La partita è cominciata

06 Ott 2010

La possibilità di cambiare legge elettorale è remota. Se la riforma imboccasse una strada sgradita alla maggioranza nulla impedirebbe al Cavaliere di bloccarla aprendo la crisi. La contromossa? Un nuovo governo che approvi la riforma e poi ci porti alle urne. Resta da capire quale riforma mettere in campo.

Partiamo da un notizia minore ma assai significativa: il presidente della Camera ha scritto al presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Donato Bruno, per chiedergli di impostare la discussione sulla riforma della legge elettorale. Iniziativa stoppata da Carlo Vizzini, presidente della analoga commissione del Senato, che ha già deciso di avviare l’iter della stessa materia. Ciò significa che Fini è talmente deciso a dare battaglia da rischiare di oltrepassare i limiti del galateo parlamentare. Ma significa anche che la maggioranza è tanto terrorizzata dalla possibilità di veder cambiato il Porcellum da arroccarsi sul terreno che considera più favorevole, e cioè Palazzo Madama, dove i finiani non sono determinanti.

Dunque ci siamo: la partita è cominciata. Ma le mosse sono ancora tutte da definire. Per fare il punto della situazione conviene partire dall’elemento più macroscopico: il governo. La possibilità di cambiare la legge elettorale in Parlamento con Berlusconi a Palazzo Chigi appare remota. È vero che l’argomento è squisitamente parlamentare, ma tutti sanno che se la riforma imboccasse una strada sgradita alla maggioranza nulla impedirebbe al Cavaliere di bloccarla aprendo la crisi di governo e puntando alle elezioni con questa legge. Naturalmente la contromossa è già pronta: un nuovo governo, per il quale c’è già la disponibilità di tutte le opposizioni più i finiani, che approvi la riforma e poi ci porti alle urne.

L’obiezione che un simile governo potrebbe ottenere la fiducia alla Camera ma non al Senato è vera oggi ma potrebbe non esserlo domani, visti gli scricchiolii nel gruppo dei senatori berlusconiani. Infatti è già scattato il piano B, e cioè il pressing da destra nei confronti di Napolitano: è stato detto che i governi tecnici non esistono perché tutti hanno una maggioranza politica, perciò non può avallare il ribaltone, da quel galantuomo che è. Qui va precisato che il presidente della Repubblica ha il dovere, in caso di crisi, di verificare l’esistenza di una maggioranza alternativa (o della ricostituzione della stessa) ma non ha un “potere di gradimento” sul risultato della verifica. Se trova che una maggioranza c’è, non deve applaudirla, deve darle l’opportunità di esprimere un governo. Spetterà poi a quella maggioranza dare prova di sé, e al capo dello Stato vigilare sull’osservanza dalle regole. Punto.

Tuttavia questo percorso è assai pericoloso anche per i protagonisti dell’ipotetico governo postberlusconiano. E’ facile immaginare il cannoneggiamento mediatico a cui sarebbero sottoposti: ribaltonisti, traditori della volontà popolare, utilizzatori di cavilli per far vincere chi ha perso. L’esperienza insegna che questi argomenti funzionano in campagna elettorale: servono al Cavaliere per recuperare l’astensionismo di destra, mentre la sinistra non è mai riuscita, almeno finora, a controbatterli efficacemente. Vedremo.

Ma c’è un altro fronte su cui combattere: quello di quale riforma elettorale mettere in campo. L’ultima novità, e viene da destra anche se in modo ancora sotterraneo, prevede l’abolizione del premio di maggioranza o l’introduzione, per ottenerlo, di una soglia del 45-50 per cento, lasciando per il resto immutato il Porcellum. Poiché non si capisce quale beneficio ne trarrebbe Berlusconi, che così non sarebbe affatto sicuro di vincere né otterrebbe abbastanza parlamentari per farsi eleggere al Quirinale, si deduce che la proposta viene avanzata solo per mettere scompiglio nel campo avverso. In questo modo, infatti, si tornerebbe quasi al proporzionale puro. Ipotesi che lacererebbe il Pd in brandelli sanguinanti.

E, alla fine, il problema è proprio questo: bisogna vedere se le opposizioni sapranno unirsi attorno ad una proposta presentabile, e se i singoli partiti riusciranno a restare compatti al loro interno di fronte alla bufera che arriverà. Perché se continueranno a prevalere personalismi e rivalità di bottega l’esito non potrà che essere catastrofico.

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