Un governo che non fa ma che “dice” di fare

27 Set 2010

“A questo punto è cambiato tutto. Nessuno può pensare che il quadro politico resti a lungo lo stesso”. Per Gianfranco Fini si è tratto di un vero e proprio “day after”. Il videomessaggio di sabato è stato vissuto come un momento di passaggio.

È sottinteso che i politici sono gli altri: nemici e traditori, perché lui – si sa – non è un politico, ma un imprenditore. Che fa politica da 17 anni, ma per il bene comune. Il Premier parla come se intorno a lui nulla fosse accaduto, in questi due anni e mezzo. Un silenzio rotto da scandali e polemiche, che si susseguono senza soluzione di continuità. Ultimo atto, per ora, le dichiarazioni di Fini sull’appartamento di Montecarlo. Video-registrate e trasmesse sul web. Fini, in verità, non ha chiarito molto, circa le vicende che lo riguardano. Ha ribadito la propria buona fede e ha inveito, a sua volta, contro lo spettacolo della politica. Deprimente. (Nessuno, davvero, che ammetta di farne parte). Pronto a dimettersi, se le accuse nei suoi confronti venissero confermate. Fini si è scagliato, anch’egli, contro l’aggressione mediatica. Solo che, in questo caso, si tratta dei media vicini al Premier e al governo.

Sorprende, quindi, che il Premier rivendichi il silenzio, come stile di lavoro, mentre intorno a lui il rumore si fa sempre più forte. D’altronde, più che “fare”, questo governo “dice”. E i fatti che, in questi due anni e mezzo, ha esibito, come esempi di concretezza ed efficacia, sembrano, in molti casi, ancora “da fare”. Rammentiamo. Il governo ha usato, come prove di “rendimento” della propria azione, le emergenze affrontate. Associate a luoghi noti. Devastati. Città sconvolte. Paesaggi stravolti. Napoli sepolta dall’immondizia. L’Aquila distrutta dal terremoto. E poi, la crisi economica. La disoccupazione in crescita. Anche in questo caso: un’emergenza concreta, visibile, come gli operai senza lavoro e le imprese che chiudono. Questioni drammatiche, puntualmente risolte.

Oggi gli stessi luoghi ritornano. Ma offrono un’immagine poco diversa da allora. Napoli ancora sepolta dai rifiuti. Le discariche stracolme, i camion bruciati. All’Aquila, gli abitanti che protestano per una ricostruzione che tarda a venire (o partire?). Un anno e mezzo dopo la tragedia, la città è ancora disseminata di rovine. Molti residenti: confinati altrove. Gli scandali hanno gettato sospetti pesanti sulla Protezione Civile. Mentre la confusione aumenta. Al punto da indurre il sindaco dell’Aquila, Cialente, vicecommissario vicario alla ricostruzione, a dimettersi. In polemica con la sovrapposizione di nomine e i ritardi negli interventi. Provocando la reazione di Berlusconi. Che ha definito la scelta di Cialente inopportuna. Contraria alla filosofia del “fare” che ispira il Premier. Costretto, invece, a dire e a polemizzare. Contro il sindaco di una città-simbolo. Contro i media che non ammettono e non “dicono” quanto di buono abbia fatto il governo. E contro Confindustria, che per bocca della presidente, Emma Marcegaglia, ha affermato di aver quasi perduto la pazienza. Perché è venuta “l’ora di agire”. Dopo tante parole: dal governo si attendono i fatti. E Bossi le replica che “in questo Paese molti parlano e pochi sanno cosa fare”. Appunto.

A metà legislatura, si parla molto dei fatti. Ma è difficile capire a cosa ci si riferisca. Anche perché i luoghi di cui si discute, si sono spostati altrove. Lontano dall’Aquila e da Napoli. Oggi le polemiche si concentrano su altre città, che evocano altri problemi. Montecarlo e Santa Lucia. Che non è un quartiere di Napoli, ma un’isola (e uno stato) dei Caraibi. Se ne occupano i politici – e i media – della maggioranza per incalzare Fini, presidente “abusivo” della Camera. Indegno e traditore. A capo di una corrente, forse un partito. Che, tuttavia, appartiene alla maggioranza. Fino a prova contraria.

Così, il dibattito politico, da mesi, insiste su un appartamento che un tempo era di An. Acquistato non si sa da chi. Forse dal cognato di Fini. Forse no. Mentre prima tutto girava intorno al tema delle intercettazioni. Sgradite al Premier. Al “governo del fare”, alla maggioranza silenziosa – che “fa in silenzio” (ma, in compenso, parla anche troppo al telefono). E non si perde in polemiche sterili. Ma va alla conquista di nuovi volti e nuovi voti in Parlamento. Per rendere ininfluente il sostegno di Fli. Perché altrimenti la maggioranza, questa maggioranza, rischia di non essere tale. Cioè: maggioranza. Ma questa maggioranza, la più larga della storia della Seconda Repubblica (ma, al tempo stesso, divisa come le precedenti), due anni dopo le elezioni, si interroga, un giorno sì e l’altro anche: se sia il caso di aprire la crisi, di votare di nuovo. Altrove, quando il governo arranca e “dice” di fare – invece di fare piuttosto che dire. Quando spende tante parole per dire che preferisce il silenzio. Quando trascorre il tempo a dividersi e a combattersi all’interno. Normalmente, l’opposizione avanza. Ci guadagna. Sfidata, semmai, da soggetti antipolitici. Qui, però, non avviene. L’opposizione la fanno Fini e Confindustria. Tuttavia, il Centrosinistra deve rassegnarsi alle elezioni. Non tarderanno troppo. Perché – per usare le parole del Premier – la politica è un disastro, la stampa nemica e Fini un traditore. E non c’è peggiore opposizione di quella amica. Per cui il Centrosinistra, l’Ulivo, oppure il Centro-Sinistra-con-il-trattino, a seconda degli scenari, si deve preparare. Presto. Deve provare a scrivere una nuova legge elettorale – con chi ci sta. Se è possibile. E se non lo fosse, deve, comunque, costruire un’alternativa credibile. Al di là dei programmi e dei progetti, al di là delle critiche al governo e al Premier (per quello ci sono già i loro alleati): basterebbe proporre una leadership condivisa. Un candidato comune. Presto. Sappiamo bene che non è poco. Che siamo monotoni. Ma a noi non dispiace ripeterci, se è utile. E non ci rassegniamo. A questa narrazione irreale della realtà.

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