Così colpisce la fabbrica dei dossier al servizio del Cavaliere

Ci si può anche svagare e chiamare il direttore del giornale di Silvio Berlusconi Brighella. Brighella, come la maschera della commedia dell´arte che nasce nella Bergamo alta: un attaccabrighe, un briccone sempre disponibile «a dirigere gli imbrogli compiuti in scena, se il padrone lo ricompensa bene». Un bugiardo che di se stesso può scrivere senza arrossire: «Sono insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico. Mi manca la stoffa del cortigiano». La canzonatura finirebbe per nascondere un meccanismo, un paradigma che trova nell´uomo che dirige il giornale del Capo soltanto un protagonista di secondo ordine e nel lavoro sporco, che accetta di fare, solo uno dei segmenti di un dispositivo di potere. Tuttavia. Da qui è necessario muovere. Dal mestiere del direttore del giornale di Berlusconi in quanto la barbarie italiana, che trasforma in politica la compravendita del voto e quindi la corruzione di deputati e senatori, definisce informazione – e non violenza o abuso di potere – la torsione della volontà, la sopraffazione morale di chi dissente dal Capo attraverso un´aggressione spietata, distruttiva, brutale che macina come verità fattoidi, mezzi fatti, fatti storti, dicerie poliziesche, irrilevanti circostanze, falsi indiscutibili. Un´atrocità che pretende di restare impunita o quanto meno tollerata perché, appunto, giornalismo. Ma, quella roba lì, la si può dire informazione? È un giornalista, il direttore del giornale di Silvio Berlusconi? Il suo mestiere è il giornalismo?

