega sistematicamente il proprio ruolo, la propria funzione e la propria responsabilità.
La verità è che il “vaffa” in diretta di Santoro è diventato un pretesto per boicottare e oscurare una trasmissione scomoda, a cui va riconosciuto invece il merito di fare ascolti e opinione, bilanciando almeno in parte la partigianeria e cortigianeria di tante altre trasmissioni e ancor più dei telegiornali della Rai. Non è questo, evidentemente, un modello ideale di servizio pubblico: il pluralismo non può essere una somma di faziosità contrapposte. Ma al momento è così e comunque bisogna difendere gli spazi di libertà e autonomia, anche quando l´una o l´altra travalica.

1 commento

  • L’ITALIA ORBATA DI SANTORO
    L’Italia televisiva è in gramaglie, afflitta, disperata, lacrimante, orbata di due trasmissioni di “Annozero” condotte da Santoro. L’ira funesta del dg Rai, Mauro Masi, ha colpito Michele Santoro sotto il portafogli e i lamenti dell’anchorman ululano dalle Alpi al Lilibeo.
    Perché aggiungere sventura a sventura? Non c’è pietà fra questi dirigenti RAI che privano l’Italia di una voce libera e democratica: speriamo che ci sia presto un giudice a Berlino, che almeno faccia recuperare al povero Santoro Michele il peculio perduto per la caparbietà del Masi Mauro, pro tempore dg della Rai, in attesa di quiescenza.
    Menomale che due giganti democratici come Nichi Vendola e Bocchino Italo si ergono a baluardo della libertà di parola del Santoro Michele: ne vedremo delle belle… sicuramente delle belle.
    Sì, è vero, Michele ha mandato con un “vaffà” … il dg Masi Mauro a quel paese, ma è un modo di dire amicale, senza malizia; anche D’Alema usa lo stesso linguaggio per liberarsi dell’importuno Sallusti che proprio in Tv lo assillava con petulanza.
    Lo stesso Prodi se ne servì per un altro rompiscatole, a Montecitorio (la Tv gli carpì il movimento delle labbra), non senza contare gli epiteti che volano in Parlamento fra nemici di partiti che si scoprono a vicenda pezzi di questo o di quell’escremento posato di fresco dall’interlocutore. Ne sa qualcosa l’austero Bersani che si diletta alle intemperanze di Tonino.
    Diciamo che i tempi s’involvono e con essi il linguaggio. Non c’è più quella severità classica di esprimersi con parole confacenti all’ambiente e alla persona cui è diretto l’epiteto, si esprimono i propri malumori liberi dai freni inibitori e, la cultura, non interferisce più là dove le parole son dure come pietre.
    Per il momento Santoro Michele resterà dieci giorni lontano da noi (popolo sovrano) e l’Italia democratica e antifascista mette nello zaino delle proprie sofferenze l’ennesima privazione (Annozero) che avrebbero potuto risparmiarle.
    Celestino Ferraro

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