A ogni occasione, Berlusconi se la prende con il “teatrino della politica”. Ma di questo “teatrino” proprio lui ha offerto la più imprevista delle rappresentazioni dopo il tanto rullare di tamburi che si era fatto intorno al suo discorso alla Camera. Sono stati, nella maggioranza di centrodestra, sei mesi di roboanti minacce e scontri, di polemiche e scandali, che hanno ridotto il Cavaliere e Fini al ruolo di separati in casa. Ma il premier si è presentato a Montecitorio con un discorso che smorza e minimizza, scontando una sconcertante ipocrisia. Insomma, il Cavaliere ha rinfoderato la spada che con sicurezza aveva prima agitato. E ha scelto la linea soft. Un intervento scritto con inchiostro doroteo.
Certo, non poteva negare quanto è accaduto nel Pdl. Ma ha evitato di forzare i toni. Ha espresso la sua amarezza per i contrasti, ha condannato le “critiche aprioristiche”, che gli sono venute da Fini, senza mai peraltro direttamente citarlo. Però, ha finito per ammettere “il dibattito interno tra le diverse opinioni”. Ed è arrivato fino a questa conclusione: “Tutto si può dibattere…La mia indole mi porta alla ricerca della soluzione migliore attraverso contributi diversi”. E’ evidente che, in queste parole, non si può leggere il riconoscimento della “terza gamba” dell’alleanza invocata dai finiani. Ma l’ammissione di una certa dialettica interna può consentire agli uomini del presidente della Camera di votare la fiducia senza troppo sofferenza. Dovrebbero servire, in ogni caso, questi toni più sfumati a tenere aperto il canale del dialogo con i moderati del gruppo di Fini, e a ridurre spazio alle sortite dell’ala più radicale.
Anche sul tema giustizia, quello che a Berlusconi sta veramente a cuore, non sono stati messi in campo argomenti particolari di frizione con il presidente della Camera. E’ evidente che per chi ha a cuore la cultura della legalità le parole del premier sono tutt’altro che tranquillizzanti. Lo scudo giudiziario, che dovrebbe salvarlo dai processi, è reclamato senza alcuna remora. Si riafferma l’impegno per la riforma del Csm e la separazione delle carriere. Il Cavaliere, però, ha evitato di parlare apertamente del processo breve, soluzione per Fini particolarmente indigesta. E si limitato a insistere sulla “giusta durata” dei processi, promettendo gli appositi interventi finanziari, cosa sulla quale, in linea di principio, un po’ tutti potrebbero concordare. Stanno in ciò i termini del baratto al quale si pensa sulla giustizia, questione eternamente sacrificati agli interessi prevalenti del presidente del Consiglio.
Non sapremmo dire se, a questo punto, si possa parlare di un “Berlusconi bis”, come pensa qualche osservatore. Ma è chiaro che il premier ha dovuto prendere atto di una situazione mutata rispetto a quella che due anni e mezzo fa lo portò a Palazzo Chigi con una larghissima maggioranza. Naturalmente, l’ha fatto a suo modo. Riproponendo la sua eterna narrazione dell’irrealtà, che trasforma la notte in giorno e il nero in bianco. Senza il minimo cenno a una responsabilità del governo per la situazione di dissesto che attraversa il Paese. Come se presiedesse un esecutivo che si trova all’inizio del suo cammino e non una coalizione che ha sprecato metà legislatura per mancanza di progetti e di programmi concreti. Per Berlusconi tutto va bene, quello che non si è fatto verrà realizzato in un radioso futuro, dall’economia ai problemi del Mezzogiorno. E’ la solita politica dell’annuncio, che ha lasciato marcire anche le emergenze. Il trionfo dell’ipocrisia. Ma fino a quando potrà durare?
Mi pare onesto ammettere che Berlusconi, dal 2008 ad oggi, ha solo macinato parole e “letizie”. Per uno che si era presentato alla ribalta politica come il Messia, veramente pochissimo. Diciamo però che la compagine è scadentissima e quel Fini è la cartina di tornasole che svela i “retrosceni” di cotanta inaffidibilità. E non è la casa monegasca che scoperchia la psicologia del Gianfranco, c’è Gaucci che è un’enciclopedia dell’assurdo.
Così stando le cose sarebbe stato miracoloso se la compagine governativa avesse funzionato al meglio. Anche Scajola resto sotto le macerie di una casa, al di là degli abruzzesi seppelliti dalle rovine del sisma.
La monnezza napoletana? Un eccesso di zelo che oggi espone Berlusconi ai lazzi dell’opposizione. La raccolta dei rifiuti solidi urbni è competenza delle amministrazioni locali, la Iervolino e Bassolino sono i responsabili del disastro; se il Cavaliere si fosse fatto gli affari suoi, ordinando semmai il commissariamento del Comune e della Regione (se la legge glielo avesse concesso), forse avrebbe fato meglio e non avrebbe corso il rischio delle pernacchie che lo stanno rintronando. Si fa quel che si può, quando si può.
Ma io sono e resto berlusconiano.
Celestino Ferraro