Vediamolo al lavoro nel “caso Boffo”, quindi nel momento inaugurale in cui egli mette a punto quel che, con prepotente mafiosità, gli uomini vicini al capo del governo definiscono ora “il metodo Boffo”.
Sappiamo come sono andate le cose. Dino Boffo critica, con molta prudenza, lo stile di vita di Berlusconi e si ritrova nella lista dei cattivi. Dirige un giornale cattolico e non può permettersi di censurare il capo del governo. Deve avere una lezione che dovrà distruggerlo senza torcergli un capello. Il colpo di pistola che liquida il direttore dell´Avvenire è la prima pagina del giornale di Berlusconi. Sarà presentato così: “Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi e impegnato nell´accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell´uomo con il quale aveva una relazione”. Le prove dell´omosessualità di Boffo? Non ci sono. L´unico riscontro proposto – un foglietto presentato come “la nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore” – è uno strepitoso falso. In un Paese non barbarico il giornalista autore di quello “sconclusionato e sgrammaticato distillato di falsità e puro veleno costruito a tavolino per diffamare”, come scrive Boffo, avrebbe avuto qualche rogna. Forse avrebbe visto irrimediabilmente distrutta la sua reputazione perché, caduto l´Impero sovietico, la calunnia consapevole non può essere definita giornalismo. Non accade nulla. Anche i petulanti “liberali” – intimoriti o complici – tacciono, ieri come oggi. Si rifiutano di prendere atto che in quel momento – agosto 2009 – si inaugura la metamorfosi di un minaccioso dispositivo politico che già si era esercitato – con un altro circuito, con altri uomini – tra il 2001 e il 2006.
Nella XIV legislatura, durante il II e il III governo Berlusconi s´era già visto all´opera un network di potere occulto e trasversale concentrato nel lavoro di disinformazione e specializzato in operazioni di discredito. Un “apparato” legale/clandestino scandaloso, ma del tutto “visibile”. Era il frutto della connessione abusiva dello spionaggio militare (il Sismi di Nicolò Pollari) con diverse branche dell´investigazione, soprattutto l´intelligence business della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove è esistita una “control room” e una “struttura S2OC” «capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: poteva entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato». Ricordiamo quel che accadde (ormai agli atti e documentato). Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, questa piattaforma spionistica pianifica operazioni – «anche cruente» – contro i presunti “nemici” del neopresidente del Consiglio. Ne viene stilato un elenco. Si raccolgono dossier. Quando è necessario si distribuiscono nelle redazioni amiche, controllate o influenzate dal potere del Capo e trasformate in officine dei veleni. Per dire, il giudice Mario Vaudano è un “nemico”. Pochi lo conoscono, ma ha avuto un ruolo fondamentale nell´inchiesta Mani Pulite. Era in quegli anni al ministero di Giustizia e si occupava delle rogatorie estere richieste dal pool di Milano. Se ne occupava con grandi capacità e la sua efficienza lo trasforma in una “bestia nera” da annientare. Tanto più che il giudice – incauto – vince un concorso per l´Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF: protegge gli interessi finanziari dell´Unione europea, contrastando la frode, la corruzione, ogni altra forma di attività illegale). La nomina di Mauro Vaudano «viene bloccata personalmente da Berlusconi» (Corriere della sera, 11 aprile 2002) mentre si mette in moto il dispositivo. Un ufficio riservato del Sismi spia il bersaglio (anche la moglie francese del giudice, Anne Crenier, giudice anche lei, scoprirà e denuncerà di essere stata spiata dal Sismi con intrusioni nella sua posta elettronica). Il fango raccolto sarà depositato nella redazione del giornale di Berlusconi. Campagna stampa. Intervento del ministro di giustizia che alla fine avvierà contro il povero giudice un´inchiesta disciplinare. Qui non importa capire se queste mosse sono configurabili come reato. È necessario comprenderne il movimento, isolare i protagonisti, afferrare i modi e l´azione di un potere micidiale – politico, economico, mediatico – capace di stritolare chiunque. È un potere che si dispiega in quegli anni, come oggi, contro l´opposizione politica, contro uomini e istituzioni dello Stato rispettose del proprio ufficio pubblico e non piegate al comando politico, contro il giornalismo non conforme. Una commissione d´inchiesta parlamentare – Telekom Serbia – diventa fabbrica di miasmi. Con lo stesso canone. Si scova un figuro disposto a non andare troppo per il sottile. Si chiama Igor Marini. Lo presentano come consulenze finanziario, come conte, è un facchino dell´ortomercato di Brescia. Lo si consegna ai commissari e quindi alla stampa amica. Quello diventa un fiume in piena. Rivelazioni clamorose accusano l´intero vertice dell´opposizione (Prodi, Fassino, Dini, Veltroni, Rutelli, Mastella). Il giornale del Capo dedicherà trentadue (32) prime pagine alle frottole di quel tipo oggi in galera per calunnia. Alla vigilia delle elezioni 2006 la consueta macchina denigratoria si muove ancora contro Romano Prodi, leader dell´opposizione. L´ufficio riservato del Sismi prepara un falso documento. Lo si accusa di aver sottoscritto accordi tra Unione europea e Stati Uniti che legittimano i sequestri illegali della Cia come il rapimento in Italia di Abu Omar. Il dossier farlocco sarà pubblicato su Libero, direttore Vittorio Feltri, dal suo vice Renato Farina, ingaggiato e pagato dal Sismi, reo confesso («… ammetto i rapporti intrattenuti con uomini del Sismi in qualità di informatore, ammetto di avere accettato rimborsi dal Sismi, ammetto di aver intervistato i Pm Spataro e Pomarici per carpire informazioni da trasmettere al Sismi…»), condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento, radiato dall´Ordine dei giornalisti, oggi parlamentare del Popolo della libertà.
