Qui si gioca il futuro della democrazia

04 Ott 2010

La commissione è un’ipotesi impraticabile sul piano costituzionale. Ma rivela un potere senza scrupoli, disposto a tutto pur di garantirsi l’impunità. Altrove si sarebbe chiesto l’impeachment

Era facile prevedere come sarebbe andata a finire. La commedia di un Berlusconi che posa da liberale, che sciorina la sua disponibilità per le diversità, non poteva durare. E’ bastato evocare il tema giustizia  per liberare i suoi spiriti animali, riportando allo scoperto la sua rivendicazione della sovranità assoluta, libera dagli impacci di qualsiasi regola. E, questa volta, non si tratta di una bislacca conversazione con i suoi simpatizzanti, condita da barzellette volgari e ingiuriose. L’attacco a testa bassa è avvenuto in una manifestazione pubblica, alla  festa del Pdl a Milano. Segna, evidentemente, l’avvio della campagna elettorale berlusconiana, malgrado  il voto di fiducia di qualche giorno fa. Non si spiegherebbe, infatti, questa sortita sulla strada dell’azzardo se non ci fosse alle spalle un accordo con la Lega per ottenere le elezioni anticipate. Al più presto, possibilmente sciogliendo le Camere a fine anno.

Intendiamoci: alcune affermazioni fatte dal Cavaliere sono risapute. L’attacco ai pubblici ministeri, accusati di fare “un uso politico della giustizia”, non è una novità. Ed è altrettanto noto l’obiettivo berlusconiano di disarcionare la Corte costituzionale perché “formata da giudici di sinistra”. Ma questa volta il premier è andato oltre, fino a chiedere ufficialmente una commissione d’inchiesta contro i magistrati, facendo nomi e cognomi dei pm da esporre al pubblico ludibrio. La commissione è un’ipotesi impraticabile sul piano costituzionale. Ma rivela un potere senza scrupoli,  disposto a  tutto pur di garantirsi l’impunità. Analoghe affermazioni sarebbero gravissime se fatte da un comune cittadino. Ma in bocca a un presidente del Consiglio aprono uno scenario devastante. Altrove, in Gran Bretagna come in Francia o in Germania, un capo del governo che dicesse queste cose, sarebbe costretto a dimettersi. Dall’indignazione popolare prima ancora che dal voto del Parlamento. Ma noi, negli anni berlusconiani, ci siamo abituati al peggio. Scivoliamo, senza accorgercene, a un livello infimo.

È chiaro che il Cavaliere non può sperare nella nascita di una Commissione d’inchiesta. Ma gioca questa proposta come arma di ricatto: per ottenere quelle leggi che servono comunque a imbavagliare i giudici, oppure, fallito questo  progetto, per scaricare sugli alleati “infedeli”, gli uomini di Fini, la responsabilità della dissoluzione della maggioranza e del conseguente ricorso alle urne. Tuttavia, questo epilogo è tutt’altro che scontato. Il premier non è più il signore e padrone assoluto del centrodestra. Da tempo sbaglia i suoi calcoli. Ha sottovalutato la capacità di Fini di mettere insieme un suo gruppo, così come aveva sottovalutato la capacità di Casini di resistere restando al centro. Tutto il sistema che aveva edificato, quindi, sta entrando in crisi. Crisi politica e, al tempo stesso, dissoluzione ideologica  perché si è rotto lo specchio magico che trasformava in motivi di speranza gli inganni del berlusconismo.

Agli avvertimenti del premier i collaboratori di Fini hanno risposto con un netto “no”. Confermando la loro opposizione a una riforma della giustizia che sia “punitiva nei confronti della magistratura”. E, insieme, annunciando la loro disponibilità per “una maggioranza alternativa, in grado di ritrovarsi sulla modifica della legge elettorale”. E necessaria, a questo punto, la massima chiarezza. Non sarebbe corretto, e neppure utile se ancora si confida su un rilancio del centro sinistra, partire da qui per battere la strada dei “ribaltoni”, degli “ibridi connubi”, delle “alleanze innaturali”. Però, l’intesa sulla riforma elettorale è altra cosa. Modificare la legge elettorale è compito non del governo, bensì del Parlamento. Si deve invertire, quindi, l’ordine dei fattori, contrastando la campagna di menzogne e falsità orchestrata dal premier. Nulla può impedire a una maggioranza trasversale di manifestarsi in Parlamento su questo tema, dando vita a una sorta di patto democratico. Salvo poi tornare a dividersi, nel rispetto delle differenti opzioni politiche. La legge elettorale vigente è, infatti, la peggiore possibile. Si fonda sulla cooptazione dei parlamentari a opera delle segreterie dei partiti. E, quello che forse è ancora più grave, su un premio di maggioranza che trasforma le coalizioni minoritarie in maggioritarie. Siamo dunque in presenza di una crisi delle democrazia repubblicana. Ed è in questo passaggio cruciale che si gioca il futuro dell’intera politica italiana.

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