Liberi di delinquere

05 Ott 2010

Ogni volta che Berlusconi è disturbato dalle iniziative dei magistrati, l’odio contro la giustizia esplode con violenza. Il dramma è che sull’onda di queste esternazioni andremo verosimilmente alle elezioni: la vera domanda da porsi è allora perché l’avversione verso la giustizia paga.

Elisabetta Rubini

Dire che le ultime esternazioni di Berlusconi sulla giustizia costituiscono una sfida ai principi sanciti dalla nostra Costituzione – tra cui la soggezione di tutti i cittadini alla legge e l’indipendenza della magistratura – sembra ormai così ovvio da non cogliere nel segno. Troppe volte le abbiamo sentite ripetere e troppi esempi abbiamo avuto della profonda, radicale avversione di Berlusconi per la giustizia – dalle invettive contro i giudici malati di mente alle numerose leggi fatte apposta per risolvere problemi processuali personali – per non aver ormai capito che i principi costituzionali nulla contano per lui, ed anzi gli sono fortemente invisi nella misura in cui ne ostacolano il percorso. Saremmo degli ingenui ad indignarci ancora per le furibonde aggressioni verbali ai giudici e PM, e persino per l’inusitato progetto di mettere due poteri dello Stato l’uno contro l’altro con la cosiddetta commissione d’inchiesta sulla magistratura: questo è l’uomo e questa è la sua cultura ed è così da sempre, fin dall’inizio della sua carriera politica. In tutti questi anni, ogni volta che l’esercizio del suo potere è stato disturbato dalle iniziative dei magistrati, l’odio contro la giustizia e i suoi principi è esploso con violenza: come non ricordare il comunicato a reti televisive unificate del gennaio 2003, nel corso dei processi SME e Mondadori, quando la Cassazione respinse il tentativo di spostarli da Milano? Già allora era esplicita la pretesa di sottrarsi al giudizio della magistratura, additata come ideologica ed eversiva del risultato elettorale, con l’implicito assunto che gli eletti a cariche politiche siano in quanto tali esentati dal rispetto della legge. Dunque oggi siamo di fronte ad un’ennesima e violentissima manifestazione dell’intolleranza di Berlusconi per un potere che osa – nella sua espressione collettiva – difendere la propria indipendenza e – in alcune questioni specifiche – interferire con l’esercizio del potere di Berlusconi stesso. Il dramma è che sull’onda di queste esternazioni andremo verosimilmente alle elezioni: la vera domanda da porsi è allora perché l’avversione verso la giustizia paga, come ha pagato in questi anni, dal punto di vista elettorale; perché l’invettiva contro i giudici matti e assassini (vedi le frasi sul PM De Pasquale) anziché suscitare orrore nei cittadini provoca in molti un rispecchiamento, un riconoscersi, una condivisione della ripulsa, della diffidenza quando non dell’odio per la giustizia. Con Tangentopoli, la classe dirigente italiana visse un momento di soggezione nei confronti della giustizia: ricordiamo tutti i processi, le confessioni, le tragedie quali quella tanto a sproposito richiamata ieri da Berlusconi. L’intera classe dirigente apparve in scacco, disarmata e delegittimata di fronte alla prova del suo basso livello morale e ciò riguardò sia le sue componenti economiche che politiche. Rispetto a quella fase, l’esperienza di Berlusconi ha rappresentato una sorta di riscatto, un ribaltamento dei rapporti di forza, una aperta rivendicazione del diritto di fare tutto ciò che il potere acquisito consente di fare e, nella sua estrema espressione, l’affermazione del diritto a non essere giudicati. E’ contro questa cultura, del cui radicamento nel paese non è dato purtroppo dubitare, che tutte le forze democratiche dovranno mobilitarsi nei prossimi mesi, per difendere le conquiste scritte nella nostra Costituzione e, tra tutte, il principio della supremazia della legge sul potere politico.

*Elisabetta Rubini, avvocato, siede nel Consiglio di Presidenza di LeG

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