In questi casi scorgiamo un antagonista che irrita o inquieta il Capo, l´attività storta di un istituzione, il ruolo decisivo dell´informazione controllata dal Capo. Quel che accade a Vaudano e Prodi sono soltanto due campioni di un catalogo che, nella XV legislatura – questa – ha trovato altri protagonisti e un nuovo schema di lavoro a partire da una solida convinzione: la politica è del tutto mediatizzata, ogni azione politica si svolge all´interno dello spazio mediale e dipende in larga misura dalla voce dei media. È sufficiente allora fabbricare e diffondere messaggi che distorcono i fatti e inducono alla disinformazione, fare dello scandalo la più autentica lotta per il potere simbolico, giocare in quel perimetro la reputazione dei competitori, degli antagonisti, dei critici, soffocare la fiducia che riscuotono, e il gioco è fatto. Rien ne va plus. È un congegno che impone al giornalismo di essere più rigoroso, più lucido, più consapevole.
Altra storia se si parla del Brighella che dirige il giornale del capo del governo. Bisogna coglierne il ruolo, nel congegno, e definirne il lavoro. Vediamo il suo modus operandi. Individua il nemico del Capo da colpire, magari se lo lascia suggerire anche se non gli “manca la stoffa del cortigiano”. Raccoglie tutte le informazioni lesive che si possono reperire, fabbricare e distorcere intorno a un fatto isolato dal suo contesto. È una pratica che ha un nome. Non è una pratica giornalistica. È, negli Stati Uniti, la componente chiave di ogni campagna politica. Si chiama opposition research. Per farla bisogna “scavare nel fango”, come racconta uno dei maestri di questo triste mestiere, Stephen Marks. Colpito da una certa stanchezza morale e personale, Marks ha rivelato le sue tattiche e quelle della sua professione in un libro intitolato “Confessioni di un Killer Politico”, Confessions of Political Hitman. È abbastanza semplice il lavoro, in fondo. I consulenti politici del Candidato indicano chi sono gli uomini più pericolosi per il suo successo. I sondaggisti individuano quali sono le notizie che possono maggiormente danneggiare il politico diventato target. Ha inizio la ricerca. Documenti d´archivio, dichiarazioni alla stampa, episodi biografici, investimenti finanziari, interessi finanziari, dichiarazioni di redditi, proprietà e donazioni elettorali. Insomma, una ricostruzione della vita privata e pubblica del politico preso di mira. A questo punto le informazioni raccolte selezionate tra le più controproducenti per l´avversario da distruggere vengono trasformate in messaggi ai media e in informazioni lasciate trapelare ai giornalisti. Questo è il lavoro del “killer politico” e bisognerà dire che, anche se nello stesso ramo dell´assassinio politico, l´impegno del direttore del giornale di Berlusconi è più comodo. Non ha bisogno di fare molte ricerche. Se gli occorrono documenti qualche signore, per ingraziarsi il Capo, glieli procura. In alcuni casi, è lo stesso Capo che si dà da fare (è accaduto con i nastri delle intercettazioni di Fassino, consegnati ad Arcore e da lui smistati al giornale di famiglia; è accaduto con il video di Marrazzo).
L´informazione è, in questo caso, politica senza alcuna mediazione e potere senza alcuna autonomia perché l´una e le altre sono nelle mani del Capo. Quindi, se non ci sono in giro carte autentiche, si possono sempre fabbricare come nel “caso Boffo”. Se non si vuole correre questo rischio, si può sempre ripubblicare quel che è stato già pubblicato, metterci su un bel titolo disonorevole e ripeterlo per due settimane. Colpisci duro, qualcosa si romperà. Per sempre. Questa è la regola. Chi colpire? No problem. Sa da solo chi sono i “nemici” del suo Capo. Quel Fini, ad esempio. Subito lo definisce “il Signor Dissidente”. È il dissenso che è stato chiamato a punire. Lo sa riconoscere nella sua fase aurorale. Scrive: «Il Signor Dissidente non è stato zitto. Anzi, ha parlato troppo (…) ha ribadito le critiche al governo e al suo capo, la sua contrarietà alla politica sull´immigrazione, alle posizioni della Lega in proposito, alle leggi sulle questioni etiche». Il Signor Dissidente parla? Deve essere punito. Come? Il direttore annuncia: «È sufficiente – per dire – ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme». (Il Giornale,14 settembre 2009).
Il “giornalismo” di Vittorio Feltri è questo: minaccia, violenza, abuso di potere. Non importa sapere qui se è anche un reato. Dopo il character assassination in serie di questi dodici mesi, ne sappiamo abbastanza per giudicare. Ora non è rilevante conoscere se a questo “assassino politico”, dunque a un professionista di una “macchina politica” e non informativa, si deve riconoscere lo status di giornalista. Non glielo si può riconoscere. È un political hitman. È un altro mestiere. Non è un giornalista. Non è lui il problema. Il problema è il suo Capo. Come non è in discussione la libertà di informare o la libertà di fare un giornalismo d´inchiesta. Quel che si discute è la minaccia che precede il lavoro d´inchiesta; è un giornalismo, un finto giornalismo agitato, come nel caso di Emma Marcegaglia, quasi fosse un manganello per fare piegare il capo al malcapitato. Quel che è importante adesso sapere è quanti sono nella vita pubblica italiana coloro che, ricattati dal Capo con questi metodi, tacciono? O spaventati da questi metodi tacceranno? Con quale rassegnazione si potrà accettare un congegno che consegna al capo del governo la reputazione di chiunque, come una sovranità sulle nostre parole, pensieri, decisioni?

Leggi l’articolo su Repubblica.it

1 commento

  • A proposito di Fabbriche del fango Vi segnaliamo questa interessante news dal portale Indymedia al link:

    http://piemonte.indymedia.org/article/8579

    “La Repubblica (CIR Group): ecco come funziona la fabbrica del fango”.

    Palazzo di Giustizia di Genova, P.zza di Portoria 1. Da qualche parte forse potrebbe esserci un “Armadio della vergogna”. Quello – per intenderci – dove vengono riposti i fascicoli scomodi e da tenere al riparo da occhi indiscreti. I ripiani austeri (e sempre alquanto incustoditi) di questo archivio pare vomitino periodicamente faldoni che dovrebbero rimanere sopiti per molto tempo ancora.

    Di alcuni dossier scottanti abbiamo già dato conto in alcuni precedenti articoli proprio quì su Indymedia. S’ha motivo di ritenere che un cantuccio dello sgabuzzino segreto di P.zza Portoria, sia proprio riservato a lui: Altana Pietro. La spia del Sismi (servizio segreto militare) che è andato a battere nei centri sociali in cerca di informazioni. I giudici genovesi hanno scoperto che sotto le mentite spoglie del giornalista spiava anche società dell’alta finanza (vedi C.I.R. di De Benedetti, ENI, Fiat, Telecom, Impregilo, etc), banche (Banca Carige, Mediobanca, etc, ), e la crema degli avvocati e fiscalisti (Roppo & Canepa, Bonelli, Carbone, Uckmar & C.). Come alcuni articoli del Secolo XIX e di Milano Finanza hanno rivelato, Altana ha tenuto d’occhio pure gli iraniani di Irasco in cerca di armi, roba nucleare e altro (v. link correlati a margine dell’articolo). Inutile negarlo. Le procure di mezz’Italia han vissuto per anni nella psicosi che il servizio segreto militare spiasse anche magistrati e giudici, più che naturale che procura genovese abbia riservato ad Altana una particolare attenzione. Non è affatto casuale che un magistrato come Anna Canepa, esponente di punta di Magistratura Democratica (MD è stata la prima a denunciare il dossieraggio del Sismi sui giudici) vada il merito di aver chiesto l’arresto dell’agente del Sismi. Tra l’altro, vedete com’è bizzarro il destino, il magistrato Anna Canepa è anche sorella di Paolo Canepa uno degli avvocati spiati dal Sismi, inoltre putacaso lo Studio Legale Vincenzo Roppo & Paolo Canepa è pure consulente di C.I.R. e della Fam. De Benedetti Ci sarebbe di che notiziare anche il CSM (sempre che CSM non significhi Ciechi Sordi Muti).

    Comunque dall’Armadio della vergogna ora salta fuori n’altra storia totalmente inedita sullo strano e chiacchierato 007. Stravagante quanto tragicomica. Altana ha così tanto rotto i coglioni ad una certa lobby genovese, che la stessa pare abbia deciso di fare quadrato per toglierselo una volte per tutte dai coglioni. La storia – dai contorni decisamente grotteschi e surreali – vien descritta dallo stesso Altana Pietro in un dettagliato esposto/querela depositato presso la Procura della Repubblica di Genova il giorno 20 giugno 1997 (trovate il documento di seguito come allegato pdf). Altana racconta che nel 1994 a seguito della denuncia della società Coeclerici Spa (shipping company che lo stesso agente denuncia per spionaggio) lo stesso è stato oggetto di querela per intercettazioni telefoniche abusive e spionaggio. Alessandro Perugini (noto centravanti di sfondamento del G8) e un manipolo di agenti della Digos di Genova son piombati nel suo ufficio portandogli via computer e kili di documenti. Dopo qualche mese tutto viene però archiviato. I giudici genovesi sentenzieranno esserci stata nessuna intercettazione e alcun spionaggio. L’agente segreto però viene condannato dalla procura genovese a 8 mesi di reclusione per aver diffamato la società che l’ha denunciato per spionaggio: Coeclerici Spa (un articolo del giornalista Manlio Di Salvo sul Secolo XIX viene ritenuto diffamatorio dai giudici). Dell’assoluzione per spionaggio nessuno parlerà e prenderà corpo invece una pesante campagna stampa contro lo spione del Sismi. Titola Repubblica: “Spiata via fax l’alta finanza, interceptor ruba i segreti di aziende ed avvocati … Lo spione elettronico è passato attraverso le centraline, aveva un complice aggancio alla SIP” . “Storia di spionaggio industriale, probabilmente internazionale… corrispondenze delicatissime venivano deviate dai trucchetti tecnologici”. “Parla Interceptor, ce l’ho solo con Coeclerici” (Massimo Razzi – Il Lavoro- Repubblica 20 e 23 dicembre 1994).

    Direte voi: è normalissimo e fisiologico sputtanamento. Se l’agente Sismi spia C.I.R. (una delle aziende dell’alta finanza attenzionate dal Sismi) è giusto che Carlo De Benedetti scateni contro i suoi scagnozzi di Repubblica. Il discorso non fa una grinza. Lo sfigato del Sismi allora che fa? S’organizza e attenziona anche Franco Manzitti (all’epoca direttore della sede genovese di Repubblica). E scopre che Paolo Clerici (numero uno del Gruppo Coeclerici Spa) e qualche avvocato hanno fatto pressioni su Franco Manzitti per gettargli palate di fango addosso. In una lettera riservata inviata da Manzitti ad un noto avvocato d’affari genovese (che il Sismi acquisisce) il redattore capo di Repubblica scrive: “Caro Franco, mi scuso per non esser riuscito ad arrivare al tuo ricevimento di sabato a Sant’Ilario, e mi scuso tanto anche con tua moglie, ma in questo momento come tu sai son preso dalle solite “grane” di questo ingrato giornale. Ti informo, comunque, che l’intervista di Dabove, come mi hai richiesto, non verrà pubblicata. Franco Manzitti”.

    In quei giorni si compie una curiosa operazione immobiliare. La società CoeClerici (quella che ha denunciato per spionaggio l’agente) cede all’avvocato (l’avvocato di Sant’Ilario a cui ha scritto Franco Manzitti) un lussuoso e prestigioso immobile nel centro di Genova. Sito in Via Martin Piaggio civico 17/7-8. Una cosuccia di poco conto composta da 30 vani + balconi + cantine e pertinenze, situatata a ridosso di Villetta Di Negro (vicino P.zza Corvetto). In una corrispondenza riservata della società Bulkitalia (società del Gruppo CoeClerici) – che il Sismi acquisisce e che Altana fa avere ai giudici genovesi – si legge: “Allego fotocopia assegni circolari rilasciatimi da Bonelli per complessive lire 245.000.000 che ho dato in originale a Ragusa, e corrisposti a titolo di caparra in conto prezzo. Penso che sul prezzo di vendita non ci siano problemi, l’importo della locazione di Via Padre Santo a Bonelli, è sempre stato veramente molto modesto. Ma si sa … i piaceri vanno ricambiati. Limiterei la diffusione della scrittura dandone una copia a Pulcini (preliminare di vendita) di cui trattengo io l’originale. Saluti. Emanuele Zanotti”.

    Come su riportato c’è di mezzo un“Guglielmo Dabove”. In effetti Altana Pietro era conosciuto negli ambienti dei giornali con questo stravagante pseudonimo. Qualche tempo prima aveva ricevuto nel suo ufficio il giornalista Massimo Razzi per una intervista di replica agli articoli di Repubblica. Intervista dello 007 che non è mai uscita su Repubblica. Quel che è certo – afferma Altana Pietro nella sua denuncia querela – “… è forse anche per questo che l’ordine dei giornalisti versa in uno stato di pessima salute. Bisogna realisticamente ammettere che sulla credibilità della professione giornalistica hanno influito negativamente i pesanti condizionamenti che a vari livelli hanno esercitato le lobbyes finanziarie e politiche come anche gli incroci di interessi privati sui giornali… la categoria si lamenta della preoccupante caduta di rispettabilità , ma dimentica che nonostante tutto le connivenze (che hanno progressivamente ammansito il sistema) continuano ad inquinare buona parte della comunicazione, consolidando i vecchi e perversi meccanismi che tutt’ora regolano il mondo dell’informazione”.

    Detto in parole semplici semplici, a Repubblica ci son giornalisti venduti che si prostituiscono per gratificare l’amico di turno.

    Conferma questo teorema – seppur malvolentieri – anche Massimo Razzi di Repubblica. Nella conversazione telefonica con Altana (che ahimè, l’agente del Sismi ha la stronzaggine di registrare e che poi allegherà all’esposto/denuncia). Massimo Razzi confessa fortissime pressioni fatte da Paolo Clerici su Franco Manzitti e sul giornale la Repubblica.

    Se vi volete scialare il cuore e farvi quattro ghignate ascoltatevi la registrazione della telefonata (a margine dell’articolo in formato mp3).

    Intanto questa la trascrizione (della parte saliente):

    Trascrizione telefonata Altana Pietro/Massimo Razzi del 13 marzo 1996

    ALTANA: “Io a lei non ho mai voluto querelarla … giustamente c’è una liberta’ di espressione, è un paese libero, siamo in democrazia, ed ognuno e’ libero di dire tutto quello che vuole, anche delle scemenze, quindi – perdoni se la descrivo cosi’ – effettivamente, ragionando con il senno del poi, non era effettivamente cosi? Lei ha scritto delle scemenze.”

    RAZZI: “Si’, si’, ma e’ che non …”

    ALTANA: “Ha scritto nel primo articolo delle scemenze, nel secondo pure, non so se ce n’era anche un terzo, anche nell’altro c’erano scritte delle scemenze. Qualcuno c’ha creduto comunque, perche’ quando lei ha gettato la cosa li ‘ cosi ‘ : «questo e un intercettatore, rischia tot anni di galera» e ha sfornato tutta una serie di nominativi di intercettati che confermavano il fatto. La cosa era oramai era data per scontata; chiaramente chi mi conosceva bene sapeva che non era così . Poi’ dopo 7-8 mesi quanto il magistrato ha emesso la sua archiviazione perche’ la notizia di reato era risultata infondata, allora li’ mi sono riscattato, pero’ oramai la frittata era stata fatta. Parliamoci chiaro, nessuno è venuto a prendere le mie difese, e gli amici che hanno preso le mie difese l’hanno fatto ma in modo non molto ufficiale. Purtroppo qualcuno aveva interesse gettare un po’ di fango su di me, e questi sappiamo chi sono. Lei comunque gli ha dato una bella mano, e voglio dire, con quegli articoli ha fatto la felicita’ del Prof. Bonelli e del Sig. Clerici; non so se sia casuale questo, mi auguro di si, ma considerando il contesto della situazione non so se sia poi tanto casuale… Se lei fosse stata una persona coerente, una persona. diciamo, un po’ piu’ obiettiva, forse avrei avuto gia da li’ una dimostrazione … prima di scrivere certe cose si cercano dei riscontri, come un giornalista a modo, con criterio fa’, poi io non so come funzionano le cose nel suo giornale (Il Lavoro-Repubblica ndr.) però effettivamente, a vedere i risultati, pare che fosse esattamente vero quello che mi si diceva, cioe’ che il Manzitti non era poi del tutto disinteressato nella cosa, aveva qualche interesse, diciamo, a sputtanarmi un pochettino. I malvagi mi hanno detto che ha fatto qualche pressione perché scrivessi quelle belinate li …”.

    RAZZI: “No, le cose sono completamente diverse perché …”.

    ALTANA: “Mi hanno detto: ‘stai attento che Manzitti ci ha messo lo zampino’ , e io credo che non sia completamente falso”.

    RAZZI: “Se mai Manzitti ci ha messo lo zampino dopo, se vuoi ti racconto esattamente come è andata”

    ALTANA: “E allora raccontami a grandi linee perche’ mi interessa”.

    RAZZI: “Semplicemente questo: io ho avuto le notizie assolutamente da fonti diverse da Coeclerici , e Manzitti non sapeva niente, anzi”.

    ALTANA: “Da Gattorno (Sebastiano ndr.), sappiamo”

    RAZZI: “Da ambienti vicini a Gattorno si’, non solo da quelli, per esempio c’erano altri avvocati che credevano davvero d’essere intercettati, perche’ non riuscivano a capire come certi documenti potessero …”

    ALTANA: “Ma no, l’ho spiegato perche’ gli avvocati credono di essere intercettati”.

    RAZZI: “Un momento, aspetti un attimo, lei me lo ha spiegato dopo che ho scritto i primi pezzi, allora, quando io ho citato i nomi degli avvocati che ritenevano in qualche modo di essere intercettati, oppure che documenti che erano passati per i loro studi erano usciti fuori, loro temevano di perdere la fiducia dei loro clienti, di conseguenza qualcuno di loro si e’ spaventato e ha fatto arrivare qualche voce”.

    ALTANA: “Questa e un palla totale, e lo posso anche dimostrare, perche’ anch1io ho ricercato qualche riscontro in relazione a questa vicenda, e le posso garantire che questa e’ una balla totale. Fu una grande congiura, e’ stata solo una grande congiura, organizzata a tavolino, con l’intenzionale calcolo di danneggiarmi e basta. E’ stata ideata la questione delle microspie, e tutto …”.

    RAZZI: “Io comunque, come le ho avute io, non potevo sospettare di persone in quel momento, perche’ non ce n’era nessun motivo, tranne il fatto che per vie molto traverse ero riuscito ad avere delle notizie abbastanza vaghe su quello”… Quello che io ho fatto fare, a partire da queste prime voci, e’ dei riscontri, perche’ il suo nome era Dabove, non si riusciva a sapere quale era il nome vero”… semplicemente, io ho fatto i primi du¬e pezzi semplicemente avendo riscontri con questi studi di avvocati che mi confermavano che … e mi dicevano che per quello che avevano capito loro la strada era quella e fino a li’ Manzitti no ha fatto nessuna pressione, anzi, non sapeva neanche di che cosa si trattasse, e non sapeva di piu’ di quello che sapevo io. La ¬pressione di Manzitti, che c’e’ stata, e della quale io sono rimasto personalmente molto amareggiato, e’ questo aver subito tutte le tue accuse che ritengo in parte giuste, e per cui me le tengo, pero’ il punto è questo: ho fatto un pezzo con l’intervista a te di un’intera pagina, dove si raccontava tutta la tua versione, premettendo – in un cappellino – che questa era la tua versione e che mi sembrava …”.

    ALTANA: “Ma questo in quell ‘articolo in cui dici: “Da bove si è fatto vivo”.

    RAZZI: “No l’articolo non e’ mai uscito”.

    ALTANA: “Ah non e’ mai uscito, perche’ quell ‘articolo li’ io non l’ho mai letto”.

    RAZZI: “Infatti quando sono venuto da te per l’intervista, l’ho scritta, l’intervista che ti ho fatto”.

    ALTANA: “Si’ ma non l’hai mai pubblicata”

    RAZZI: “Io l’ho data a Manzitti , ovviamente, per farla uscire, e lì’ c’e’ stata una pressione fortissima su Manzitti di Clerici . Manzitti tra l’altro, l’ha fatta vedere all ‘avvocato del giornale, Tonani, e Tonani ha detto: ‘va bene secondo me, si puo’ pubblicare perche’ non ci sono gli estremi per nessuna querela’ , e Paolo Clerici ha fatto il diavolo a quattro; e questa e stata l’unica volta in vita mia, da quando sono stato in quel giornale che . . .”

    ALTANA: “Esattamente quello che ho saputo io”.

    RAZZI: “Questa e’l’unica cosa di cui mi rammarico. Io mi rammarico, nel senso che quell’intervista io non sono mai riuscito a farle uscire. E sulla cosa ho avuto delle discussioni con Manzitti, cor il quale poi siamo amici per tantissime altre cose, e lui su questo non ce la faceva perche’ aveva ricevuto delle pressioni fortissime, non me lo diceva cosi’ apertamente, ma si capiva”.

    ALTANA: “Non si puo’ parlare male di Clerici”.

    RAZZI: “Come?”.

    ALTANA: “Su Clerici non si puo’ parlare male”.

    RAZZI: “No, secondo me lui … non e’ proprio vero in assoluto, in altre occasioni mi sono anche esposto a questo riguardo”.

    ALTANA: “Sig. Razzi, se si e’ dipendenti come lei non si puo’ parlare di certe cose, per quello dico così’. Ma va be’, questo lei me lo insegna. Bisogna essere al di fuori di certe strutture, e anche quando si e’ al di fuori si deve rendere piu’ conto di un dipendente”.

    RAZZI: “Si’ infatti lo so questo, questo piu’ chiaro di cosi’. Le dico che e’ cosi’, questo e’ andato così’. questa e’ la cosa per la quale lei ha ragione nei miei confronti”.

    ALTANA: “No, quella e tante altre”.

    RAZZI: ” … per come ho lavorato io, sulla prima parte ho raccolto alcune informazioni, non avevo altra fonte, lei non esisteva per me perche’ non riuscivo a trovarla. Quando sono riuscito a trovarla sono venuto a parlarle”.

    ALTANA: “Però Razzi, lei ha dato per certo che le cose da lei descritte erano così’”.

    RAZZI: “No, no, Il pezzo aveva tutte le caratteristiche del pezzo sulla base delle poche notizie che avevo a disposizione e sulla base dei riscrontri che avevo potuto avere, che non davano certezze e.. Le assicuro che questa e’ la pura verita’”.

    La querela dell’agente del Sismi contro Paolo Clerici, Franco Manzitti, Massimo Razzi, Repubblica & C. rimarrà sepolta nell’armadio della vergogna per lustri e nessuno ne parlerà più. Sino ad oggi.

    La morale? Che la giustizia raramente trionfa ed il fango è sicuramente molto meno sporco di certi personaggi.

    Che dirvi, ci risentiamo alla prossima storiaccia (tanto l’armadio è zeppo zeppo di storie zozze che non vedon l’ora d’esser riesumate e raccontate).

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    Quì i documenti pdf allegati: “Repubblica_fabbrica_del_fango”
    http://piemonte.indymedia.org/attachments/may2010/altana_pietro_massimo_razzi_repubblica.pdf
    http://piemonte.indymedia.org/attachments/may2010/vendita_clerici_bonelli.pdf

    File audio mp3 “telefonata_Altana_Pietro_Massimo_Razzi”
    http://piemonte.indymedia.org/attachments/jul2010/1_repubblica_massimo_razzi.mp3
    http://piemonte.indymedia.org/attachments/jul2010/2_repubblica_massimo_razzi.mp3

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